In un dibattito sempre più teso e confuso sul futuro prossimo del turismo italiano, merita attenzione il tentativo degli operatori dell’isola d’Elba di avanzare una proposta che è esemplare sia nei suoi punti di forza che in quelli di debolezza. In breve, il modello elbano punta a valorizzare la reputazione di territorio colpito solo marginalmente dall’epidemia e propone un approccio caratterizzato da innovazioni commerciali (che riguardano essenzialmente la gestione delle prenotazioni) e soprattutto da innovazioni organizzative.
Tra queste registriamo: fine delle prenotazioni “rigide”, ossia solo da sabato a sabato, per distribuire temporalmente gli accessi all’isola, in coerenza con la riduzione della portata dei traghetti; un sistema di informazioni in tempo reale sull’affollamento delle spiagge; un ventaglio di servizi aggiuntivi compatibili con le regole del distanziamento (cene in camera, ristoranti con ampi spazi all’aperto, spesa online, etc). Nel complesso, una proposta ragionevole, che testimonia della qualità e della resilienza del turismo elbano.
Il peggiore degli errori sarebbe però pensare che tutto ciò basti.
Non basta ora, perché è necessario fare i conti con un turista diverso da quello dell’estate scorsa, un turista alla ricerca di riposo ed evasione dopo settimane di lockdown urbano, in cui ha accumulato ansie e tensioni personali e professionali, lo stress dei nuovi ritmi di lavoro, per non dire dell’incertezza esistenziale e normativa della fase 2 (e seguenti). A questo turista non bastano le promesse, per quanto generose. Questo turista ha bisogno di un patto: chiaro, affidabile, certificato.
Un patto innanzi tutto con gli operatori, per costruire un rapporto di fiducia solido e diretto, senza più mediazioni di piattaforme globali. È un rapporto che richiede trasparenza dei comportamenti assoluta e possibilmente certificata. E richiede di rinunciare a qualsivoglia compromesso rispetto alle ragioni della salute, dando prova che le regole non hanno eccezioni e che l’impresa turistica non si accontenta dei maquillage, ma è pronta a fare un salto di qualità e ad investire. Non sono richieste da poco: l’offerta ne risulterà selezionata.
Un patto dev’essere realizzato anche con le destinazioni. A fronte di un’epidemia, le isole hanno l’indubbio vantaggio di essere, appunto, isole, specie quando ciò si combina con favorevoli condizioni climatiche e ambientali. Il caso estremo dell’Isola del Giglio ce lo ricorda. È evidente che la riapertura alla mobilità regionale e inter-regionale comporta il rischio di scenari diversi da quelli dei mesi di confinamento. I turisti che arriveranno nell’isola d’Elba dovrebbero – a quanto si legge – essere certificati o testati all’arrivo. Ma chi e come certifica le destinazioni?
Un’indagine realizzata da Giacomo del Chiappa dell’Università di Sassari ci descrive un turista che richiederà non solo igienizzazione degli spazi pubblici ed efficace gestione del rischio di assembramenti, ma che vorrà anche essere rassicurato sulla presenza di un sistema sanitario locale capace di gestire un’emergenza che lo riguardi (80% degli intervistati). Ma siamo in grado di rassicurarlo, e subito, con fatti e dati (anch’essi possibilmente certificati)?
Così come ce lo raccontano i media, il “modello elbano” non basta però soprattutto in prospettiva. La stagione estiva 2020 sarà sicuramente negativa sul piano dei risultati economici e c’è solo da sperare (difficile esserne certi) che si riesca ad attutire un poco l’impatto della crisi. Qui (come nel resto d’Italia) bisogna decidere se la stagione 2020 debba essere solo un esercizio di sopravvivenza oppure la prova generale di una nuova fase del turismo elbano.
Conforta leggere che i sindaci dell’isola abbiano sottoscritto con operatori ed associazioni un protocollo d’intesa nel quale si afferma la necessità di una “rivisitazione del cosiddetto Modello Elba con definizione di nuove linee guida per il turismo del futuro”. Si parla di accoglienza, identità, natura, sicurezza, destagionalizzazione. Parole d’ordine condivisibili, ma che – e su questo il documento appare forse troppo prudente – richiedono un riposizionamento strategico coraggioso e lungimirante: nuovi prodotti per nuovi mercati ed un turismo diverso, fatto di natura e salute, al quale l’Elba può offrire risorse di qualità straordinaria. L’alternativa è che si cambi per non cambiare, magari concedendo più spiagge e più spazi al consumo turistico meno sostenibile. E allora l’epidemia finirà per rappresentare non solo un dramma, ma anche un’occasione persa.
Nicola Bellini
greenreport.it