La realtà è sempre questione di prospettiva, dipende dal punto di osservazione.
Parliamo ad esempio del trasporto marittimo. Ho letto articoli secondo i quali la privatizzazione del servizio ha indotto un aumento ingiustificato del prezzo dei biglietti e quindi ha inciso in maniera negativa sul consumatore finale, fruitore del servizio.
In economia è buona regola che per valutare il prezzo finale di un prodotto si analizzi il costo dell'intera filiera di produzione.
Qualcuno sa quanto costa far muovere una nave?
Analizziamo la tratta Rio Marina - Piombino, più breve e quindi con costi inferiori.
Quali sono i costi? Il personale di bordo, il carburante, gli approvvigionamenti, gli attracchi in banchina, l'ammortamento dell'acquisto di una nave, le manutenzioni ordinarie e straordinarie, le assicurazioni, il personale a terra per la prevendita dei biglietti e per l'attività contabile/amministrativa.
Ma fingiamo che i costi siano solo il personale di bordo, il carburante e gli approvvigionamenti (la nave l'abbiamo avuta in regalo e il resto non lo paghiamo) solo per sostenere il movimento della nave mensilmente c'è una spesa stimata di 250 mila euro per le tre voci costi di cui sopra.
Quindi ogni volta che la nave lascia gli ormeggi di Rio Marina per arrivare a Piombino si ha una spesa di 1.388 euro a tratta.
D'inverno di media vengono venduti circa 15 biglietti auto con passeggero e 30 passeggeri a tratta per un incasso totale di 480 euro.
Supponiamo che l'Armatore sia un evasore fiscale totale, un pirata che non paga le tasse, per cui diciamo che 480 euro è il guadagno netto e non l'incasso lordo.
Ogni volta che la nave si muove dal porto di Rio per arrivare a Piombino si ha una perdita di 908 euro stimati. Moltiplichiamo questo dato per 6 tratte giornaliere per 30 giorni, si può affermare che ogni mese si avrà una rimessa / deficit della modica cifra di 164 mila euro circa.
Si può quindi stabilire che da ottobre a marzo per il solo collegamento Rio Marina Piombino nei 6 mesi, definiti stagione morta le passività ammontano a circa un milione di euro. Adesso un milione di euro moltiplichiamolo per ogni nave che fa la tratta invernale sull'Elba e vi chiedo: Quanti biglietti dovrà vendere l'Armatore da aprile a settembre per garantire il servizio invernale, pareggiare i conti, pagare tutti gli oneri accessori e avere un utile d'impresa?
Vero è che la Regione Toscana, come convenzione di appalto eroga un contributo annuale che forse ripiana i costi delle tre navi in servizio sull’Elba, ma vero anche che il servizio comprende anche l’Isola del Giglio, Pianosa e Capraia e considerati i numeri dei residenti lì la perdita è sicuramente oltre il 90 % dei costi. E consideriamo anche che sull’Elba ci sono tratte invernali completamente a carico del privato che non hanno alcuna sovvenzione statale, se fossero tolte avremmo 3 forse 4 collegamenti giornalieri con il continente.
Gli Armatori che fanno servizio solo in estate, come le imprese che in economia sono definite "mordi e fuggi" non dovendo compensare perdite precedenti avranno solo guadagni e quindi possono permettersi di fare sconti , anzi potrebbero permettersi di dare gratis il passaggio residenti.
Permettetemi un'ulteriore riflessione.
E' dimostrato che i biglietti venduti ai turisti vanno in gran parte a finanziare il nostro servizio marittimo invernale. E nelle Isole più piccole Capraia – Pianosa – Giglio, dove la ricezione turistica è limitata alle dimensioni del territorio ed alle poche strutture presenti i proventi estivi coprono i deficit dei mesi invernali o producono ancora perdite anche nei mesi di stagionalità turistica?
E' stato affermato altresì innumerevoli volte che il calo delle presenze turistiche delle ultime stagioni all’Elba sia dovuto al caro prezzi traghetti, ma se così fosse perché gravare tale costo ulteriormente con l'aggiunta della tassa di sbarco?
Quando i grandi imprenditori iniziano ad avere difficoltà i primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori, ricordiamoci colossi come la FIAT che quando perse le sovvenzioni statali e non aveva più utili di impresa trasferì la produzione in Romania dove il costo del lavoro era notevolmente inferiore permettendogli così di abbassare il prezzo di vendita del prodotto finale per rilanciare l’offerta e adeguarsi agli standard di concorrenza. Successivamente raggiunti gli obiettivi prefissi, ha rialzato i prezzi incrementando gli utili, e in Italia quante famiglie restarono senza più sostentamento, completamente sul lastrico? Quanti furono gli anni bui della crisi per l’intera città?
Dove non ci sono grandi imprenditori che lavorano che rischiano il patrimonio in ogni investimento, che anticipano i soldi o si fanno carico del credito bancario per l’avvio di nuove attività, non c’è lavoro e non c’è benessere per nessuno.
Lascio al lettore le proprie conclusioni , ma posso solo dire che fare impresa oggi non è semplice e dovremmo rendere onore a coloro che ancora restano sul mercato a garantire un servizio e a dare lavoro.
Roberta Madioni