Caro Direttore,
mi permetterai di fare alcune precisazioni riguardo al cortese intervento del signor Bartolo Misiani a proposito di quanto avevo scritto ieri su Elbareport. Non trovo interessante il ping pong dialettico dei ribaltamenti di prospettiva, che può durare all’infinito ma -come da regolamento- prevede almeno ventuno risposte. Voglio restare ai fatti e alla loro urgenza, rimandando i giudizi -i processi, le testimonianze, le sentenze, le “verità”- a dopo la fine degli scontri armati.
Speravo di aver trasmesso l’urgenza che sento di interrompere prima possibile i massacri, le sofferenze indicibili, le atrocità, le violenze, la paura di bambini e adulti, lo sconforto che adombriamo dietro la parola “guerra”. I morti per le strade di Bucha non tornano a vita se individuiamo gli autori dei massacri: io vorrei che non se ne facessero altri, e so con certezza che a ucciderli è stata la guerra.
La guerra -mi è necessario crederlo- non è una fase “normale” della vita: è uno strumento estraneo ed estremo, che viene adoperato -come un bisturi- quando cessa ogni possibile comunicazione alternativa per risolvere controversye, dissidi, inimicizie, odi -cose tutte che, ahimè, nella vita ci sono, eccome!-; la guerra si attacca alla vita “normale”, ma agisce dall’esterno, e non risolve nessun problema; anzi ne apre tantissimi, e complicatissimi, e costosissimi, in tutti i sensi. Io credo che si possa -in una civiltà con tanti difetti ma comunque ormai evoluta al punto di accettare la dimensione globale delle azioni dei singoli e dei popoli- intanto neutralizzare lo strumento inutile e pericoloso della violenza, e poi tornare all’esame rigoroso dei problemi e arrivare, magari gradualmente, a giuste soluzioni. Come nei serial “crime”: “Metti a terra quella pistola, e nessuno si farà male”. Dopo, il processo.
Per decidere se è accettabile “l'idea che un paese democratico, confinante con l'Europa, possa essere impunemente invaso da un paese che democratico lo è poco, e che possa essere smembrato e perdere la sua sovranità democratica, senza che l'Europa e la comunità internazionale possano fare nulla per aiutare l'aggredito”, come dice Misiani, occorre che un giudice terzo accerti che l’Ucraina è un Paese democratico, che sia stato impunemente invaso, che vi sia pericolo della perdita della sovranità democratica, che sia vittima di una aggressione e non invece l’abbia provocata. Misiani e io possiamo pensarlo, ma è evidente che i Russi non lo pensano. E’ sensato credere che possano accettare questa interpretazione dei fatti senza trovarsi a discutere e trattare per tutto il tempo necessario, senza il rumore di fondo dei bombardamenti? O qualcuno pensa che sia possibile in tempo ragionevole -cioè prima che l’Ucraina sia fisicamente cancellata dalla faccia della terra- costringere con sanzioni unilaterali lo Stato più grande del mondo -peraltro ben armato e fornito di un poderoso arsenale atomico- a ritirarsi dopo aver perduto uomini (tanti, a quanto dicono le nostre fonti di informazione; ma comunque con una popolazione quattro volte superiore all’Ucraina), mezzi e danaro, dicendo magari “scusate il disturbo”. E la “comunità internazionale” è in grado di fare una qualsiasi azione di forza, divisa com’è; o non è più sensato ritenere che forse l’unico risultato concretamente perseguibile sia impegnarla in una incalzante azione di pacificazione?
A mio avviso, la prospettiva più seria e produttiva è arrivare a un cessate il fuoco e a una trattativa di pace promossa, coordinata, stimolata, vigilata dalla “comunità internazionale”, che potrebbe approfittarne anche per risolvere i tantissimi conflitti “minori” striscianti o aperti nel mondo, e quelli apparentemente meno sanguinari ma, come si vede nelle vicende attuali, ben presenti sullo sfondo di tutta la realtà intorno a noi: rapporti fra Stati Uniti e Cina, Stati Uniti e Unione Europea, Paesi “Occidentali” e Russia, Russia e Paesi ex sovietici, Russia e Cina, Paesi “sommergenti” e Paesi “emergenti”, Paesi ricchi di risorse naturali e Paesi predatori, e via dicendo. Insomma una grande Conferenza Internazionale di pace, previa una moratoria mondiale delle armi. Un’utopia? Certamente. Ma meno dannosa delle continue esibizioni muscolari che finiscono per confondere ragioni e torti anche per l’assordante rumore delle armi che sparano.
Più in piccolo, una conferenza di pace fra Russia e Ucraina con garanzie internazionali, dopo un cessate il fuoco, una tregua, un armistizio che fermi i massacri. E non si tratta di sterile pacifismo. L’alternativa non è la vittoria del David ucraino contro il Golia russo: Golia non aveva bombe atomiche, e neanche aviazione e flotta. Chi pensa a una vittoria dell’Ucraina temo che -magari inconsapevolmente, in buona fede, con le migliori intenzioni- la condanni a morte. E’ accaduto al Giappone nel 1945: centinaia di migliaia di morti a Hiroscima e Nagasaki per evitare i milioni che si sarebbero avuti continuando la guerra. E’ accaduto tante altre volte dopo d’allora. E i “processi” non sono ancora stati celebrati.
Giudizi sì, ne sono stati formulati. Anche se ci si può sempre tornare sopra, anche se ci si può ricredere, è senz’altro lecito esaminare i fatti e domandarsi di chi siano le responsabilità. Non processi; opinioni. Personalmente mi sono fatto un’idea sulla personalità, sull’azione politica e di governo, sui comportamenti, sulle idee dichiarate di Vladimir Putin. E non da oggi. Ho consapevolezza del ruolo decisivo da lui avuto ai tempi di Eltsin nella liquidazione dell’esperienza sovietica -che pochi rimpiangono, ma che ha comunque avuto un significato nella storia russa e in quella dell’intero mondo-; della caotica trasformazione economica con indirizzo neocapitalista di quella società; dell’anacronistico tentativo -in atto- di restaurazione dell’Impero della Grande Madre Russia. Ho letto e visto documentazione delle partnership da lui stabilite con tutte le Destre estreme del mondo occidentale -che anche ora lo spalleggiano-, dell’uso spregiudicato delle tecnologie, del sostanziale disinteresse per il mancato benessere del popolo russo compensato dal luccichio del fasto imperiale del quale volentieri si circonda l’eterno Presidente, assecondato e coadiuvato dall’analogo atteggiamento e dall’analogo fasto della Chiesa Ortodossa Russa del patriarca Kyril. Già questo -prima ancora dei processi che potrà subire per crimini di guerra, come viene chiesto a gran voce dalle anime candide che raccontano l’esistenza di una guerra senza crimini-, e da quando Putin si è affacciato alla storia, mi induce a provare un senso di abissale lontananza da lui. Ma non è di questo che si deve parlare oggi.
Vorrei solo che i telegiornali di stasera non raccontassero di altri dieci, cento, mille morti -ucraini, russi, soldati, civili, uomini, donne, bambini e bambine, vecchi e giovani- offerti come tributo agli orgogli nazionali e internazionali, di individui e di partiti, di profeti di venture e di sventure. Vorrei solo che ci si fermasse a ragionare, a scegliere, a decidere, senza il ricatto dei morti che cadono per la strada. Senza il ricatto del “male minore”.
Luigi Totaro