I dilemmi agonizzanti, il naufragio della società e la frustrazione prodotta da due anni brutali di Covid-19 hanno innescato un amaro spettacolo scolastico.
Le lezioni sono state cancellate, la pandemia ha fatto saltare il sistema educativo italiano, abbiamo coniato un nuovo vocabolo DAD (didattica a distanza), abbiamo chiuso le scuole.
Gli insegnanti non si sentono al sicuro, per le lezioni in presenza chiedono che i bambini risultino negativi prima che tornino in classe. Lo stallo che si presenta è il microcosmo delle cattive scelte che tutti devono affrontare nel mondo mentre la pandemia giunge al suo terzo anno. L’apparente natura più mite della variante Omicron – almeno per i vaccinati e le terze dosi – paradossalmente rendono queste scelte ancora più controverse.
Le conseguenze educative, sociali e di salute mentale della scuola derubata dal virus sono evidenti in ogni famiglia. La situazione è già abbastanza brutta per i genitori che possono lavorare da casa e peggio per i lavoratori a basso reddito, che si affidano alla scuola per l’assistenza all’infanzia. Poi i bambini provenienti da ambienti svantaggiati dove è la scuola a fornire loro l’unico pasto, uno dei tanti motivi per cui le scuole devono rimanere aperte nonostante l’aumento dei tassi di infezione.
Molti insegnanti sono stressati, alcuni si sono ammalati, altri temono di portarlo a casa a parenti vulnerabili per i quali anche la variante blanda come Omicron potrebbe rappresentare una seria minaccia. Spesso quando un insegnante risulta positivo, non c’è alcun sostituto. La difficoltà di reperire i tamponi per i test rende la situazione ancora più spaventosa.
Sembra che ogni possibile risposta per chi detiene l’autorità sia in contrasto con la tolleranza pubblica tesa al punto di quasi rottura.
Dopo due anni non c’è altra possibilità che cavarsela.
Enzo Sossi