L’“Amaca” di Michele Serra oggi su “Repubblica” interviene con la consueta lucidità sul costume sempre più diffuso di affrontare temi rilevanti come la corruzione con il linguaggio dell’invettiva, che rischia di nascondere –dietro una manifestazione di sdegno- atteggiamenti di fondamentale ipocrisia. Dappertutto capita di sentire interviste a “gente comune” che si dice disposta a “mettere in galera tutti i politici corrotti”, quando non “ad ammazzarli”, e in ogni caso a “levarli di mezzo”. Non di rado salta anche la specifica della corruzione, e si comprende in un'unica categoria –la Politica, divenuta “Casta”- la causa di tutte le nefandezze del nostro tempo (d’onde la moda delle rottamazioni purificatrici). Dice Serra: “Si parte dal presupposto che gli interpellati –in quanto popolo- parlino da una condizione di innocenza tradita: non è tra loro che, neanche per caso, possa celarsi uno dei trafficoni o dei galoppini o degli stipendiati a scrocco o dei venditori di voti o dei ladri di appalti o dei falsi invalidi o degli evasori che (a milioni) reggono lo strascico alla “casta” lucrandone più di qualche spicciolo, e spesso essendone il mandante. Chi ha vissuto gli anni di Tangentopoli conosce bene questo genere di umori. E sa anche che chi sventola il cappio sarà il primo, domani, a seguire un padrone peggiore del precedente”.
Davvero la Storia si ripete sempre. Ricordo la fatica che ho sempre provato a “smontare” la conclusione chiara e semplice con cui i manuali di storia presentavano la Riforma Protestante: Lutero si era scagliato contro la corruzione della Chiesa (1517), e aveva messo a nudo le nefandezze, la corruzione morale, i costumi dissoluti di papi, cardinali e vescovi, preti e frati, insomma la Casta sacerdotale. Non è certo possibile negare che il Clero dell’epoca, ai nostri occhi di osservatori –credenti o non credenti- comunque post Tridentini, figli cioè della Riforma Cattolica e della Controriforma, appare marcatamente corrotto; ma questo non è rilevante: bisogna invece chiedersi se quel Clero non fosse sostanzialmente omogeneo alla società contemporanea, dalla quale del resto proveniva, che lo educava, lo promuoveva, gli prestava obbedienza e lo onorava. Alessandro VI, papa Borgia, non si era mica eletto da sé; aveva comprato la dignità papale, si dice, ma qualcuno, anzi due terzi dei cardinali, doveva pur averlo venduto il proprio voto; e nessun cardinale si era dimesso per lo sdegno, e così nessun vescovo, e nessun re o principe aveva sollevato obiezioni o aveva fatto mancare le proprie congratulazioni. E non era la prima volta nella storia della Chiesa che avveniva qualcosa di simile. E’ vero che ci sono sempre stati anche santi fustigatori –molto spesso anche fustigati- che invocavano a gran voce una urgente “reformatio”, e con loro movimenti popolari, ordini religiosi, ribellioni anche cruente. Ma basta leggere la seconda novella della Prima giornata del “Decamerone” per vedere come questi aspetti della vita della Chiesa fossero ben noti e stigmatizzati.
In realtà a Lutero importava solo secondariamente la questione della corruzione morale della Chiesa, che era un derivato dell’errore dottrinale da lui indicato come base della dottrina della tradizione ecclesiologica: Lutero negava che Gesù avesse conferito alla Chiesa il potere di rimettere i peccati, che solo Dio poteva perdonare ripristinando per ogni singolo peccatore lo stato di “giusto”; mentre era proprio sulla facoltà di rimettere i peccati che la Chiesa aveva edificato tutta la sua autorità e il suo potere. Ma fare riferimento a questo dibattito avrebbe implicato complesse esplorazioni teologiche e dottrinali, mentre il piano moralistico è più comodo e più immediato, più alla portata di tutti. E soprattutto individua un colpevole, dei colpevoli, e manda assolti tutti gli altri che pure quei colpevoli hanno tollerato, favorito, osannato, utilizzato, sfruttato, o in ogni caso subìto in silenzio. Così i manuali –almeno quelli vecchi- se la cavavano disinvoltamente con le fidanzate dei papi, e evitavano il tema spinoso delle ragioni (o dei torti) di Lutero sul piano della verità di Fede.
Di esempi come questo nella storia ce ne sono moltissimi, e la strada scelta per districarvisi è sempre stata quella di passare con il Bulldozer e distruggere gli infiniti particolari per contentarsi di una verità grossolana.
Lo stesso accade nella realtà presente: sessanta miliardi di euro ci costa la corruzione politico-amministrativa ogni anno. Qualcuno li prende e qualcuno li dà: non c’è solo la Casta in mezzo. Centoventi-centotrenta miliardi di euro è l’evasione fiscale: non possono essere solo grandi evasori, perché dovrebbero essere troppi i contribuenti straricchi, e questo non risulta; ci devono essere anche tantissimi evasori medi e piccoli per raggiungere quei totali. I processi in corso davanti ai Tribunali ancora non arrivati a sentenza sono milioni: anche a dividere il loro numero per due (chi avrà ragione e chi torto) restano ancora milioni i cittadini che cercano di danneggiarne altri. I falsi ciechi, i falsi invalidi, quelli che riscuotono le pensioni di defunti, che vendono cibi scaduti, che trafficano droghe, che rubano, scippano, truffano, inquinano: chi sono? Il territorio invaso dall’abusivismo edilizio è una piaga nazionale: non saranno solo deputati e senatori a costruire villette sulle spiagge o nelle valli senza aver neppure chiesto uno straccio di permesso. Nelle migliaia di piccoli Comuni chi eleggiamo Consigliere o Sindaco lo conosciamo bene: e se un Consiglio Comunale viene sciolto per Mafia qualcosa dovremmo averlo sospettato. Fiorito ha avuto ventisettemila preferenze; Scajola ne aveva moltissime, e così Mastella, o Andreotti, o Cuffaro: gliele abbiamo date noi.
Questa classe politica l’abbiamo promossa noi con i nostri voti, che sono l’unica voce autentica che abbiamo da far sentire nella società in cui viviamo: tra poco toccherà a noi esercitare un giudizio che sarà tanto più efficace quanto meno sarà sommario. Per quanto riguarda il passato, certo non tutti gli eletti, e forse neppure i più, sono squallidi o criminali: ma per coloro che si fossero rivelati tali, diamo un’occhiata alla nostra coscienza, e in attesa di rimediare almeno esercitiamo la virtù del pudore.
Luigi Totaro