Le dispute, più o meno sanguigne, sull’accorpamento o la dispersione (amministrativa e identitaria) di piccoli comuni uniti da vicinanze storiche e topografiche si perdono nella notte dei tempi. L’Italia è da sempre il paese dei comuni, dei campanili, degli abbracci sperticati quando, in territorio neutro, si scopre di provenire dallo stesso paese e forse di condividere antiche parentele: “Ma si! Tua nonna materna era la zia, del cugino, del nipote, del fratello di mio prozio Annibale; perciò io e te siamo……..” Ah saperlo!
Una delle più grosse soddisfazioni che l’abolizione della sigla provinciale dalle targhe ci ha tolto è senza dubbio quella di strombazzarci a distesa ogni qualvolta, magari in terra straniera, si incrociava un similtargato. Ma in fondo come amava ripetere il Principe De Curtis. “Siamo italiani o non siamo italiani?” E allora un po’ di sano affetto per le proprie radici ci sta sicuramente bene. Altro è il campanilismo becero, spesso condito da malsane distorsioni di pallonare passioni. Il vantaggio di mettersi insieme è innegabile, ed è anche moderno benché si rifaccia all’antichissimo detto per il quale l’unione fa la forza. Un’Elba unita, sarà sicuramente un’Elba più moderna ed efficiente e poi, se da osservatore esterno e futuro residente sull’isola, mi è consentito esprimere il mio modo di vedervi posso dire che, quando la scorsa estate sono stato con voi, non ho mai sentito nessuno dire: Io sono di Portoferraio, o di Marciana o altro. Ma solo: Io sono Elbano o Elbana a seconda dei casi. Voglio dire che l’unità d’animo e di intenti la avete già. Pertanto non dovrebbe essere complicato fare questo importantissimo passo verso il futuro e verso il mondo che diventa sempre più piccolo e attento. Oggi una comunità che vive di turismo, cultura e artigianato di gran classe non si può permettere il lusso dell’improvvisazione e voi Elbani le carte in regola per primeggiare nel complesso mercato delle qualità le avete tutte. Io sono stato sull’Isola due settimane ed ho incontrato solo persone gradevoli e accoglienti che con il turista ci sanno fare davvero. Vabbè dico la verità: in un solo negozio, tra i tanti visitati, non sono stato accolto con calore e simpatia: ma deve trattarsi di un caso limite perché nel summentovato esercizio era antipatico pure il cane. Oggi si guarda a mercati una volta lontani che sono raggiungibili solo operando insieme, dobbiamo conquistare l’oriente altrimenti l’oriente conquisterà noi. E’ notizia di questi giorni, tanto per dirne una, che le sette compagnie aeree top class nel mondo sono tutte orientali. L’Italia, pur tra mille difficoltà è sempre la meta più ambita dai turisti del mondo tutto, sempre più coppie straniere ogni anno decidono di convolare a giuste nozze nel Belpaese, e non si tratta solo di VIP. Offrire a queste persone, ma anche ad altri generi di visitatori, un pacchetto con servizi unificati (verso l’alto) costituirebbe un indubbio vantaggio. Se posso rafforzare il mio debole parere con qualche esempio a me noto mi sia consentito di citare i casi di L’Aquila (ove attualmente risiedo) e Pescara (ove ho vissuto per 5 lustri): all’Aquila, terremoto a parte, non si cava un ragno dal buco proprio in virtù della sempiterna lotta tra fazioni e frazioni: comunità divise solo da un cartello di inizio e fine territorio vantano supposte superiorità etniche ed intellettive rispetto ai vicini fino a qualche anno addietro – e non scherzo- erano malvisti anche i matrimoni tra residenti in frazioni nemiche. Il bello, anzi l’assurdo, di tali atavici e polverosi odi è che dei motivi primordiali che li hanno scatenati si è perduta traccia e memoria. E così la città languisce e muore e la disgrazia del sisma che, come tutte le disgrazie poteva portare dei benefici a lungo termine, ha rappresentato l’epitaffio sulla pietra tombale di un territorio che per storia, arte e natura non è secondo a nessuno. Pescara, viceversa, ha sempre vissuto un’idea di comunità globale che pur nelle necessarie divergenze di opinioni, ha saputo e sa ritrovarsi intorno a due parole: “INTERESSE COMUNE”, arrivando anche a costituire gruppi di opinione con i comuni vicini e la differenza di sviluppo economico tra le due città si vede ad occhi chiusi. Un altro esempio di unione virtuosa benché temporanea è ben disegnato da Perugia e Assisi che hanno presentato una candidatura unitaria a Capitale Europea della Cultura 2019. Un titolo non da poco se si considerata che una città come Liverpool, che ha ricoperto la carica nel 2008, ha raggranellato 900 milioni di euro a fronte di un investimento di 140 milioni. Con il comune unico si poteva concorrere adesso si dovrà aspettare il 2020. Ma intanto c’è da commemorare il centenario dell’arrivo di Napoleone sull’isola e al Grande Corso farà di certo piacere rivedere attuato quel comune unico che lui aveva voluto per l’Elba.
Sabatino Furnari