Un certo ottimismo, a mio parere ingiustificato e pericoloso, inizia a diffondersi. Da molte parti si sente parlare di riaperture, di attività da riavviare in fretta. C'è nell'aria una specie di frenesia, quasi a voler dire che il morbo è sconfitto, che si ritorna ad una quasi-normalità. In questi giorni i dati ufficiali parlano di circa 4000 nuovi casi e centinaia di morti ogni giorno (circa 600 al giorno nell'ultima settimana).
Possiamo chiamarla normalità? Considerare questo un prezzo sopportabile, per “riaprire” il Paese? Temo che la ormai lunga convivenza con questa situazione ci abbia diminuito la capacità di giudizio. Purtroppo, i vari #andràtuttobene o #finiràpresto sono slogan ottimisti. I 20.000 decessi nel Paese ci gridano in faccia che non è proprio andato tutto bene, e gli scienziati sono concordi nel prevedere la necessità di misure cautelative, non per settimane, ma per mesi ancora.
Mi viene in mente l'eroe dei fumetti Tex Willer che, assediato al riparo di una roccia, mette fuori il cappello sulla punta di un bastone, e questo viene immediatamente trapassato da una pallottola.
Credere di poter uscire dal riparo, pensando che l'avversario se ne sia andato, può significare una metaforica pallottola in testa.
Dietro la porta chiusa del lockdown c'è ancora appostato il virus killer, pronto a diffondersi di nuovo, con estrema velocità ed in modo incontrollato. Mi sembra assolutamente indispensabile garantire che vengano messi in atto provvedimenti preliminari ad ogni ipotesi di riapertura generalizzata o quasi.
Se una cosa si può imputare a questo governo, che pure ha dimostrato di comprendere la gravità del momento, ed ha indicato una linea di comportamento collettivo condivisa ed adottata da molti altri Paesi, è di agire in modo poco lineare, senza riuscire a dare un seguito efficace, univoco e coerente ai provvedimenti ipotizzati. Per di più alcune regioni, per diversi motivi, seguono linee discordanti da quelle indicate dal Governo in merito alle riaperture ed alla mobilità individuale.
Permangono inoltre, a mio parere, alcune gravi falle dell'organizzazione anti-contagio:
1. Per quanto riguarda la quantificazione dell'epidemia, i pochi tamponi eseguiti (16-17 ogni 1000 persone) non hanno permesso stime plausibili sui contagiati, né sulla letalità effettiva del virus; non sappiamo neppure quanti abbiano sviluppato anticorpi, cioè quanto abbia circolato il virus. Sarebbe importante eseguire in modo sistematico tamponi di controllo in tutti i luoghi di lavoro ove vi sia la possibilità di contatto tra lavoratori, e test sierologici per accertare una eventuale presenza di anticorpi che, se presenti, dovrebbero rendere il lavoratore immune, o almeno più resistente al virus, e pertanto atto al rientro, in sicurezza, sul luogo di lavoro.
2. Il controllo sui cittadini non viene effettuato con gli strumenti che la tecnologia attuale consentirebbe, ma affidandosi a sistemi convenzionali, spesso eludibili. Oggigiorno si possono tracciare gli spostamenti delle persone attraverso una app sul telefono cellulare per accertare i contatti in caso di positività al virus. La temporanea violazione della riservatezza è giustificata da gravi motivi di salute pubblica.
3. Nel Paese si è registrata una mancanza clamorosa di semplici dispositivi di protezione, soprattutto mascherine facciali, e di informazioni chiare sull'uso e sull'efficacia delle stesse. E' invece imprescindibile dotare tutte le persone di mascherine chirurgiche e proteggere suppletivamente con mascherine di tipo FPP2 gli operatori esposti al pubblico.
Credo che questi elementi siano indispensabili per tutelare la salute collettiva, e poter quindi riprendere le attività produttive in condizioni di relativa sicurezza.
Invece sta crescendo esponenzialmente un altro virus, quello della riapertura a tutti i costi. Ognuno perora la riapertura della propria categoria: gli artigiani, i commercianti, le librerie, i bar, i ristoranti. D'accordo, ma a patto di eseguire prima i passaggi sopra elencati: non si deve scegliere tra l'economia e la salute, ma farle coabitare nella nostra vita. La risposta sanitaria e quella economica all'epidemia devono essere una cosa sola.
Insomma, è ovvio che non potremo stare a casa, al riparo, per sempre, pena conseguenze gravissime, sia pure per altri motivi, per milioni di persone. Ma la classe politica, anziché propinarci polemiche infinite e litigi da dita negli occhi, dovrebbe mettere a punto un piano condiviso da scienziati, forze politiche e popolazione per poter ripartire in sicurezza, con adeguate garanzie. Altrimenti tutto il dibattito che è in corso da settimane sarà stato solo uno spettacolino inutile, tutto tempo perso, col rischio di essere respinti nell'inferno di una pandemia fuori controllo.
Ugo Lucchini