Caro Presidente Rossi,
vivere su un’isola non è facile: richiede orgoglio, determinazione, coraggio, spirito di sacrificio e un pizzico di fatalismo. Siamo su una zattera in mezzo al mare, soggetta allo schiaffo di tutti i venti, compresi quelli della trascuratezza o della dimenticanza dei governanti. Ma l’Elba non è uno scoglio, è la terza isola italiana ed esigiamo che non ci si scordi di lei e delle necessità dei suoi abitanti, specialmente se queste necessità si chiamano istruzione e salute. Le consideriamo i nostri valori più grandi e siamo disposti a tutto per difenderle. Il 27 settembre siamo andati in 150 all’Ufficio scolastico provinciale di Livorno: mamme, babbi, insegnanti, personale amministrativo, bambini e ragazzi abili e “abili diversamente”, per rivendicare il diritto ad avere una scuola che non sia la cenerentola della provincia, come dimostrano i dati. Abbiamo invaso pacificamente le stanze del provveditorato, fradici e infreddoliti per la pioggia e il vento che ci hanno accolti; con calma abbiamo atteso che la dirigente ci ricevesse, cantando anche, tutti in piedi, con civiltà e decoro, il nostro inno nazionale, per dimostrare che eravamo lì come cittadini italiani, rispettosi della Costituzione, che reclamavano il diritto allo studio e un trattamento analogo agli altri abitanti della provincia. Abbiamo ottenuto delle promesse che, almeno in parte, sono già state mantenute: il 30% delle nomine in deroga degli insegnanti di sostegno è stato destinato all’ Isola d’Elba.
Ora abbiamo un’altra battaglia da combattere, altrettanto importante e impegnativa: la difesa della nostra salute e soprattutto di quella dei nostri figli, salvaguardando l’ospedale, l’unico presidio sanitario degno di questo nome che possediamo.
Vede, Presidente, noi elbani siamo abituati ai disagi, perché l’insularità inevitabilmente li comporta: li conosciamo, li abbiamo succhiati col latte materno, li possediamo nel Dna.
Da sempre ci spostiamo, affrontiamo il mare per mille motivi e abbiamo col nostro elemento naturale e imprescindibile un sentimento di odio/amore, di attrazione/repulsione: il mare ci identifica, ci distingue, cingendoci nel suo abbraccio; rende il nostro territorio, le nostre coste, i nostri paesi altrettanti oggetti di desiderio per tanti turisti che ci portano lavoro e possibilità di vita; ma il mare è anche barriera, ostacolo insormontabile a volte; e allora lo malediciamo e ci sorprendiamo a provare invidia per chi, sul continente, a qualsiasi ora del giorno e della notte, può prendere e partire, può andare dove vuole o deve, mentre noi siamo legati ad orari di trasporto marittimo insoddisfacenti e lacunosi, spesso non coincidenti con quelli dei treni o dei pullman, e naturalmente solo giornalieri, tanto da poter raggiungere ipoteticamente solo l’indomani un congiunto portato via d’urgenza la notte con l’elisoccorso.
Il mare, dunque, al contempo ci regala e sottrae libertà, condiziona le nostre esistenze, ci toglie presto i figli di casa, se vogliamo farli studiare, e spesso non ce li restituisce, perché vivere “fuori” è più comodo e può essere più stimolante, per le occasioni di crescita personale e di un lavoro soddisfacente. E il mare ci obbliga a trasferirci altrove, per farci curare, quando arriva qualcosa di veramente serio a spezzare la normalità delle nostre vite. Questo lo accettiamo, da sempre, quasi con fatalità. Non accettiamo invece di dovercene andare, magari con l’elicottero, per risolvere problemi di media o lieve entità; non accettiamo di spiccare il volo se si presenta un parto gemellare fisiologico o di partire per un esame che fino a poco tempo fa si poteva eseguire qui o, se cadendo, ci rompiamo qualcosa o se abbiamo bisogno di una visita oculistica. Non accettiamo che ci vengano sottratti, mese dopo mese, pezzi della nostra struttura ospedaliera, ridotti i posti letto e i giorni necessari di degenza; non accettiamo la soppressione delle guardie mediche, le file di ore per prenotare le analisi e poi, quando c’è posto, per farle né la ventilata soppressione della chirurgia, che metterebbe drammaticamente a rischio la nostra stessa sopravvivenza; non accettiamo che non funzioni l’ascensore, che non ci sia acqua calda in tutti i reparti, che sia progressivamente smantellato l’unico baluardo sanitario di una comunità insulare sparsa su un territorio di oltre 200 km quadrati, che nei mesi estivi, almeno per ora, speriamo anche in futuro, si moltiplica. Anche i turisti italiani e stranieri che amano l’Elba ci appoggiano in questa lotta: pure loro l’estate scorsa hanno partecipato a fiaccolate e raccolte di firme, perché, è intuitivo, vogliono che la loro vacanza sia garantita da un presidio ospedaliero efficiente.
Per parlare di tutte queste problematiche che ci stanno profondamente a cuore e ci assillano, per trovare insieme una soluzione, in un clima di reciproco rispetto e ascolto, la invitiamo, Presidente Rossi, cortesemente e fermamente, a venire all’Elba per incontrarci.
Non ci costringa a spostarci in tanti per venire a Firenze a invadere il palazzo della Regione; non ci spinga ad atti clamorosi, che non mancheranno se ignorerà il nostro appello accorato.
Venga lei da noi a rassicurarci, a garantirci una qualità di vita accettabile. Amiamo molto la nostra terra, per la sua “scomoda” bellezza e, pur essendo gente “tosta”, gente di sale e di miniera, sappiamo dimostrare ospitalità e generosità.
La attendiamo dunque con fiducia, entro il mese d’ottobre, e le porgiamo i nostri saluti
I comitati elbani per la sanità