Il prof. Pietro Ichino (*) interviene su “Repubblica” (27.10.2022) per difendere il neo ministro dell’Istruzione Valditara e la decisione di chiamare il suo Ministero “dell’Istruzione e del Merito”. E subito afferma con sicurezza, contro chi ha manifestato dissenso in proposito, che “vi sono degli ottimi motivi per pensare proprio il contrario: cioè che la scuola non possa essere fattore di uguaglianza sociale se non impara a valutare e premiare il merito molto più di quanto non lo faccia oggi”. Certamente non sfugge a Ichino che la sua affermazione ha una forte connotazione didattico pedagogica, e che in proposito non sono chiare le sue competenze specifiche. Lo si vede, per esempio, dal fatto che parla di “merito” senza fornirne alcuna definizione che dia senso alla sua affermazione, tanto più che subito propone la necessità da parte della scuola (o forse della “pedagogia econometrista” dell’INVALSI, dell’INDIRE e della Fondazione Agnelli; e come più avanti si vede, dello stesso Ichino) di “valutare e premiare il merito più di quanto non lo faccia oggi”. Dunque una pedagogia del premio e della punizione, che avrebbe la virtù di soccorrere i più deboli e i più poveri, assioma di cui non è immediatamente percepibile la validità.
Ma il Professore va avanti, e introduce un nuovo elemento di riflessione: la scuola ha certo bisogno di infrastrutture e strumentazioni, ma soprattutto deve “investire sul miglioramento della qualità dell'insegnamento, cioè sulla capacità e l'impegno degli insegnanti. Questo implica non solo una formazione migliore di questi ultimi, ma anche inviarli a insegnare dove occorre e non dove fa comodo a loro. Implica far sì che la struttura scolastica sia capace di valutarne la prestazione per poter retribuire meglio i più bravi e allontanare dalle cattedre quelli che non conoscono la materia affidata loro, o non sanno insegnarla, o più semplicemente non hanno voglia di farlo”. E di nuovo qui compaiono affermazioni che avrebbero bisogno di essere sostanziate. I concetti di “qualità dell’insegnamento”, di “capacità” e di “impegno”, devono essere apparsi abbastanza vaghi anche a Ichino, che infatti subito cerca di chiarirli, non riferendosi al loro significato, quanto piuttosto attraverso la proposizione di un “regime” capace di disciplinamento: “inviarli a insegnare dove occorre e non dove fa comodo a loro”, il che implica “far sì che la struttura scolastica sia capace di valutarne la prestazione per poter retribuire meglio i più bravi e allontanare dalle cattedre” gli altri. Premio e punizione. E chi sarà a giudicare? Come nelle scuole statunitensi -il mito dell’America mater et magistra, inossidabile e indubitabile-, “per valutare gli insegnanti occorre anche rilevare capillarmente l'opinione espressa su di loro dalle famiglie e dagli studenti”. E qui il Professore si è proprio distratto: “potenziare la scuola significa mettere al centro il diritto degli studenti, in particolare dei meno dotati, di quelli che non hanno alle spalle una famiglia colta”; gli è sfuggito che gli studenti che non hanno alle spalle una famiglia colta non hanno neanche una famiglia capace di opinioni sensate sulla scuola e l’insegnamento.
In realtà Ichino sembra pensare a qualcosa di più concreto: appunto la “struttura scolastica” -forse il Ministero del Merito- che potrà contare sulla tendenza iperprotettiva delle famiglie a esprimere prevalentemente riserve sull’operato degli insegnanti. Questi infatti sono a loro volta sempre più pressati a valutare le performance degli allievi piuttosto che ad accompagnarli in una progressiva acquisizione di conoscenze e di capacità critica, e quindi sempre più esposti al rischio di dispiacere alle famiglie che vagheggiano “magnifiche sorti e progressive” -spesso riassumibili in un posto di lavoro- per i loro rampolli. Così il cerchio si chiude: e il Ministero del Merito valuterà e deciderà, potendo valersi dei suoi preziosi consulenti…
Purtroppo ci sono i sindacati degli insegnanti che si mettono di mezzo. Il prof. Ichino sa con certezza che “se un professore insegna male o non insegna del tutto, nella quasi totalità dei casi non accade nulla: così un'intera classe viene privata per uno o più anni dell'insegnamento di materie essenziali, come l'italiano o la matematica” -si è dimenticato Inglese, Informatica e Impresa; però ci conforta che gli insegnati di educazione fisica nella quasi totalità dei casi fanno il loro dovere-. Sa con certezza che questo “accade in modo diffusissimo: quasi ogni classe ha almeno un professore -se non due o addirittura tre- che per incapacità o negligenza non svolge in modo appropriato il proprio servizio”. C’è da disperarsi. Ma non facciamoci prendere dal panico: il rimedio c’è. Basta “attivare una sistematica e rigorosa valutazione della qualità dell'insegnamento impartito dagli istituti scolastici pubblici; ma anche consentire loro di scegliere gli insegnanti e attirare i migliori premiandoli” -ancora la meravigliosa America-. “Questo si deve fare se si vuole davvero stare dalla parte dei più poveri”. Quest’ultima notazione, per la verità, appare un po’ curiosa, come l’aumento del tetto del contante tanto caro a Renzi e alla Destra, perché è noto che sono “i più poveri” a viaggiare sempre con almeno quattro o cinquemila euro in tasca, perché -meschini- hanno difficoltà con il computer, o non sanno come aprire un conto corrente magari alle poste, dove fin da bimbi i nonni acquistavano per loro i “buoni fruttiferi” nei periodi di più felice contingenza. Non sarà così anche per le scuole del premio e della punizione, con le più ricche -chi sa come più ricche- che potranno assicurarsi gli insegnati “migliori” e retribuirli meglio (“premiandoli”).
Ma ecco che tutto si chiarisce: Una forte iniezione di "merito" occorrerebbe anche nel campo dei servizi al mercato del lavoro, perché diventassero un fattore di uguaglianza sociale, di aiuto ai più deboli. La sinistra italiana appare indifferente, distratta, di fronte allo scandalo di quel 40 per cento di nuovi posti di lavoro qualificato o specializzato in Italia sono centinaia di migliaia!- che le imprese hanno necessità di coprire ma non riescono a farlo per mancanza delle persone idonee”. Ma come? E gli stage della scuola-lavoro? Sembrava un problema risolto, e invece le imprese sono sempre a cercare personale qualificato? (Naturalmente l’ipotesi che c’entri anche il livello non proprio allettante delle retribuzioni non è neppure presa in considerazione).
Però anche per questo c’è il suo rimedio. Un’altra bella “struttura”: “istituire un'anagrafe della formazione professionale e incrociarne i dati con quelli delle Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro sulle assunzioni, degli albi professionali, delle liste di disoccupazione. Sarebbe così possibile conoscere di ogni corso il tasso di coerenza tra la formazione impartita e gli esiti occupazionali effettivi, che è l'indice migliore della qualità del servizio”. Misurazione e valutazione. Capitale umano, Forza lavoro, Bisogni delle imprese. Professionalizzazione. La conoscenza, la Cultura, la Capacità critica non danno da mangiare a nessuno, come diceva quello. D’altro canto, chi si occupa solo di Misurazione e valutazione non ha particolare interesse per conoscenza, cultura, capacità critica, che per loro natura sono difficilmente misurabili. E allora avanti con la coerenza fra la formazione impartita e gli esiti occupazionali effettivi: la scuola deve servire a creare Forza lavoro. E facciamo alla svelta a liberarci dei Sindacati che hanno vanificato il D. L. 150/2015 (chi era Presidente del Consiglio?) per mero corporativismo, per tutelare coloro che inutilmente operano nei Centri per l’Impiego; e per fortuna che ci siamo liberati della Sinistra cui “sembra star più a cuore la stabilità degli addetti a questi corsi che l'interesse della generalità delle persone e delle imprese a un mercato del lavoro innervato di servizi efficienti ed efficaci”. Ma per l’appunto negli USA il tentativo di rendere possibile l’incontro vagheggiato fra imprenditori e prestatori d’opera si è talmente “innervato” in un enorme tentativo di descrivere competenze, mestieri e mansioni, che ha finito per essere rifiutato proprio da chi avrebbe dovuto servirsene, le imprese e i lavoratori.
La conclusione del prof. Ichino è ammirevole nella sua sconfortante ovvietà: “se si vuole costruire l'uguaglianza di opportunità tra i cittadini e migliorare la condizione dei più deboli, l'efficienza ed efficacia dei servizi pubblici è indispensabile. È questa, a ben vedere, la coniugazione virtuosa tra merito e bisogni”. “E’ meglio essere giovani, sani e ricchi che vecchi malati e poveri”, diceva il compianto Catalano.
Che la scuola debba sempre procedere nel costituirsi strumento fondamentale per la crescita della società nella quale opera è ovvio. Ma non cerchiamo vie brevi per raggiungere risultati che hanno bisogno di proseguire nel tempo all’infinito. Per accompagnare la scuola nel suo lavoro di emancipare i cittadini dall’ignoranza, dalla limitatezza di prospettive, dall’incapacità di giudizio; di fornire capacità di discernimento e di esercizio della volontà, forse sono più utili i filosofi dei ragionieri.
Luigi Totaro
(*) Pietro Ichino: Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università Statale Milano, giornalista, già parlamentare (PD).
(foto di repertorio)