Il Fondo per l’ambiente italiano (Fai), Legambiente e Wwf hanno siglato un documento comune – paesaggi rinnovabili – che apre definitivamente all’installazione dei necessari impianti rinnovabili sui territori, ampliando un punto di vista che già da tempo comprende anche Greenpeace.
«Le emergenze climatica ed energetica sono le più grandi che il genere umano deve affrontare ora e nel prossimo futuro – affermano le tre associazioni – È innegabile che la diffusione degli impianti per produrre energia da fonti rinnovabili, in linea con gli obiettivi di de-carbonizzazione, inciderà sui nostri territori, trasformando i paesaggi già oggi feriti dalla crisi climatica. La sfida che si pone è quella di non restare osservatori passivi della “rivoluzione in atto”, ma di governarla con regole certe. Coniugare gli obiettivi della transizione energetica con la lungimiranza nella pianificazione paesaggistica e la qualità della progettazione è quindi la sfida cruciale del prossimo futuro. Per accelerare la transizione ecologica verso le energie rinnovabili».
In altre parole, gli ambientalisti riconoscono che «il paesaggio è per sua natura “un bene rinnovabile” e per sua natura mutato dalle attività umane come da fenomeni naturali: e oggi siamo chiamati a “rinnovarlo” nel modo migliore possibile. Ciminiere fossili, centrali a carbone, ecomostri del sistema/petrolio, tutte icone che semplicemente non possiamo più tollerare nei paesaggi del XXI secolo. La sfida dei paesaggi rinnovabili implica proprio questo assunto: saper trasformare armonicamente i territori, innanzitutto per risarcire le ferite del passato, ma anche per aggiornare il nostro immaginario collettivo».
Il punto di partenza sono gli obiettivi europei, che impongono un taglio delle emissioni di CO2 pari al 55% per il 2030 rispetto al 1990: questo significa (anche) installare impianti rinnovabili per 85 GW al 2030, al ritmo di circa 10 GW l’anno. «Una crescita che può sembrare impossibile, e che invece sarebbe alla nostra portata se solo pensiamo che nel 2011, l’anno del boom del fotovoltaico in Italia, sono stati installati ben 11 GW in 12 mesi», evidenziano gli ambientalisti.
Per riprendere a correre, le associazioni ambientaliste propongono interventi sia a monte sia a valle del processo decisionale, sottolineando che in ogni caso «la trasparenza dei procedimenti amministrativi e la dimensione partecipativa delle comunità coinvolte dai progetti diviene fondamentale», da tradursi in processi partecipativi sul modello del dibattito pubblico francese.
Per il resto, se a valle occorre «certamente semplificare dal punto di vista burocratico» l’iter di permitting delle rinnovabili, a monte occorre invertire rotta: «Attualmente, al massimo, si prevede che gli strumenti di pianificazione possano individuare le “aree non idonee”, criterio peraltro non vincolante. Viste le difficoltà generate da questa modalità, occorre a nostro avviso invertire il sistema di programmazione, lasciando che gli strumenti di piano individuino con generosità e lungimiranza le “aree idonee”, come previsto peraltro dal recepimento della direttiva Red II, di cui però manca ancora il decreto attuativo».
Da qui la proposta di promuovere un piano nazionale straordinario per l’individuazione delle aree idonee per l’installazione e la riqualificazione degli impianti per le energie rinnovabili, di istituire una cabina di regia interministeriale per le energie rinnovabili e di rilanciare la pianificazione paesaggistica con le Regioni.
Un programma di lavoro proattivo quanto solido, che viene declinato poi per singola fonte energetica: si parla di “paesaggi per il fotovoltaico”, di “paesaggi per l’eolico” e di “paesaggi per l’economia circolare”. Un ottimo punto di partenza, per quanto resti evidente la mancanza di qualche tassello.
Se è vero che fotovoltaico ed eolico sono chiamati a fare la parte del leone nella nuova potenza installata, le fonti rinnovabili non sono solo due. Per l’Italia c’è in primis la geotermia – che è una fonte programmabile e in teoria potrebbe garantire da sola il quintuplo del fabbisogno energetico nazionale –, come anche l’idroelettrico, le biomasse, il moto ondoso, il solare termodinamico, etc.
Lo stesso si può dire per i “paesaggi per l’economia circolare”, che il documento delle associazioni limita a declinare sugli impianti di digestione anaerobica pensati per gestire solo una frazione dei nostri rifiuti, quella organica; per il resto occorre invece parlare di impianti di selezione e avvio al riciclo meccanico, di impianti di riciclo/recupero chimico, di termovalorizzatori, di discariche. Tutti impianti “scomodi” per la pubblica opinione quanto cogenti per la transizione ecologica.
Resta il fatto che questo documento segna un solco profondo tra il nocciolo delle principali associazioni ambientaliste italiane e quelle che ormai si definiscono solo per negazione, auto-relegandosi così a un ruolo puramente reazionario. Due casi su tutti: Italia nostra e gli Amici della Terra, che non a caso oggi si sono scagliate duramente contro la posizione comune di Fai, Legambiente e Wwf.
Gli Amici della Terra parlano di «un patto #ammazzapaesaggio con cui le tre associazioni ambientaliste dimostrano di essere completamente fuori dalla realtà», mentre Italia Nostra «non può che sostenere l’indirizzo politico del ministro Gennaro Sangiuliano e del sottosegretario Vittorio Sgarbi», che nei giorni scorsi ha paragonato l’installazione delle pale eoliche agli stupri dei pedofili. Del resto ognuno ha gli amici che si merita.
Luca Aterini