Lo shock che ci troviamo ad affrontare non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile. La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 1920 sono un ammonimento. Per queste parole di Mario Draghi si sono scatenate in Europa molte polemiche, poiché in una intervista al Financial Times non usa mezze parole e da posizioni molto prudenti da sempre espresse durante la sua guida della BCE, si muove ora in territori che sono a lui apparentemente sconosciuti, suggerendo ai governi di intervenire subito a sostegno dell'economia, perché perdere tempo potrebbe significare sprofondare in una recessione dalla quale potrebbe essere molto difficile venir fuori.
Il suo nuovo posizionamento nell’ambito della discussione europea sul come fronteggiare la crisi sistemica che sta per abbattersi sullo scacchiere del Vecchio Continente lo porta ad essere anche pensato come possibile futuro premier della nostra Italia.
Il fatto fondamentale è che si pensa di fermare l’onda del mare con un secchiello da spiaggia.
La maggior parte dei Paesi Europei hanno già stanziato cifre enormemente superiori alle inezie previste nel Decreto Cura Italia che, anche se sarà rimpolpato da cifre simili nel previsto prossimo provvedimento annunciato, rischia di essere ricordato in futuro più per essere stato un decreto Annacqua Italia.
Alcuni Stati Europei, inoltre, sebbene di dimensioni assai inferiori rispetto al nostro hanno già previsto, vedi Danimarca, un immediato accollo degli stipendi dei suoi cittadini per oltre il settanta per cento, nonché l’eliminazione di qualsiasi spesa che il citttadino dovrà sostenere per un periodo congruo.
Abbiamo già scritto di come l’Italia non possa permettersi sulla carta e secondo le regole finora stabilite, importi a doppia cifra per il suo enorme debito pubblico, ma le parole di Draghi pongono uno spartiacque senza precedenti nel dibattito pubblico europeo.
Whatever it takes fu l’espressione con la quale Draghi nel 2012 salvò l’area euro dalla dissoluzione, per preservare la capacità produttiva e i livelli occupazionali delle nostre economie e viene oggi alla ribalta più che mai, anche se questo comporterà una crescita rilevante del debito pubblico.
Non saranno certo provvedimenti utili come i cerotti che si usano coi bambini che si sbucciano le ginocchia durante il gioco a metterci in sicurezza, ma piuttosto occorrerà un gigantesco Nuovo Piano Marshall finanziario ed economico.
La ‘miopia’ con la quale si prevede di farlo, ad una lettura più attenta e prospettica del decreto suddetto, non può che cozzare contro la linea che Draghi ha messo in campo dall’alto della sua autorevole posizione.
Abbiamo già detto, ad esempio, del poco o nulla che si dice in merito alla parte relativa al mondo del lavoro nel settore stagionale e turistico ed abbiamo già evidenziato le intrinseche incongruenze laddove non si ha alcuna tutela per i lavoratori stagionali, non inquadrabili in un precedente rapporto di lavoro esistente e interrotto dalla crisi Covid_19.
Tuttavia emergono incredibili ed inaccettabili ispirazioni di fondo per le problematiche dell’impresa, come quella all’art. 56 comma 4 del Decreto ossia ad esempio: (… ) Possono beneficiare delle misure di cui al comma 2 le Imprese le cui esposizioni debitorie non siano, alla data di pubblicazione del presente decreto, classificate come esposizioni creditizie deteriorate ai sensi della disciplina applicabile agli intermediari creditizi.
Senza ovviamente annoverare in questa analisi quelle aziende che si considerano ‘decotte’, ossia con una posizione debitoria pari al loro fatturato o al loro patrimonio netto, verso le quali viene comunque con questa impostazione già pubblicato il loro ‘certificato di morte’, appare non proprio ‘curativo‘ lo spirito che ispira questo comma del suddetto articolo del DPCM ultimo scorso. Infatti basta immaginare una qualsiasi azienda che non abbia potuto escutere dei crediti certi da altre aziende che, nell’imbattersi nella crisi entrante dovuta alla emergenza sanitaria, non potranno onorare i propri debiti, ecco che gli eventuali sbilanciamenti finanziari che prima solo provvisori della azienda in questione possono causare la sua fine, allorquando la banca la consideri un’azienda ‘pregna di esposizioni deteriorate’.
Ponendo inoltre come si pone un limite di soli novanta giorni quale tempo a ritroso del perdurare della tensione finanziaria, il provvedimento così concepito sarà una ‘roulette russa’ per migliaia di aziende in Italia che programmavano una normalizzazione delle proprie posizioni, ma che invece questa impostazione impedisce ‘tout court’, negando quella moratoria dei mutui o prestiti in essere che la avrebbero messa in totale sicurezza.
Chiunque poi avesse avuto un programma di rilancio economico e produttivo trova in questa impostazione un limite insormontabile e specialmente chi nei mesi precedenti la catastrofe in corso avesse fatto investimenti considerevoli, tesi allo sviluppo della propria attività, potrebbe vedere irrimediabilmente compromessa la stessa per una cattiva interpretazione da parte degli Istituti di Credito, se mossi da una sommaria e poco attenta, nonché indiscriminata interpretazione del suddetto comma.
La nostra realtà elbana di economia turistica stagionale, per le ragioni appena descritte, potrebbe avere da queste cattive interpretazioni la messa in crisi di aziende solide, produttive e patrimonializzate, ma che una impostazione così equivoca e negativa del decreto stesso potrebbe mettere in cattivissime acque, portandole da aziende che rilanciano e sviluppano il tessuto produttivo locale ad essere aziende considerate, a torto, solo vittime del loro ‘rischio di impresa’, mentre altre potrebbero essere salvate, sebbene immobili e magari da tempo avvantaggiate da rendite di posizione.
Attenzione quindi ad analizzare con precisione ciò che possiamo trovare nei risvolti di un decreto che appare approssimativo e parziale di certo, ma che mai vorremmo considerare nel tempo invece che salvifico causa di ‘strozzamento’ definitivo per aziende sane e tese al loro aumento produttivo.
Tali valutazioni trovano conforto in diverse considerazioni che ci è capitato di fare con imprenditori ed analisti che da decenni operano nel nord produttivo e per ciascuno di loro vale l’assioma che lo stesso Draghi ha enunciato: la perdita di reddito del settore privato, e ogni debito assunto per riempirla, deve essere assorbita, totalmente o in parte, dai bilanci pubblici.
Debiti pubblici più alti diventeranno una caratteristica delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato. Attendiamo, quindi, che il prossimo annunciato decreto per altri ‘soli’ cinquanta miliardi almeno presenti una correzione di rotta nei suoi principi ispiratori, per fare in modo che certi dubbi e illazioni, più o meno complottistiche, non facciano cominciare a pensare anche a noi che, dietro a quello che accade, ci siano anche gravi occasioni di speculazione da parte di investitori che, senza scrupoli, abbiano da guadagnare da questa tragedia umana ed economica senza precedenti nella Storia Moderna.
Jacopo Bononi