Oggi, 6 dicembre 2021, la legge quadro sulle aree protette (L. 394/1991) compie 30 anni. Una ricorrenza importante per il nostro Paese, visto che la legge è stata fondamentale per garantire la crescita, nel numero e nella consistenza, dei territori protetti, che sono passati da una percentuale del 3% del 1990 all’attuale 11%. Le aree protette svolgono una funzione riconosciuta e unica per tutelare la biodiversità e sono lo strumento più efficace per garantire insieme alla conservazione della natura anche importanti azioni di sviluppo locale, di crescita dell’ecoturismo e di produzione di cibo di qualità. Siamo il Paese più ricco di biodiversità nel continente europeo (conserviamo la metà delle specie vegetali e un terzo di tutte le specie animali), ma questo patrimonio è messo a rischio dalla crisi climatica, che sta determinando perdita di biodiversità e impoverimento della capacità degli ecosistemi di immagazzinare CO2. Perdita di biodiversità e crisi climatica sono peraltro interdipendenti e se una si aggrava anche l'altra segue la stessa tendenza. La soluzione sta dunque nel ridurre le emissioni in atmosfera e contemporaneamente nell’aumentare quantità e qualità delle superfici protette. Solo così renderemo gli ecosistemi resilienti e capaci di regolare al meglio il clima, arrestando la febbre del Pianeta.
Come fare per raggiungere questi obiettivi?
Basta seguire le indicazioni dell’Unione Europea, che lo scorso 22 maggio ha approvato la Strategia della UE per la biodiversità al 2030, che contiene indicazioni precise che ogni Paese dell’Unione deve raggiungere: creare nuove zone protette e tutelare con strumenti giuridicamente vincolanti il 30% della superficie (terrestre e marina); prevedere una protezione più rigorosa degli ecosistemi garantendo il 10% del territorio a protezione integrale; ripristinare gli ecosistemi degradati e aumentare i terreni agricoli utilizzati a biologico per migliorare la loro biodiversità; ridurre del 50% l’uso e la nocività dei pesticidi e ripristinare almeno 25.000 Km di fiumi a scorrimento libero; arrestare e invertire il declino degli impollinatori e mettere a dimora 3 miliardi di alberi entro il 2030. L’Europa con questa strategia mira a salvare la biodiversità in Europa e lo fa a beneficio delle persone, del pianeta e del clima, incoraggiando un’azione globale finalizzata a ripristinare, render resilienti, interconnessi e adeguatamente protetti tutti gli habitat del mondo entro il 2050.
Cosa chiediamo per migliorare la gestione delle aree protette?
Legambiente continua a battersi per la crescita e per una sempre migliore gestione delle aree protette, a tutti i livelli. Chiediamo più qualità nelle nomine e nella governance dei parchi e delle riserve, in vista di una maggiore collaborazione tra lo Stato e le Regioni per raggiungere obiettivi comuni e condivisi per la tutela della biodiversità; perché la conservazione della natura non è solo una competenza concorrente tra istituzioni, bensì, soprattutto, un diritto primario delle persone. Lo slogan della nostra mobilitazione è: 30% di aree protette entro il 2030 - più biodiversità contro la crisi climatica! Questo, a nostro avviso, il modo più degno e limpido per celebrare senza retorica i trent’anni della Legge quadro 394. Chiediamo quindi con forza alla Regione Toscana e al Ministero per la Transizione Ecologica di porre in essere tutte quelle sinergie e collaborazioni atte a favorire la concreta istituzione di nuove aree protette. A nostro avviso è arrivato il momento di agire e mobilitarsi per costruire il percorso, le alleanze e le strategie per centrare l’obiettivo di proteggere il 30% di territorio marino e terrestre entro il 2030. In Toscana, come nel resto del Paese.
La situazione in Toscana: dal 7% di superfici protette di oggi al 30% del 2030!
Partiamo dalle aree protette che attendono da troppi anni la loro formale istituzione, a partire da quelle marine (AMP). In Toscana abbiamo due situazioni di questo tipo. La prima è l’Area Marina Protetta dei Monti dell’Uccellina - Formiche di Grosseto - Foce dell'Ombrone Talamone che, sia pur prevista già dalla Legge quadro, non ha mai visto il Ministero pronto alla stesura di quegli studi conoscitivi propedeutici alla sua formale istituzione. Il Parco Regionale della Maremma ha più volte sollecitato l’azione ministeriale, ma finora senza esito. L’altra AMP solo sulla carta è quella del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che, grazie alla Legge 979/1982, (Disposizioni per la difesa del mare) avrebbe già una sua precisa identificazione e perimetrazione, ma che è assolutamente carente nei dispositivi per la sua effettiva tutela. Uno scandalo che fra poco compie 40 anni!
Quanto poi ai Parchi che chiediamo di istituire ex novo, in Toscana abbiamo: Il Parco nazionale del Fiume Magra, tra Liguria e Toscana. Oggetto di una proposta di legge istitutiva da parte della parlamentare Rossella Muroni, questa nostra istanza prevede un Parco nazionale interregionale dell’intero bacino del Magra, che ricomprenda nei suoi confini il territorio dell’attuale Parco Regionale di Montemarcello-Magra-Vara in Liguria, le ex ANPIL (Aree naturali protette di interesse locale) del versante toscano del fiume e tutti i siti Natura 2000 del bacino idrografico.
Il Parco agricolo regionale della Piana, che andrebbe a interessare oltre 7.000 ettari di ecosistemi planiziali nel bel mezzo dell’ambito più antropizzato della nostra regione, tra Firenze e Prato. Un progetto già informalmente lanciato dalla Regione Toscana, che sposiamo volentieri come unica alternativa possibile al famigerato masterplan del nuovo aeroporto di Peretola. Perché deve esser chiaro che per Legambiente veder realizzato il Parco agricolo della Piana significa incassare la rinuncia definitiva e senza condizioni dello sviluppo aeroportuale del Vespucci.
E veniamo, infine, a descrivere lo stato di alcune altre nostre vertenze storiche.
Parco regionale delle Alpi Apuane. Mentre aspettiamo la documentazione del nuovo Piano Integrato del Parco per potere redigere osservazioni formali, ribadiamo che non arretreremo di un solo mm rispetto alla nostra posizione. Le aree intercluse di cava dovranno gradualmente ma inesorabilmente scomparire. Che significa, oggi, diminuire almeno del 70% l’attività estrattiva nei confini del Parco e non aprirvi nuove cave. Riserva naturale del Padule di Fucecchio. Mentre aspettiamo novità dal tavolo interistituzionale per poter dare continuità d’esercizio al Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule che da 30 anni ne cura tutela e valorizzazione, chiediamo con forza l’ampliamento delle superfici protette (oggi solo 230 ettari sui 1.900 complessivi dell’area). Si tratta pur sempre della più grande area umida interna del nostro Paese, anche se non siamo ancora riusciti a farlo diventare il quarto parco regionale della Toscana.
Come si evince, chiediamo uno sforzo significativo alle Istituzioni (Regione Toscana e Governo in primis), ma è uno sforzo che finalmente introietta la grande questione delle politiche di sistema sulla biodiversità come uno degli strumenti fondamentali per aggredire la crisi climatica e per declinare la transizione ecologica nella nostra regione e nel nostro Paese. L’urgenza della situazione globale ce lo impone: è tempo di decidere e di agire con coerenza.