Con l’inaugurazione del nuovo Governo promosso e sostenuto da M5Stelle e Lega, possiamo finalmente smettere col gioco eterno dei pronostici e dei tatticismi. Anche perché ora è l’azione del Governo a dovere essere esaminata, ed essere esterni consente di fare ciò che la Sinistra quando era al governo non ha fatto: pensare al proprio futuro e insieme a quello del Paese. Partendo dalla nuova realtà che sta davanti agli occhi di tutti: i ceti naturalmente appartenenti alla sua area si sono sentiti non più rappresentati, considerati, difesi, sostenuti, compresi; e sono migrati altrove, dove sembrava che si parlasse di loro e con loro in modo più immediato e più ‘semplificato’. E il PD, ormai, rappresenta solo il suo frammentario apparato.
«La sinistra ha abbandonato le ingiustizie. È diventata la sinistra dei diritti, non quella delle condizioni sociali. Non si può essere la ‘sinistra dei diritti’ senza occuparsi dei bisogni essenziali. Va bene discutere di unioni civili, ma deve essere l’altra faccia di un interesse precipuo alle condizioni elementari di vita: sinistra e bisogni sono una sola cosa. Se la si spoglia di questo perde la sua identità. <…> La gente non arriva a fine mese, lavoratori sfruttati in modo vergognoso, figli che vanno fuori, l’immigrazione intellettuale spaventosa. Al Sud esistono povertà e mancanza di opportunità. Di queste due cose il Pd non si è mai occupato. Sembra incredibile, ha scelto il governo: diventare sistema. Da forza di opposizione alle camorre e alle clientele a forza di sistema che le rispetta. Hanno dilapidato un patrimonio impressionante. <…> Diventare il sistema dove c’è povertà è una stupidaggine totale. <…> Il PD è diventato il partito degli agiati, nel Meridione. Il partito di chi, essendo arrivato a una certa posizione, la difende. Essere conservatori in una realtà arretrata è tipico della destra. Farlo dichiarandosi di sinistra è folle».
Traggo queste considerazioni da una intervista fatta a Isaia Sales (già deputato PD) da Concita De Gregorio per “Repubblica”, il 06.04.2018. Mi sembrano espressioni di lucido buonsenso, dalle quali ripartire per un cambiamento di cultura politica a sinistra che appare ineluttabile e non più ritardabile.
La destra di sempre si affanna a dire che non esiste più la dicotomia destra/sinistra, sostituita –sembra- da quella sovranisti/europeisti (o globalisti): il fantasma che si aggirava per l’Europa nel 1848, come dicevano Marx e Engels, continua a terrorizzare chi ha –o crede di avere- qualcosa in più da perdere. In realtà a me appare di tutta evidenza che l’alternativa resta: da una parte pochi individui che si impossessano di quasi tutte le risorse disponibili grazie al lavoro di tantissimi lavoratori, dall’altra l’infinita e crescente moltitudine di “poveri” ai quali quelle risorse vengono sottratte. Se non c’è una sinistra che dà loro voce, chi sente ogni giorno di più il peso della propria condizione si rifugia là dove si annuncia –in modo disordinato, con una comunicazione emotiva ancorché poco concreta- la buona novella di una nuova epoca (la Terza Repubblica di Di Maio) in cui i duri e puri realizzeranno pace, giustizia e prosperità, pur senza toccare gli assetti sistemici della società. E allora la Sinistra muore.
Fabrizio Barca, intervistato per “L’Espresso” (11.04.2018) da Alessandro Gilioli, che gli chiede di commentare i numeri degli ultimi dieci anni -12 milioni di voti al Pd nel 2008, 6 milioni nel 2018, mentre anche la sinistra radicale è finita nell’irrilevanza-, osserva con severità ma senza alcuna animosità:
«Andrei ancora più indietro nel tempo. È da almeno 25 anni che vediamo un’incapacità progressiva della sinistra di rappresentare le classi subalterne della società, <…> gli ultimi, i penultimi e i vulnerabili. Quando non rappresenti più quegli interessi il tuo elettorato cerca qualcosa altrove. E a un certo punto le cose precipitano. <…> Fino agli anni Ottanta non solo il Pci ma anche i socialisti e la sinistra della Dc hanno svolto un ruolo di rappresentanza popolare. Ma hanno iniziato a perderlo quando il neoliberismo è diventato egemone e li ha inibiti dal contrastare la concentrazione di reddito e ricchezza che veniva dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici. Persa questa capacità di rappresentanza, le tre aree politiche in questione -Pci, Psi e sinistra Dc- hanno cercato di perpetuarsi unendosi gradualmente in un unico partito, il Pd, senza però ritrovare un ruolo di tutela del lavoro e dei più deboli, anzi assecondando le dinamiche che aumentavano le disuguaglianze. E nessun partito di sinistra oggi comunica una genuina ed empatica sensazione di dire “siamo con voi”. Con i lavoratori, naturalmente».
La causa di tutto questo? «È iniziato tutto –dice ancora Barca- con la caduta del Muro di Berlino. Noi della sinistra -anche nel Pci- sapevamo benissimo che il “socialismo reale” non era il modello giusto per liberare le persone. Eppure dopo la caduta del Muro abbiamo pensato che fosse finito TUTTO quello in cui avevamo creduto: l’avanzamento sociale, la lotta contro le disuguaglianze, l’emancipazione delle classi deboli. Abbiamo pensato che davvero fosse finita la storia <…> e che la vittoria del neoliberismo fosse definitiva. C’è stato un totale ripudio del passato e un’adesione interiore al neoliberismo. Un’intera generazione di sinistra -la mia- dopo il 1989 si è convinta che i suoi ideali di uguaglianza fossero una sorta di romantico errore di gioventù. <…> La crisi della sinistra non è solo italiana, basta guardare alla Francia e all’Olanda, per esempio. Credo che però la particolarità italiana abbia due ragioni. Una è il Pd stesso <…> La seconda risposta è legata al Movimento 5 Stelle. Che, certo, è diverso da Podemos o da Syriza, ma ha dato una risposta alla stessa richiesta di radicalismo -e anche di scorciatoie, come se andare al potere potesse sostituire una strategia di cambiamento-. In ogni caso, in Italia ci sono masse di persone che non si sentono più rappresentate dalla sinistra e hanno trovato il porto dei 5 stelle. E questo ha tolto la base anche ai partiti che hanno provato ad affacciarsi alla sinistra del Pd».
La risposta deve essere cercata in una Sinistra critica e amareggiata, ma attenta e pronta a ripartire, da zero. O meglio, da una analisi approfondita di quanto è avvenuto, e consapevole delle cause e degli effetti. La strada che si apre davanti –speriamo- è lunga e si presenta faticosa: si tratta di passare dalla comunicazione a effetto e dalle battute argute allo studio attento e non immediatamente gratificante –e quindi a una comunicazione tutt’altro che semplice- dei mutamenti culturali, economici, sociali intervenuti a disegnare la realtà che ora sta davanti ai nostri occhi preoccupati; e si tratta di elaborare strategie conseguenti da portare avanti in Parlamento e nella società per significare che si conoscono i problemi e si sanno immaginarne le soluzioni.
«Credo –prosegue Barca- che la questione oggi non sia quella che ha animato il dibattito in queste settimane (governo o opposizione) ma stia piuttosto nelle battaglie parlamentari <…> in direzione dell’eguaglianza sociale, a partire dal lavoro e dalle aree abbandonate. Lo schiaffo è stato violentissimo. E quando si riceve una sberla così ci sono due sole reazioni possibili: la prima è arroccarsi ancora di più -magari guadagnando un anno o due- e allora ci si condanna al suicidio, all’estinzione. Oppure la classe dirigente trova il coraggio di dirsi: “Va così male che mi metto a repentaglio, ora ho da perdere molto meno di prima”. Quindi si cambia tutto, innovando in modo radicale».
Proviamoci, perché non possiamo essere noi a rinunciare alla battaglia per la giustizia che negli ultimi duecento anni ha cambiato il mondo.
Luigi Totaro