“I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore” (art. 54 c2 Costituzione).
Questa indicazione della nostra Costituzione dovrebbe di per sé costituire un potente antidoto a quella che ormai si indica genericamente come “antipolitica”, e che sta comunque alla base del comportamento dei molti cittadini che scelgono (legittimamente) di non utilizzare lo strumento principale di ogni democrazia, cioè il voto. Con insistenza che appare persino sospetta i mezzi di comunicazione e i ‘social media’ si soffermano sul decadimento delle istituzioni della vita civile, cioè della ‘politica’. E’ un messaggio devastante, che non si può accettare senza reagire. Ma è anche inutile negare alcune evidenze. Dice Stefano Rodotà in “Elogio del moralismo”: “Istituzioni e uomini non vengono più rispettati quando non appaiono rispettabili. E più questo fenomeno si allarga, più diventa impossibile il consenso, che viene sostituito con la connivenza, la complicità. Il grande corruttore ha bisogno d’una rete di piccoli corrotti perché la sua non sia solo una pratica, ma un esempio. Una ‘cultura’, come ormai s’usa dire”. Non vengono più rispettati quando vengono meno al dovere di adempiere alle funzioni pubbliche “con disciplina e onore”.
Si fa un po’ fatica, oggi, a pronunciare queste due parole, così lontane dal linguaggio corrente. Eppure sono l’argine immaginato dai Costituenti per garantire tutti i cittadini della probità dei loro amministratori. Prima ancora che si dovesse invocare la ‘legalità’ per ripristinare una prassi comportamentale evidentemente non ‘legale’; prima che si dovesse chiedere a gran voce la trasparenza delle procedure e delle decisioni, evidentemente compromesse nell’esercizio delle funzioni pubbliche.
Dice ancora Rodotà: “C’è una trasparenza sociale della quale volentieri avremmo fatto a meno: quella minuziosamente, quotidianamente, incarnata da comportamenti che esibiscono la forza in luogo del diritto, la sopraffazione al posto del rispetto, l’impunità invece della responsabilità. E dunque forza, sopraffazione, impunità diventano regole e indirizzi, di fronte ai quali non può esservi solo frustrazione o acquiescenza”.
La nostra vita associata sembra aver perduto interesse per tutto ciò che non può essere mostrato, esibito, utilizzato in una competizione anche solo immaginata con tutti, in una alienazione di sé continua anche perché incapace di assicurare un reale superamento della solitudine. Le relazioni personali sono mediate dalla competizione, quelle sociali dal desiderio di prevalenza, di ‘essere di più’, di prevalere, di emergere. A tutti i costi. E nel passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica rimane lo stesso atteggiamento, che tende a piegare al proprio successo, al proprio arricchimento, al proprio desiderio di prevalere tutte le relazioni con la realtà che ci circonda: dall’ambiente, alle persone, agli affetti.
Disciplina e onore. La Costituzione aveva dato le indicazioni.
Prosegue Rodotà. “Bisogna ricostruire per quelli che sono oggi, i nessi tra azione personale e sociale, tra interessi e valori, tra comportamenti e regole <…> tenendo l’occhio aperto sulla folla dei fatti minuti e indecenti: registrandoli, denunciandoli e sapendo che la speranza di cambiare il mondo nasce sempre da un comune rifiuto delle deformazioni di quello in cui viviamo”. E dalla ricostruzione di relazioni vitali, profonde, autentiche: e allora, poiché è divenuto indispensabile, avanti con la legalità e con la trasparenza. E con la verità.
“Chi può comprare la bravura è valoroso, anche se è vile. Poiché il denaro si scambia non contro una qualità determinata, contro una cosa determinata, contro qualcuna delle forze sostanziali umane, ma contro l’intero mondo oggettivo umano e naturale <…>. Ma se supponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, tu puoi solo scambiare amore con amore, fiducia con fiducia, ecc. Se vuoi godere dell’arte, devi essere un uomo colto in fatto di arte; se vuoi esercitare un'influenza su altri uomini, devi essere un uomo attivo realmente stimolante e trascinante altri uomini. Ogni tuo rapporto con gli uomini – e con la natura – deve essere un’espressione determinata, corrispondente all'oggetto da te voluto, della tua reale vita individuale. Quando tu ami senza provocare amore reciproco, cioè quando il tuo amore come amore non produce amore reciproco, e attraverso la tua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura” (Marx, ‘Manoscritti’ del 1844).
Claudia Danesi
IdeaComune