La Prima guerra mondiale del 1914-1918 anticipò molti aspetti delle atrocità della guerra moderna. Clemente Rebora espresse il suo orrore di soldato, congedato a seguito delle ferite causate dallo scoppio di una granata, nella poesia “Voce di vedetta morta”:
C'è un corpo in poltiglia
Con crespe di faccia, affiorante
Sul lezzo dell'aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
Affar di chi può, e del fango.
Però se ritorni
Tu uomo, di guerra
A chi ignora non dire;
Non dire la cosa, ove l'uomo
E la vita s'intendono ancora.
Ma afferra la donna
Una notte, dopo un gorgo di baci,
Se tornare potrai;
Sòffiale che nulla del mondo
Redimerà ciò ch'è perso
Di noi, i putrefatti di qui;
Stringile il cuore a strozzarla:
E se t'ama, lo capirai nella vita
Più tardi, o giammai.
Nel 1924, Ernst Friedrich, un giovane anarchico tedesco pubblicò “Krieg dem Kriege!”, “Guerra alla guerra!”, un libro di fotografie sulla guerra mondiale, commentate da didascalie, engrammi, in quattro lingue: inglese, francese, tedesco e olandese. Questo libro espresse quello che, allo stesso tempo esprimevano le sculture di Käthe Kollwitz, i dipinti di George Grosz e e di Otto Dix o i romanzi di Erich Maria Remarque.
Ernst Friedrich era, nel 1894, nato a Breslavia, che ora è in Polonia. Figlio di una donna delle pulizie e di un sellaio, dopo la scuola elementare, iniziò un apprendistato come tipografo, poi iniziò a studiare recitazione e lavorò in una fabbrica. Fu uno dei fondatori dell'”Associazione Breslavia per gli animatori giovanili”. Nel 1911 divenne membro del Partito socialdemocratico tedesco, ma se ne uscì per protestare contro la sua approvazione dei prestiti di guerra. Dal 1912 al 1914 viaggiò in Danimarca, Svezia, Norvegia e Svizzera. Nel 1914 debuttò come attore. Fu arruolato per combattere nella prima guerra mondiale e decise di diventare un obiettore di coscienza; fu perciò ricoverato in un ospedale psichiatrico; fu poi condannato per sabotaggio di attività militari e imprigionato; alla fine del 1918 fu liberato dalla rivoluzione tedesca del 1918-1919. Nel 1919 si recò in Germania, dove tenne conferenze pubbliche leggendo autori antimilitaristi e liberali, come Erich Mühsam, Maxim Gorki, Fëdor Dostoevskij e Leo Tolstoj. Fu attivamente coinvolto nella rivolta spartachista: fu membro dell'organizzazione giovanile Free Socialist Youth di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Dopo il suo scioglimento nel 1920, fondò a Berlino il gruppo giovanile anarchico "Freie Jugend", che aveva diramazioni in vari paesi europei. La rivista “Freie Jugend” collegava i diversi gruppi e fu pubblicata da Friedrich fino al 1926. Nel 1921 fu relatore a una manifestazione contro la guerra davanti alla cattedrale di Berlino con oltre 100.000 partecipanti. Il suo appartamento a Friedrichshain divenne un luogo di incontro e una comune per giovani anarchici. Nel 1925 fondò a Berlino il “Museo contro la guerra”, alle cui pareti erano affisse fotografie inquietanti di soldati mutilati e nudi, partigiani impiccati, vittime di plotoni di esecuzione, donne violentate, fosse comuni, bambini affamati, animali massacrati, chiese distrutte e veterani di guerra disabili. Pubblicò poi il settimanale "The Black Flag" che ebbe una tiratura fino a 40.000 copie. Le sue pubblicazioni furono spesso bandite o confiscate e fu accusato di diversi reati e nel 1930 fu condannato a un anno di reclusione a causa delle sue attività politiche. Fu vittima del terrore nazista già prima dell'ascesa al potere di Hitler: le finestre del suo museo furono distrutte così spesso che non riuscì più a trovare un'assicurazione. Dopo l'incendio del Reichstag del 1933, fu arrestato e il museo fu demolito dai nazisti. Dopo la sua liberazione nel dicembre 1933 fuggì in altri paesi europei e nel 1936 aprì un nuovo museo a Bruxelles, che fu nuovamente distrutto dopo l'invasione tedesca del Belgio nel 1940. Fuggì in Francia e qui fu arrestato dal regime fantoccio di Vichy e fu imprigionato. Dopo 18 mesi riuscì a fuggire, ma nel 1943 fu scoperto dalla Gestapo. Fuggì ancora una volta e divenne un membro della Resistenza francese, gestì un’azienda agricola con la seconda moglie, combatté per la liberazione di Nîmes e Alès, fu ferito due volte. salvò dalla deportazione circa 70 bambini di un orfanotrofio ebreo. Dopo la seconda guerra mondiale, divenne membro del Partito socialista francese, lavorò per costruire un nuovo museo contro la guerra a Parigi, comprò una barca trasformandola in “Arca di Noè”, costruì un centro giovanile internazionale. Morì nel 1967. Nel 1982 è stato riaperto il museo contro la guerra a Berlino.
Il suo libro esordisce così:
“All’UMANITA’ INTERA!
Io, che vengo erroneamente definito “tedesco” invece che semplicemente “essere umano”, faccio appello alle terre glaciali del Nord, all’Africa, all’America, all’Asia e all’Europa intera – e grido queste parole a tutti coloro che possono udire: UMANITA’ E AMORE… tutti piangiamo e soffriamo allo stesso modo, tutti ridiamo di gioia e siamo felici. Poiché tutti gli esseri umani gioiscono e soffrono allo stesso modo, combattiamo tutti insieme contro la guerra, nemico mostruoso. Protestiamo insieme e uniamoci contro questo maledetto massacro, di cui tutti siamo egualmente colpevoli. Ma dobbiamo allo stesso tempo sperare in un’alba di pace e libertà: viva la patria di tutte le patrie dell’umanità!”.
E termina così:
“E voi, donne! Se i vostri uomini sono troppo deboli, voi ce la farete! Dimostrate che l’affetto e l’amore per il vostro compagno sono più forti di una chiamata alle armi! Non lasciate che i vostri uomini vadano al fronte! Non decorate i fucili con i fiori! Attaccatevi al collo dei vostri mariti, e non lasciateli partire, nemmeno quando arriva la cartolina di precetto! Divellete i binari, gettatevi davanti alle locomotive! Dovete riuscirci voi, donne, se i vostri uomini sono troppo deboli! DONNE DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!”.
La chiusa del libro, che riecheggia “La Lisistrata” di Aristofane (la commedia, il cui messaggio può essere “Chi fa la guerra non fa l’amore!”), sembra intuire che solo la liberazione del “femminile” in ciascuno di noi, della “creatività”, può porre fine al rituale maschile della guerra.
Lo sforzo antimilitarista, diffuso tra i popoli nel decennio successivo alla fine della prima guerra mondiale, portò al “Trattato di rinunzia alla guerra conchiuso a Parigi il 27 agosto 1928”, firmato, all’interno della Società delle Nazioni, dal Reich germanico, dagli Stati Uniti d’America, dal Belgio, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dall’Italia, dal Giappone, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia. Costoro convenivano, all’articolo 1, che “Le alte parti contraenti dichiarano solennemente in nome dei loro popoli rispettivi di condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e di rinunziare a usarne come strumento di politica nazionale nelle loro relazioni reciproche.”.
Se consideriamo che pochi anni dopo continuarono le guerre coloniali e scoppiarono la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale, possiamo comprendere l’ipocrisia delle Nazioni e la velleità della “Società delle Nazioni”. Anche la successiva versione di questa, l’”Organizzazione delle Nazioni Unite” (ONU), è stata parimenti velleitaria. Forse è il nome “Nazioni” che porta sfiga! Forse dobbiamo renderci conto del principio del “non dualismo”: la nostra unica Patria è la Terra!
Adolfo Santoro