Caro Giovanni, ho letto il tuo intervento sul referendum: sono d'accordo con te.
E non capisco perché Danilo Alessi neghi che esistano due appelli a votare sì, con le firme di 184 costituzionalisti e di oltre trecento intellettuali (docenti universitari, scienziati, scrittori, registi). Basta cercare su Internet per trovare i testi degli appelli e i nomi dei firmatari.
Non condivido i giudizi severi del compagno Alessi, che ti invita a documentarti meglio, sottintendendo che le persone informate votano no e soltanto gli ignoranti votano sì.
Tu riconosci che la modifica della Costituzione poteva essere fatta meglio. E anche a me sembra, per esempio, che sia mancato il coraggio − per ovvi motivi elettorali − di riformare le regioni a statuto speciale, dove sono frequenti le inefficienze e gli sprechi.
Ma i difetti della riforma non autorizzano a dire che ci voleva ben altro: il mantra del «benaltrismo» è un noto vizio italico, che garantisce un eterno immobilismo.
Ho sentito dire che, all'indomani della vittoria del no, potrebbe essere approvata una riforma migliore nel giro di pochi mesi. Insomma un nuovo grande "patto della crostata" fra Grillo e Silvio, Fassina e Brunetta, Smuraglia e Gasparri, Danilo e D'Alema…
Ne uscirà una costituzione miracolosa, che concilierà il presidenzialismo della Meloni, il parlamentarismo dei nostalgici della prima repubblica e la democrazia diretta attraverso il software Rousseau e il server della Casaleggio Associati. Però tutti sappiamo che, se vincerà il no, passeranno molti anni prima che si riparli di riforme costituzionali.
Qualcuno a sinistra afferma che la riforma è uno «scempio» della Costituzione e che contiene le avvisaglie di una svolta autoritaria. Ma, agitando la minaccia della dittatura e usando paroloni spropositati, non si costruisce nulla: al contrario, si acuiscono rancori e si scavano fossati. Si ha l'impressione che la sinistra lavori per il disfacimento di sé stessa, nell'illusione che dalle macerie possa uscire la mitica alternativa. Temo che dalle macerie possa uscire maggiore forza soltanto per Salvini e Grillo.
Pur con parole diverse, stanno tornano di moda le antiche accuse di "socialfascismo", che Gramsci definì «sciocchezze». Gli errori del passato (anche di un passato molto recente) non ci hanno insegnato nulla.
Dopo decenni di lamentele per il pingpong del bicameralismo perfetto, i rimpasti e le crisi di governo, il manuale Cencelli, i ricatti dei vari Mastella, ora alcuni scoprono che si trattava di un modello ideale. Eppure l'Italia repubblicana ha conosciuto esperienze drammatiche: dal governo Tambroni, al "Piano Solo" del generale De Lorenzo, dal golpe Borghese alla Loggia P2. Proprio Danilo mi raccontava che nelle federazioni del PCI erano stati designati segretamente gruppi dirigenti paralleli, che, in caso di golpe, erano pronti a entrare in clandestinità.
E l'Italia ha conosciuto anche esperienze tragicomiche, come quando, nel 2011, prima la Camera dei Deputati e poi il Senato della Repubblica − nel più scrupoloso rispetto delle norme della Costituzione e dei Regolamenti Parlamentari − votarono mozioni in cui si affermava che il Cavaliere (l'implacabile «fruitore finale») era davvero convinto che l'egiziano Mubarak fosse lo zio della marocchina Ruby Rubacuori, fanciulla ancora minorenne all'epoca della fruizione.
Non mi sembra che in quelle occasioni gli strumenti per proteggere la Repubblica siano venuti dal bicameralismo paritario, col suo sapiente equilibrio giuridico di pesi e contrappesi. Lo Statuto albertino, che era una costituzione liberale, non impedì l'approvazione delle cosiddette "leggi fascistissime".
Danilo sa meglio di me che la tutela della democrazia è garantita non dagli articoli della parte seconda della Costituzione, ma dalla presenza reale di partiti, sindacati, movimenti popolari, giornali, associazioni, lavoratori, studenti − insomma, uomini e donne in carne e ossa − che non sono disposti a subire avventure autoritarie.
La riforma che ora è sottoposta al voto popolare renderà un po' più efficienti le nostre istituzioni. Tutto qui: e non è poco.
È legittimo essere d'accordo oppure no. Ma è assurdo che si rivolgano appelli accorati a chi abbia a cuore la libertà e la democrazia, come se agli altri non importasse nulla della democrazia.
È offensivo che il no sia presentato come un dovere civico e, addirittura, come un dovere morale.
Un dovere morale la difesa del bicameralismo perfetto? Suvvia: confondere il bicameralismo con l'etica è un'assurdità.
Per favore, compagni, non esagerate: non potete imitare la propaganda democristiana del 1948, quando nelle chiese le statue piangevano e muovevano gli occhi.
Domenica 4 dicembre io voterò sì, in pace con la mia coscienza: non mi sentirò un malvagio.
E rispetterò quelli che voteranno no, perché preferiscono il bicameralismo paritario e il metodo proporzionale D'Hondt della prima repubblica.
Compagni, invitate la gente a usare la ragione. Siate laici.
Gian Piero Berti