Una provocazione. In Italia ci sono 17 carceri minorili con 391 detenuti di cui 10 donne minorenni. Facendo di conto circa 23 per istituto, a Bari sono in 8.
Forse quanto avvenuto al Beccaria di Milano in questi giorni delle festività natalizie dovrebbe permettere un dibattito alla società civile per ragionare e discutere la funzione del carcere minorile nel XXI secolo. Viviamo nell’era della modernizzazione, della rivoluzione tecnologica, dei social media, di internet, dello smartphone, della videosorveglianza, dell’intelligenza artificiale (AI), dei robot, degli algoritmi, dei droni, dei braccialetti elettronici, dei GPS. In tale contesto il carcere appare come un’istituzione totalizzante forse obsoleta, forse da rivedere, forse da riformare. Diventa difficile solo immaginare che il Beccaria considerato fino a qualche anno fa un modello, un simbolo, se non addirittura un esempio della metropoli meneghina, epicentro economico e finanziario italiano, da 20 anni non ha un direttore. Surreale. Sorge spontanea la domanda. Come mai?
I report del Ministero dicono che nelle carceri minorili italiane viene assicurato un trattamento specialistico con personale altamente preparato. L’oggettività. I colloqui sono limitati, mancano i direttori, gli educatori, i mediatori culturali, gli psicologi, i sociologi. Il personale di Polizia penitenziaria pare assegnato sul territorio con criteri che sembrano come dei bizantinismi. Servono figure che intendano lavorare in equipe, in gruppo, in sinergia. La società civile già in fibrillazione a causa del Covid-19, della guerra in Ucraina, dell’inflazione a volte pare latitare. Si corre il rischio che se lasciati a loro stessi i giovani-adulti del minorile esplodano per solitudine in edifici vuoti. Fuori le differenze sociali stanno aumentando nel dopo pandemia creando un forte disagio che produce rancore e di conseguenza divide ed esclude le persone. Il carcere sembra sempre più diventare una discarica sociale, ci va chi è particolarmente fragile, debole e avrebbe bisogno di essere aiutato. Viene pensato strutturalmente per punire per fare del male a chi vi sta dentro.
Si parla sempre più di depenalizzazione, meno reati ci sono meno persone vanno in carcere. Non si possono chiudere gli istituti minorili. La società italiana pensa che sia giusto retribuire il male con il male. Questo si riflette sui programmi della politica. Forse sarebbe opportuno cominciare a ragionare in una prospettiva secondo la quale chi è pericoloso venga messo in condizioni di non nuocere, e collocarlo in un luogo sicuro, in cui tutti i suoi diritti che non confliggono con la sicurezza delle persone, siano garantiti. Per la tutela della collettività. Gli altri dovrebbero rispondere dei loro reati in modo più sensato. Potenziando la messa in prova al Servizio Sociale, le misure alternative, i lavori c.d. socialmente utili, la giustizia riparativa.
Tanti passi sono stati fatti recentemente in questa direzione. Si è cominciato a prendere le distanze dal vedere la pena come retribuzione e si è dato impulso alla valorizzazione della giustizia riparativa. Un percorso non facile attraverso il quale il responsabile del reato e la vittima, assistiti da specialisti particolarmente preparati sul tema, arrivino ad un incontro che ripari la vittima dal male subito e renda il responsabile consapevole del male fatto. Facendo una comparazione, dove il carcere si mostra flessibile ed interprete di un vero percorso di rieducazione e di reinserimento, le recidive sono bassissime.
Tuttavia, in questi ultimi anni sembra di assistere ad un sistema carcerario che pare essersi autorelegato ai margini con lo sguardo rivolto al passato, privo di una visione per il futuro. Compito della politica imprimere la svolta per cambiare rotta. Fare tornare in gioco il sistema penitenziario italiano con la videosorveglianza, i droni, gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, i braccialetti elettronici. Con misure alternative, la rieducazione, la giustizia riparativa superando quella visione d’antan del carcere legata al secolo passato.
Enzo Sossi
Funzionario carcere Porto Azzurro