Rileggendo, a distanza di più due settimane, la comunicazione via stampa: “Comune Marinese per una maggiore sicurezza stradale e manutenzione scuole” , mi sento di esternare alcune considerazioni.
Per risolvere un problema di viabilità, per migliorare una pista ciclabile, e per fare spazio ad un parcheggio per auto, si è deciso di ridurre e disalberare per intero il giardino della scuola di Marciana Marina.
L’annuncio di un intervento di tale e tanta portata, concreta e simbolica, mi produce sgomento, e non posso fare a meno di notare non poca contraddittorietà tra l’immagine eco friendly evocata nella comunicazione in questione e la sostanza dell’intervento in atto.
Al di là di ogni retorica ambientalista, mi domando se sia davvero indispensabile, ridurre e disalberare l’intero giardino della scuola e, se non è proprio possibile conservarlo così com’è, se si potessero immaginare e praticare soluzioni meno radicali e ad esempio conservare alcuni alberi.
Alberi però che causano “non pochi problemi”, (sorvolo sull’intasamento delle grondaie da parte degli aghi che suppongo non dovrebbe essere troppo complicato gestire), ma vado direttamente alla questione pericolosità e mi domando se l’attenzione e la perizia usate per constatare i danni già causati dagli alberi e per prevedere quelli che uno o 6 di loro potrebbero eventualmente provocare alla scuola, si siano adottate anche per valutare le ripercussioni, le conseguenze e gli eventuali danni prodotti dell’abbattimento degli alberi esistenti.
Perché queste ripercussioni esistono.
Un albero non è un oggetto ma è un essere vivente, che merita il rispetto e l’attenzione dovuta a tutti gli esseri viventi e che, come tutto, è strettamente integrato in una rete di connessioni sistemiche della quale noi esseri umani ci siamo collocati al centro.
Ogni evento che riguarda un elemento del sistema riguarda il sistema nel suo insieme, ogni altro elemento che è parte del sistema e naturalmente anche il suo centro.
Un albero per arrivare a misurare 12, 15 o 20 metri di altezza impiega anni, compiendo un percorso di integrazione, sviluppo e interazione, un percorso di crescita sistemica, appunto.
In generale trovo che con troppa leggerezza si decida di abbattere alberi, soprattutto ad alto fusto, soprattutto pini, evidenziandone chiaramente le caratteristiche di disturbo ed eventuale pericolosità e dimenticandone spesso il valore e le funzioni utili e positive.
Forse non è questo il caso, ma sono molto perplessa e mi domando anche se si è immaginato che impatto possa avere sugli alunni e sugli studenti della scuola questo intervento.
Che esempio diamo, che messaggio educativo, che educazione civile ed ambientale trasmettiamo così? Capiterà poi, che li sgrideremo quando calpesteranno un’aiuola ben curata e chimicamente concimata.
Insomma, se proprio si ritiene di dover compiere il sacrificio, prendiamo davvero coscienza (e qui mi pare che nella comunicazione via stampa traspaiano degli indizi che una riflessione meno superficiale del consueto sia in corso) che di questo si tratta: di un atto cruento, senza spargimento di sangue, d’accordo, ma si di linfa e resina, che ha un costo ecosistemico che deve essere ben valutato.
È sempre la solita questione: il cambio di paradigma.
Se vogliamo curarci, essere sani, consapevoli e liberi, nonché civili e rispettosi, eventualmente anche solidali e onesti, dobbiamo sforzarci di superare la visione antropocentrica che caratterizza il nostro tempo, nel grande come nel piccolo raggio della nostra capacità di azione e provare a mettere in atto una filosofia sistemica e complessa e adottare pratiche altre, più attente, sensibili ed innovative.
Scoprendoci magari in grado di trovare soluzioni che non si era neppure immaginato potessero esistere.
Forse così un giorno ci troveremo a trasformare un parcheggio per auto in un giardino alberato e a progettare un ampliamento delle aree verdi pertinenti agli edifici scolastici.
Francesca Ria