A Marina di Campo circola molte chiacchiere su un presunto lassismo – di solito a chiacchierare è chi non ha mai mosso un dito – del Parco Nazionale e di Legambiente (sic!) rispetto a quella che sarebbe l’imminente trasformazione in un villaggio per turisti del faro di Capo Poro e dei manufatti che lo circondano.
Una questione, quella della variazione d’uso di alcuni immobili, sollevata proprio da Legambiente Arcipelago Toscano, con tanto di documentazione fotografica, in occasione del disboscamento e dell’ampiamento, apertura e tentativo di chiusura – anche con cartellonistica respingente e non autorizzata - dei sentieri che, attraversando la Zona B del Parco Nazionale, portano nell’area del faro di Capo Poro.
Mentre le voci e le le fake news circolavano, i carabinieri forestali intervenivano più volte in seguito alle nostre segnalazioni e il primo febbraio 2019 l’ente Parco confermava il diniego dei nulla-osta per l’intera operazione edilizia che qualcuno dava e qualcuno dà ancora per certa. Contro quei provvedimenti del Parco ha fatto ricorso al Tribunale Regionale Amministrativo della Toscana la Sviluppo Campese Ambiente Turismo Società Agricola (Scat) per chiederne l’annullamento. Il Comune di Campo nell’Elba, non si è costituito in giudizio.
La Scat, già proprietaria di alcuni terreni a Galenzana, parte dei quali all’interno Parco Nazionale dell’Arcipelago, nel febbraio del 2017 aveva acquistato un altro appezzamento, confinante con l’agriturismo, sul promontorio di Capo Poro, dove ci sono anche dei resti di costruzioni militari risalenti agli anni ’30, di proprietà demaniale e dismesse nell’ambito della razionalizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, senza che Comune e Parco esercitassero il diritto di prelazione.
Il TAR, nella sua sentenza del 20 maggio pubblicata il 23 giugno scorso. evidenzia che «I manufatti, classificati in demanio come unità collabenti (F/2), sono noti come “ex ricovero truppe di Capo Poro” ed “ex batteria di Capo Poro”. Anch’essi ricadono nel territorio del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano». La Scat voleva trasformare quei manufatti, in parte interrati, per destinarli ad attività turistico-ricettiva. Nella sentenza del Tar si legge che l’Ente Parco, «chiamato dal Comune ad esprimere il parere di propria competenza, ha autorizzato solo parzialmente l’intervento, negando il nulla osta quanto alle opere previste sul corpo C della “ex batteria” ed a quelle previste sul corpo A dell’ “ex ricovero”, perché, «In particolare, le opere riguardanti il corpo A dell’ex ricovero e il corpo C della ex batteria, che, ad avviso dell’ente, sarebbero da qualificare in termini di ristrutturazione edilizia, se non di nuova costruzione, ed eccederebbero dunque la tipologia di interventi assentibili ai sensi dell’art. 18 delle norme tecniche di attuazione del Piano del Parco, che, sul patrimonio edilizio non avente destinazione agricola, consentirebbe interventi fino alla manutenzione straordinaria».
La Scat ha impugnato l’atto con motivazioni che il TAR della Toscana ha ritenuto tutte infondate, in contrasto con le norme della legge 394/91 e con norme tecniche di attuazione del Piano del Parco che disciplinano le zone B “di riserva generale orientata”. Infatti, l’intervento di "recupero" previsto cambierebbe la destinazione di edifici sempre utilizzati a usi militari e che non hanno mai avuto un utilizzo a fini agricoli. Inoltre, dice il TAR, non si può parlare di patrimonio edilizio agricolo in essere perché il semplice fatto che la Scat sia un’impresa agricola «non comporta di per sé il mutamento della destinazione d’uso e l’automatico passaggio degli immobili acquistati da quest’ultima alla corrispondente categoria funzionale (si veda l’art. 99 della l.r. toscana n. 65/2014). Non a caso, è la stessa S.C.A.T. S.r.l., nelle relazioni tecnico-illustrative dei progetti presentati al Comune di Campo nell’Elba, a qualificare la ex batteria e l’ex ricovero, sotto il profilo urbanistico, come patrimonio edilizio esistente con usi extragricoli e, conseguentemente, a identificare la manutenzione straordinaria come categoria di intervento ammessa».
Come se non bastasse, già il 18 maggio 2018 l’Ente Parco aveva già negato l’assenso a destinare i due fabbricati all’attività agrituristica, «e questo proprio in virtù della loro acclarata non appartenenza al patrimonio agricolo» dice il TAR che, «per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco» chiarisce che «Il frazionamento degli interventi in relazione a ciascuno dei corpi di fabbrica che compongono la ex batteria e l’ex ricovero truppe non è frutto di un’autonoma iniziativa dell’amministrazione procedente [il Parco], ma riflette l’articolazione dei progetti presentati dall’interessata [Scat]».
D’altronde, nello stesso contratto di compravendita di Capo Poro i due immobili sono descritti come «una serie di ruderi di locali e manufatti di fortificazione, in parte fuori terra ed in parte seminterrati... ad oggi soffocati dalla vegetazione ed in pessimo stato di conservazione, necessitando di ingenti lavori di ristrutturazione in quanto non rispondenti ai requisiti statici, nonché privi di servizi igienici, luce, acqua e riscaldamento...».
La Scat si è data quindi – se mai avesse avuto una qualche possibilità – la zappa sui piedi da sola. E il TAR sembra riconfermare più volte questo concetto nella sua disamina tecnica e legislativa degli atti, ritenendo invece corretto l’iter autorizzativo adottato dal Parco ed evidenziando che le contraddizioni che la società attribuisce all’Ente Parco sono in realtà frutto di decisioni e contraddizioni della Scat.
La sentenza del TAR si conclude evidenziando la legittimità dei provvedimenti del Parco e respinge il ricorso.
Insomma, a Capo Poro non si faranno appartamenti, villette o il buen retiro che qualcuno sognava e altri davano per certo e un’altra speculazione edilizia è stata evitata grazie anche alle segnalazioni di Legambiente e soprattutto all’azione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che ha fatto rispettare norme e leggi.
Ora è arrivato il momento, anche per il Comune di Campo nell’Elba, di far rispettare il diritto dei cittadini in tutta l’area del comprensorio Galenzana – Capo Poro, intervenendo per la riapertura e il ripristino della sentieristica e per rimuovere subito la segnaletica abusiva che punta a scoraggiare la fruizione di quel territorio da parte degli escursionisti e dei bagnanti.
LA SENTENZA DEL TAR del 23.06.2020