Bellezza come progetto e Legalità come metodo. La sintesi del Programma Elettorale del Movimento “Idea Comune” che il nostro candidato a Sindaco Lorenzo Lambardi faceva lo scorso venerdì in piazza Da Verrazzano a Marina di Campo è straordinariamente semplice e chiara. Ho cercato di illustrare qual è il significato che per me assume il concetto di Bellezza come progetto. Vorrei ora soffermarmi sul concetto di Legalità come metodo.
Scriveva Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di grandi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità: si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima; e ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E’ per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Il nesso fra Bellezza e Legalità, di cui ha parlato il candidato Sindaco, di cui parla il Programma Elettorale del “Movimento Idea Comune” non potrebbe essere meglio chiarito, e non potrebbe avere testimone più autorevole.
Il significato più ampio delle parole di Impastato è illustrato in un bellissimo libretto di Gherardo Colombo, già magistrato a Milano nel periodo dell’attentato a Falcone, ora dedito completamente a insegnare ai giovani delle scuole il valore della Legalità. ‘Sulle regole’ (Feltrinelli, Milano, 2008) è il titolo; e il tema trattato riguarda il passaggio dalla società “verticale” del sistema feudale -che vedeva nelle mani del sovrano e dei suoi “pari” tutto il potere su ogni aspetto della vita e sulla morte dei “sudditi”- alla società “orizzontale” delle odierne realtà democratiche.
Colombo spiega che tale passaggio non è stato né veloce, né semplice, né indolore. E che non si può dire neppure concluso del tutto: perché nella società orizzontale diritti e doveri sono di tutti, e costituiscono responsabilità individuali dirette non facili da sorreggere. Delegare a un Grande Capo che pensi a tutto è assai meno faticoso, come si è visto per largo tratto del Ventesimo secolo.
Nelle nostre società l’architettura del governo non poggia su un uomo solo (“quod regi placuit legis habet vigorem”, ciò che ha deciso il re ha vigore di legge), ma risiede nelle Istituzioni, che hanno nelle leggi fondamentali (le Costituzioni) e nelle leggi ordinarie cardini di riferimento e norme orientative: appunto il sistema delle regole di cui parla il libro di Colombo. “I doveri, e cioè le limitazioni e gli obblighi, possono essere imposti solo in funzione del rispetto dei diritti degli altri e dell’efficacia dell’organizzazione sociale. Se a ciascuno spettano gli stessi diritti e sono imposti gli stessi doveri, ogni persona che partecipa alla società risulta uguale alle altre di fronte alla legge.<…> L’uguaglianza di fronte alla legge non ha la conseguenza di far diventare le vite delle persone tutte uguali come fotocopie, costringendo a un’esistenza uniforme e ripetitiva <…>: ciascuno resta artefice del proprio quotidiano, del proprio futuro e della propria emancipazione”.
Nella società locale le Istituzioni hanno il compito di trasmettere e promuovere questi principi, e attraverso di essi regolarne la vita e garantirne il funzionamento e lo sviluppo.
La Legalità è l’insieme di Diritti, doveri e regole: ciò che si può fare, si può chiedere, si può ottenere sta scritto nelle leggi. Non nella prossimità familiare o amicale. Nelle leggi. Tutti devono poter ottenere ciò che le leggi consentono di chiedere; nessuno ciò che le leggi vietano. Il riferimento sistematico alle leggi dello Stato deve essere il metodo esclusivo dell’Amministrazione. Si tratta di postulati chiari, quasi ovvi.
Ma non è sempre così. Il rischio si annida nell’interferenza dei rapporti personali che quasi naturalmente alterano il funzionamento delle norme: “ci parlo io, che lo conosco”; “posso sentire un amico”, “ho un cugino”, “mi deve un favore”… Quante volte ci è capitato di ascoltare frasi di questo genere. E ogni volta la conseguenza è che il privilegio ottenuto danneggia il diritto di un altro: quello che era primo in fila; che aveva precedenza nell’avere la casa, il posto di lavoro, l’analisi medica. La tassa non pagata perché si conosce il funzionario (o semplicemente perché chi dovrebbe fare gli accertamenti è latitante) sottrae risorse all’insieme dei cittadini.
Per questo dobbiamo pretendere la rigorosa applicazione delle norme, accompagnata dalla trasparenza delle Istituzioni in tutte le loro articolazioni.
Così, gradualmente, ogni cosa raggiungerà il suo luogo, come insegnava Aristotele; e la confusione istituzionale, il disordine del Territorio, le tensioni fra i cittadini si andranno componendo in una armonia che sarà specchio della bellezza naturale di questa nostra terra. Proviamoci. “Perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Claudia Danesi