Secondo Coldiretti, che sul tema ha organizzato ieri, 7 novembre, a Roma una affollata manifestazione, i cinghiali in Italia sono più che raddoppiati negli ultimi dieci anni e hanno raggiunto i 2 milioni. La più grande organizzazione agricola italiana denuncia che «Nella dorsale appenninica le popolazioni di cinghiali guadagnano terreno rispetto alla presenza umana con una concentrazione media di un animale ogni cinque abitanti in una fascia territoriale segnata già dalla tendenza allo spopolamento per l’indebolimento delle attività tradizionali».
Coldiretti ha provocatoriamente portato in piazza Montecitorio un pentolone gigante di polenta e di spezzatino di cinghiale, oltre a cartelli con le foto degli incidenti provocati sulle strade e dei danni nelle campagne e sottolinea che «L’eccessiva presenza di selvatici rappresenta un rischio per l’agroalimentare italiano visto che proprio nei piccoli comuni sotto i 5mila abitanti si concentra il 92% delle produzioni tipiche nazionali secondo lo studio Coldiretti/Symbola con ben 270 dei 293 prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) italiani riconosciuti dall’Unione Europea tra formaggi, oli extravergine di oliva, salumi e prodotti a base di carne, vini, panetteria e pasticceria. Un patrimonio conservato nel tempo dalle 279mila imprese agricole presenti nei piccoli Comuni con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari. Un tesoro messo a rischio dall’avanzata dei cinghiali che sempre più spesso in queste aree si spingono fin dentro i cortili e sugli usci delle case, scorrazzando per le vie dei paesi o sui campi, nelle stalle e nelle aziende agricole».
Per Coldiretti, «Quella degli animali selvatici è infatti una minaccia diretta alla sicurezza delle persone, con morti e feriti causati da attacchi di branchi di cinghiali scoperti mentre devastano campi e coltivazioni o entrano nelle aie delle case dove spesso a farne le spese sono anche cani pastore e da compagnia. La proliferazione senza freni dei cinghiali sta mettendo anche a rischio l’equilibrio ambientale di vasti ecosistemi territoriali. Studi ed esperienze relative all’elevata densità dei cinghiali in aree di elevato pregio naturalistico hanno mostrato notevoli criticità in particolare per quanto riguarda il rapporto tra crescita della popolazione dei selvatici e vegetazione forestale. Proprio le modalità di ricerca di cibo attraverso una cospicua attività di scavo ben visibile sui campi coltivati provoca, infatti, anche su superfici naturali notevoli danni alla biodiversità. Si possono considerare le conseguenze negative sulla nidificazione degli uccelli che depositano le uova sul suolo o l’impatto sui piccoli mammiferi, come ad esempio i ghiri, che creano le loro tane nell’immediata superficie soprattutto contigua all’apparato radicale di piante. Sempre nelle aree boschive sono poi ben conosciuti i danni provocati dagli spostamenti di questa specie golosa di frutti spontanei come i tartufi che rappresentano, per molti territori una vera ricchezza non solo biologica quanto economica costituendo una fonte integrativa di reddito per molti residenti».
Argomentazioni condivise in gran parte anche dal presidente di Federparchi Giampiero Sammuri che intervenendo manifestazione promossa da Coldiretti ed altre associazioni ha detto che «C’è una enorme proliferazione di cinghiali su tutto il territorio nazionale a cui occorre mettere un freno, si è parlato di una modifica della normativa, ma c’è da dire che anche con le regole vigenti si può condurre un’azione efficace di controllo di questa specie, ovvio che alcuni aggiornamenti legislativi potrebbero rendere tali attività più incisive. Io ho proposto una modifica molto semplice: con il collegato ambientale nella scorsa legislatura è stato introdotto il reato penale per chi dà cibo ai cinghiali (“foraggiamento”) e per chi li libera sul territorio nazionale, ho quindi avanzato l’idea di estendere la figura di reato anche nei confronti di coloro che disturbano le operazioni di contenimento della specie, contenimento che avviene attraverso le catture tramite trappolamenti oppure con gli abbattimenti selettivi. Le azioni di disturbo costituiscono, infatti, uno dei motivi per cui a volte le operazioni di contenimento sono difficoltose. In ogni caso vi è la necessità di interloquire fra diversi stakeholders, mentre gli agricoltori vorrebbero una drastica riduzione dei cinghiali, altre categorie non concordano con questa visione; è evidente che quando si propone un intervento legislativo ci si confronti con tutti i soggetti interessati».
Per quanto riguarda i Parchi, Sammuri ha evidenziato: «Posso dire che stanno lavorando tutti, con maggiore o minore efficacia a seconda delle situazioni, in questa direzione. Le aree naturali protette hanno interesse ad una drastica riduzione dei cinghiali all’interno del loro territorio perché questi animali non fanno solo danni alle culture agricole, come appare chiaro a tutti, ma fanno danni anche alla biodiversità, penso alle essenze vegetali, a partire da quelle più delicate come le orchidee e tante altre piante, così come danneggiano la piccola fauna che sta sul suolo. Ribadisco quindi che sin può lavorare in modo più efficiente utilizzando in pieno gli strumenti che sono già largamente disponibili e con piccole, ma rapide, modifiche alla normativa».
Coldiretti ha colto l’occasione della manifestazione a Roma per presentare il Dossier Coldiretti/Ixe’ sull’emergenza animali selvatici in Italia dal quale emerge che «Oltre 8 italiani su 10 (81%) pensano che l’emergenza cinghiali vada affrontata con il ricorso agli abbattimenti, soprattutto incaricando personale specializzato per ridurne il numero». Un allarme condiviso dall’Autrorità per la sicurezza alimentare Europea (EFSA) che ha appena lanciato un appello urgente ai Paesi dell’Ue chiedendo «misure straordinarie per evitare l’accesso dei cinghiali al cibo e realizzare una riduzione del numero di capi per limitare il rischio di diffusione di malattie come la peste suina africana». Un allarme reale anche in Italia dove i cinghiali sempre più spesso razzolano tra i rifiuti delle città.
Secondo l’indagine Coldiretti-Ixe’, «La fauna selvatica rappresenta in generale un problema per la stragrande maggioranza dei cittadini (90%). Nel mirino finisce soprattutto la presenza eccessiva di cinghiali, che il 69% degli italiani ritiene che siano troppo numerosi mentre c’è addirittura un 58% che li considera una vera e propria minaccia per la popolazione, oltre che un serio problema per le coltivazioni e per l’equilibrio ambientale come pensa il 75% degli intervistati che si sono formati un’opinione. Il risultato è che oltre 6 italiani su 10 (62%) ne hanno una reale paura e quasi la metà (48%) non prenderebbe addirittura casa in una zona infestata dai cinghiali». Alla domanda su chi debba risolvere il problema, il 53% ritiene che spetti alle Regioni, per il 25% è compito del Governo e per il 22% tocca ai Comuni.
Coldiretti ricorda che «Le preoccupazioni dei cittadini sono fatte proprie dalle amministrazioni territoriali come dimostrano le ultime posizioni assunte dai Governatori, dai sindaci e dagli amministratori sui territorio, a partire dalla Conferenza delle Regioni che ha definito i selvatici “un’emergenza nazionale”. Sulla stessa linea l’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni che, per bocca del suo presidente Antonio Decaro (primo cittadino di Bari), ha denunciato come i cinghiali rappresentino un problema di sicurezza per i cittadini, chiedendo ai Ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole l’attivazione di un tavolo tecnico per capire come arginare il fenomeno. Posizione condivisa anche dall’Upi, l’Unione delle Province italiane, secondo la quale “la moltiplicazione di questi animali sta mettendo in serio pericolo la sicurezza degli automobilisti”».
Il presidente della Coldiretti. Ettore Prandini, ha concluso: «I risultati dell’indagine sono la prova evidente del fatto che ormai anche la maggioranza degli italiani considera l’eccessiva presenza degli animali selvatici come una vera e propria emergenza nazionale che incide sulla sicurezza delle persone oltre che sull’economia e sul lavoro, specie nelle zone più svantaggiate».