L'inaugurazione del panificio e dell'area verde nella Casa di reclusione "P. De Santis" di Porto Azzurro è stata l'occasione per riportare l'attenzione sulle finalità del carcere. I numerosi presenti, espressione del mondo economico e istituzionale elbano nonché i diversi operatori che gravitano attorno al "pianeta carcere", hanno potuto ascoltare parole "costituzionalmente corrette" e vedere come sia possibile intraprendere e consolidare percorsi virtuosi. Il direttore del penitenziario, Francesco D'Anselmo, e il commissario di polizia, Giuliana Perrini, hanno presentato la realtà locale. Ed è stato il sottosegretario alla giustizia, Cosimo Maria Ferri, a offrire motivi di ampia e approfondita riflessione. Lo ha fatto all'insegna del ringraziamento a ognuno dei soggetti presenti, un riconsocimento all'impegno quotidiano e alle potenzialità.
Ferri ha ricordato la funzione della pena: rieducare per il reinserimento. Questo è il motivo per cui esiste il sistema penitenziario. Una finalità che vede coniugare con sapienza l'aspetto educativo con il fattore sicurezza, elemento delicato che è affidato alla intelligenza, alla competenza e all'umanità degli agenti di polizia. E, in questa funzione, al carcere di Porto Azzurro deve essere riconosciuta una crescita significativa registratasi negli ultimi due anni. "A dimostrazione – ha sottolineato il sottosegretario Ferri – che gli uomini possono fare la differenza e rimettere in moto meccanismi che, talvolta e per svariati motivi, si inceppano".
Da garante dei diritti dei detenuti, presente in questa veste da poco meno di due anni, sottoscrivo le parole del sottosegretario, affermando che sono tanti i segnali positivi di quello che ho definito "un nuovo e positivo dinamismo" che ha preso il via in particolare – due anni fa – con l'incarico di direttore assegnato a Francesco D'Anselmo.
Certamente esistono diverse criticità: alcune dovute a fattori interni altre a situazioni di carattere nazionale e regionale. Fa ben sperare, però, seppure fra difficoltà, la mentalità di programmazione che si sta affermando, una politica della gradualità che dà frutti. Giustamente è stato segnalato il tema del lavoro dei detenuti. Passare da 30 a 84 persone in regime di art. 21 (ammissione al lavoro esterno), a cui si aggiungono una cinquantina nei lavori interni, su un totale di circa 260 reclusi, rappresenta un elemento che incoraggia a proseguire nell'impegno. Il miglioramento della vivibilità interna, con le varie attività scolastiche-culturali-sportive e la dotazione di spazi (come l'area verde esterna, destinata ai colloqui con i familiari, dotata di attrezzature confortevoli e ludiche per sottrarre i bambini ad impatti ambientali sfavorevoli), sono la dimostrazione che si può procedere in modo virtuoso.
L'attenzione del territorio, la cosiddetta partecipazione della comunità esterna alle attività trattamentali, rappresenta un fattore decisivo di sviluppo. La rete di rapporti, a cui il direttore D'Anselmo si dedica, sicuramente darà ulteriori risultati, soprattutto in ambito lavorativo e in quello culturale. Sì, perchè quella culturale è la sfida maggiore. Nei confronti del carcere (o è meglio dire: nei confronti del condannato che sconta la sua pena) esistono tante posizioni, frutto quasi sempre di ragionamenti diversamente motivati. Esiste un baluardo, una linea di confine invalicabile, a Costituzione vigente, chè è l'art. 27 della Carta: trattamento umano e rieducazione per il reinserimento sociale. Su questo lavoro culturale tutti devono sentirsi impegnati, ma in modo particolare la scuola, gli opinionisti ("intellettuali") e i giornalisti. E circa la scuola, posso affermare per esperienza diretta che la visione del carcere e del detenuto si modifica nel momento in cui, dalla classificazione (etichettatura), si passa all'incontro, ai volti che comunicano, all'ascolto reciproco.
Concludo questo interevento con due speranze, che diventano invito a coloro che hanno il potere di assumere decisioni.
Prima speranza. Per rilanciare in modo ottimale la Casa di reclusione elbana è necessario non perdere di vista la sua identità, la sua storia di penitenziario con pene medio-lunghe. Purtroppo, e non solo nella fase di sovraffollamento, sono stati trasferiti a Porto Azzurro condannati a pene brevi o con breve residuo di pena da scontare oppure con problematiche psicologiche e psichiatriche che hanno necessità di strutture specifiche. Spesso si rincorre l'emergenza, a scapito della progettazione. Spero che in questo si possa registrare una inversione di tendenza. A vantaggio dei detenuti e degli operatori.
La seconda speranza attiene al lavoro del Governo che, entro settembre, dovrà presentare i decreti delegati sul sistema penitenziario. I decreti dovranno attenersi ai criteri della legge delega. Questi criteri, come è normale, possono essere concretizzati in modi diversi. La speranza è che tecnici e governanti lavorino mantenendosi in ascolto di quanto emerso dal "certosino" lavoro dei diciotto tavoli nazionali (gli Stati generali) dedicati ai diversi ambiti e aspetti del sistema carcerario.
Nunzio Marotti
Garante diritti dei detenuti di Porto Azzurro