Ogni mattina un rito, quello della lettura dei giornali. Un rito diventato triste, con qualche piccola gioia di ritrovare perle disperse in un mare di fanghiglia maleodorante. La campagna elettorale non aiuta, perché hanno il sopravvento i reggitori di microfono, gli adepti della setta del “copia-incolla”, gli scodinzolanti al seguito dei sedicenti potenti. Nelle redazioni di giornali, siti internet, radio e tv, volendo, ci sarebbero ancora quelli capaci di fare e di raccontare. Ci sarebbero e non sono neanche così pochi come potrebbe sembrare. Ogni tanto regalano perle che aiutano a capire che molto del resto è fanghiglia. Ho avuto la fortuna di avere tanti maestri capaci di regalare perle, che mi hanno insegnato anche a riconoscere gli spacciatori di menzogne. Ogni tanto questi spacciatori ti fregano, per qualche minuto, per qualche ora, poi al primo pezzo che scrivono o al primo servizio tv che realizzano la maschera cade, perché la tendenza a leccare prevale su quella di servire il lettore o chi guarda o ascolta.
Certo, non aiutano editori che non conoscono il mestiere, che soprattutto fanno altri mestieri e usano l’editoria per ricavare favori per le loro vere attività. Non aiutano editori che hanno squadre di calcio e giornali sportivi, che si fanno intervistare ogni giorno, per guardarsi allo specchio. E poi, se un loro allenatore si prende a schiaffi con un loro direttore sportivo scatta la censura più ridicola, perché tanto la narrazione e il filmato li trovi altrove. Non aiutano editori che non sanno cosa sia l’editoria e che sopravvivono con vendite a pacchetto e marchette devastanti.
Però… però, a tutto dovrebbe esserci un limite. Vero, la campagna elettorale non aiuta, perché la quantità di minchiate sparse dai politici a caccia di voti è enorme. Non aiuta, perché paradossalmente tutto o quasi ruota intorno a una piccola cittadina sul mare, Piombino. Sulle sue spoglie ballano avvoltoi ignoranti, che siano consapevoli o inconsapevoli della loro ignoranza poco importa. Il problema è che chi li rincorre con un microfono in mano, o li ospita in uno studio tv, o li intervista senza fare le vere domande non rende un bel servizio al mestiere che rappresenta. Quel mestiere non lo chiamo professione, in questo momento sarebbe indelicato. Ma non rende un bel servizio soprattutto alla democrazia.
Nei giorni scorsi a Piombino è venuta una fotografa che lavora per una grande agenzia. Doveva fare un servizio sul progetto del rigassificatore, raccontare con immagini la protesta. Ci conosciamo da un po’, mi ha chiesto un aiuto per incontrare persone, per scovare location adatte per scattare le migliori foto. Le ho spiegato come sta andando, l’ho messa in contatto con un po’ di persone. Alla fine del suo tour mi ha ringraziato e con alcuni messaggi ha sintetizzato così la sua esperienza: «Ho visto un Mondo. Le acciaierie immense chiuse e abbandonate. Il turismo e la deliziosa città. Il rigassificatore che vogliono mettere sotto le case. Se non fossi venuta qua non avrei capito quanto fosse grave questa storia. L’Italia, l’Italia è così, Sono molto triste». E poi la sintesi estrema: «Piombino è sola».
Ecco, Piombino è sola. Ma sono “sole” tutte quelle realtà raccontate con estrema superficialità, da quelli che rincorrono politici, industriali e lasciano da parte dotti e sapienti. Certo, non sempre è così. Anche la storia di Piombino è stata ben raccontata, ad esempio da Riccardo Staglianò per “Il Venerdì di Repubblica”, ma non solo da lui. Ci sono ancora quelli capaci di dispensare perle in un mare di fanghiglia.
Poi, però, c’è tutto il resto. Ci sono le frasi fatte che ormai sono diventate come «non ci sono più le mezze stagioni», si buttano lì perché tanto ci stanno bene sempre. E dunque, via con «i nuovi rigassificatori ci servono per l’indipendenza energetica», «a Piombino c’è una sindrome Nimby», «il nucleare è la soluzione contro il caro energia». Nulla di tutto questo è vero, nessuno lo verifica, lo ripetono all’infinito e così ai più sembra vero, ovviamente lontano da Piombino, dalla Val di Cornia, da Follonica e dall’isola d’Elba. Perché qui tutti (a parte una cinquantina di persone) lo sanno bene che non è così. Poi ci sono anche le frasi che si dicono senza sapere chi dovrebbe farlo e come: «occorre stabilire il tetto al prezzo del gas», «occorre dare soldi pubblici alle industrie energivore e gassifore». Quando la politica si fermerà a capire i problemi dei cittadini e non assecondare più le pretese delle lobby, più o meno, fossili?
Ma concentriamoci sulle prime frasi. Di fronte a un politico che le pronunci, un buon giornalista non dovrebbe passare oltre, dovrebbe porre contro domande, argomentare, portare cifre, dimostrare che quel politico sta raccontando una bugia. E metterlo di fronte alla realtà, chiedergliene conto. Invece no, quel politico va avanti. Quando qualcuno ci prova a porre dubbi, quello fa anche l’arrogante perché sa di poterselo permettere. Ormai va così, il vezzo di reggere il microfono ha preso il sopravvento. Il giornalismo non è prendere appunti e riportare. Se ci sono due pareri (“fuori c’è il sole”, “fuori piove”) non si scrive un articolo per dire che c’è un dibattito sul clima. No, si va fuori e si controlla che tempo che fa e poi si spiega al mondo che c’è chi dice la verità e c’è chi dice il falso. Qui invece talvolta si fa il contrario: si ascolta solo chi racconta fregnacce e si mette in disparte o in sottofondo chi offre l’altra versione. Quella basata sulla verità.
No, non è giornalismo. Al cittadino bisogna portare rispetto, al cittadino e non alle istituzioni, perché sono le istituzioni che devono rispettare i cittadini che sono chiamati a rappresentare e a governare (non a “comandare”, come ultimamente piace fare a tanti). La stampa serve chi è governato, non chi governa. Ultimamente sta accadendo il contrario.
Prendete la visita di Carlo Calenda, quello che vorrebbe militarizzare Piombino per costringerla a prendersi un rigassificatore che non servirebbe e che la propaganda racconta come necessario. Nessuno che chieda conto all’esponente di Azione dei finanziamenti ricevuti da un azionista di minoranza di Snam, la società che deve realizzare quell’impianto. Penso a un mio direttore, uno degli undici che ho avuto, il migliore, Carlo Pucciarelli. Se fossi tornato in redazione senza aver fatto quella domanda mi avrebbe rimandato a calci nel sedere (metaforici) a rincorrere Calenda dicendomi di non tornare in redazione senza aver ottenuto una risposta. Anche un “no comment”, che è pur sempre un modo di rispondere.
Ma non c’è solo quello. Nessuno, o quasi, che scavi su progetti alternativi a quello di Snam, che spulci fra le incongruenze delle carte presentate, sul fatto che si sta profilando un processo autorizzativo farsa. Che sia stata eliminata la “Valutazione di impatto ambientale”, perché altrimenti quell’impianto non si potrebbe fare. E Carlo Calenda fa il miglior assist senza rendersene conto quando dice che altrimenti «la nave non potrebbe arrivare a marzo. Se vogliono quella nave qua non posso costruire dei meccanismi che mettono a rischio il suo arrivo».
Nessuno che prenda le parole usate da Calenda quando, da ministro per lo Sviluppo economico, l’11 giugno del 2016, bocciò il progetto dell’impianto di rigassificazione di Trieste. Sono le stesse che oggi usano il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, e i comitati che si oppongono al progetto.
Nessuno che faccia notare che sono in piena “fase sciocchezza celestiale” a quelli che paragonano il rigassificatore di Piombino alla diga del Bilancino (qui siamo oltre l’ignoranza più spinta) o alla Tap pugliese. O, peggio ancora, al rigassificatore di Barcellona. Quello spagnolo è un impianto fisso e non una nave, che di solito sta al largo, ed è a più di quattro chilometri dalla città. Inoltre, la legge spagnola prevede che quegli impianti non possano stare a meno di due chilometri dalle abitazioni. E, dunque, per la legge spagnola una cosa come quella di Piombino non si potrebbe realizzare. Per la verità neanche per quella italiana, che prevede severi controlli preventivi e precisi requisiti. Ma questi vengono eliminati con un decreto. Ci sono i tecnici di Snam che ai piombinesi che incontrano raccontano che questa cosa loro e nessun’altro l’ha mai fatta prima.
E c’è un altro aspetto che quasi nessuno coglie. Quella di Piombino è una diga, se viene giù quella il “metodo Piombino” sarà utilizzato per realizzare le peggiori schifezze ovunque. L’articolo 31 del “decreto aiuti bis” lo sta già rendendo possibile.
Eppure, va tutto liscio. Nessuno che controlli quanto gas ci sia nel mondo da poter comprare (nel 2068 non ce ne sarà più un metro cubo in giro). Nessuno che controlli quanto costi questa operazione, chi la paghi e, soprattutto, a chi convenga. Nessuno che vada a vedere come il ministero per la Transizione ecologica abbia fatto scempio del nome che porta, di fatto ostacolandola quella transizione ecologica. Se avesse fatto la metà del suo mestiere i progetti dei rigassificatori altro che dannosi e inutili, sarebbero improponibili. Perché non avremmo bisogno affatto di nuovo gas. Volendo, si potrebbe ricavare la stessa energia portata dal rigassificatore di Piombino (da marzo in poi) con una leggera accelerazione delle fonti rinnovabili. Basterebbe andare a chiederlo a chi ne sa. Basterebbe, appunto.
Questo non è servire chi è governato, è un inchino al potere. È irrispettoso per il cittadino ma anche per la prima faccia che si vede al mattino guardandosi allo specchio.
Coraggio. Piombino è sola, il giornalismo è sotto scacco, la politica pure. Ma attenzione, se dovesse crollare la politica arriverebbero generali e colonnelli oppure la plutocrazia (governo diretto dei poteri economici), se dovesse crollare il giornalismo arriverebbe direttamente il balconismo. La narrazione sarebbe ancora più tossica, perché ci sarebbero solo tante “piazza Venezia” virtuali dove il potente sta in alto e parla e sotto ci sarebbero i sudditi costretti ad ascoltare, illusi di poter fare qualche domanda. Ovviamente filtrata.
Il problema non è rappresentato dalla politica o dal giornalismo, ma dalla qualità della politica e del giornalismo. E allora pensiamoci bene, siamo ancora in tempo. Ma di tempo non ce n’è rimasto molto.
Stefano Tamburini
Nella foto Tamburini al Grigolo, dove ha passato le estati della sua infanzia