Innanzitutto ringrazio ancora chi ha letto con attenzione la mia ultima serie. Ho apprezzato molto i commenti ricevuti, segno che hanno ispirato diverse riflessioni. Ho inoltre letto le interessanti note di Giovanni Fratini e il direttore Sergio Rossi. Critiche (si usi pure questa parola: ho sempre pensato che le critiche facciano crescere intellettualmente) a cui proverò a replicare.
È soprattutto uno il rilievo, l'approccio troppo pessimistico, che entrambi mi fanno, anche se da posizioni diverse: Sergio da un punto di vista più vicino al mio, Fratini decisamente più critico. Non penso di essere, in senso assoluto, né ottimista né pessimista. Valuto i dati e cerco una conclusione: in alcuni ambiti vedo un futuro, se non roseo, almeno migliore del presente; in altri faccio più fatica. Ma quando scrivo una serie come quella appena conclusa sono obbligato a vestire il ruolo di intellettuale. Cioè di uno che deve seminare dubbi e incertezze. E soprattutto che non deve dare un finale consolatorio. Cosa lecita ai politici e ai romanzieri. E per questi non sempre, altrimenti, come diceva Umberto Eco, dovremmo buttare nella spazzatura Dostoevskij. L'intellettuale non può usare i toni diplomatici, ma quelli diretti, spesso brutali e urticanti. Deve lasciare, come dice Daniele Luttazzi, il secondo sorriso: quello della gola tagliata.
Per queste ragioni ho sempre indicato lo scenario peggiore. Non dicendo che arriveremo a quello, ma avendo l'obbligo morale di avvertire che potremmo arrivare a quello. Perché c'è qualcosa di peggio del pessimismo: la sottovalutazione, la cattiva programmazione. Tutto questo è ben espresso nel capitolo che ho studiato più minuziosamente, quello delle riserve idriche: per secoli abbiamo dato per scontato che l'isola fosse inesauribile di acqua, e in una manciata di anni siamo arrivati proprio allo scenario peggiore, la crisi idrica. Volevo che fosse chiaro che se è successo una volta, non possiamo dire apriosticamente che non succederà più, anche in altre situazioni.
Fratini dice che non si può parlare di disastro cementizio. E guardando i dati dice il vero: secondo un calcolo di massima, il consumo di suolo permanente totale dell'isola è intorno al 4-5% del totale. Non certo altissimo. Ma proprio perché dice una cosa vera, va maneggiata con cura. In quanto rischia di diventare un alibi pericolosissimo per costruire ancora di più e male. Dal 1981 al 2001, in appena vent'anni, come abbiamo visto le abitazioni sono aumentate senza alcuna ragione del 25% circa. Illuderci che in fondo si è costruito poco è il lasciapassare per alzare sempre più l'asticella: prima si arriva al 7%, dicendoci “vabbè, è sempre poco”, poi al 10%, poi al 15%, e poi? Chi lo stabilisce qual è l'asticella che separa il poco dal tanto? E nel frattempo lievita il consumo di risorse e si impongono misure di salvaguardia idrogeologica sempre più onerose e impopolari. Quindi, pur riconoscendo che il salvabile è ancora moltissimo, da intellettuale non posso limitarmi ad accontentarmi, ma mettere in guardia per il futuro.
Fratini dice un'altra cosa altrettanto vera: il nostro mare non è inquinato. Ma è sempre più caldo. Nell'ottobre scorso il tratto di mare tra le coste francesi e la Corsica, a poche decine di chilometri da noi, ha registrato una temperatura media di 5 gradi più alta degli ultimi 30 anni. Chi si limita a una considerazione puramente mercantilista e promozionale può gioire pensando che adesso all'Elba si può fare il bagno da marzo a novembre. L'intellettuale invece deve rompere il quadretto idillico e sbattere in faccia lo scenario peggiore: un aumento così abnorme della temperatura dell'acqua porta a correnti d'aria troppo calda, che se si scontrano con masse d'aria fredda artica creano quelli che gli scienziati chiamano “medicane”, cicloni tropicali mediterranei, eventi meteo estremi di pericolosa potenza distruttrice. Uno, per fortuna di scala modesta, lo abbiamo visto con l'alluvione di Porto Azzurro, nel novembre scorso.
L'altro tema posto è quello sulla fiducia sulle nuove generazioni. In generale sono d'accordo. Ma, pur avendo scarsissima fiducia sulle attuali, non risolve il problema. La scienza ci dice che non c'è più tempo, che sono proprio questi gli anni decisivi per il futuro della nostra specie: non ci possiamo permettere il lusso che ci mettano una pezza i nostri nipoti. Anche una ragazza intelligente come Greta Thunberg, con il bellissimo discorso di pochi mesi fa (“There is not planet B. There is not planet... bla bla bla!”), ci ha richiamati alle nostre responsabilità: non si può aspettare che la sua generazione vada al potere, è la nostra che deve intervenire subito.
Per restare all'Elba, il rapporto tra politica e nuove generazioni l'avevo affrontato nell'ottavo problema, che poi non era uscito. Quel passaggio era tra i più riusciti: ve lo lascio come post scriptum, se volete leggerlo.
Volevo poi sgombrare un fraintendimento con Fratini. Quando parlo di sfiducia totale nella borghesia (classe peraltro a cui appartengo e a cui giocoforza devo parlare) intendo la cultura tossica di possesso e distruzione che essa incarna. Quindi gran parte della nostra società, non solo la politica, che ne rappresenta l'appendice. Lo ribadisco su tutta la linea: è autoassolutorio pensare che le storture siano una responsabilità dei soli amministratori. Ognuno ha la sua responsabilità individuale. O lo capiamo, o non cambieremo mai il paradigma.
Quando Fratini sposta la sua lente al passato (di cui io non ho mai fatto apologia) mi trova perfettamente d'accordo. Proprio l'altro giorno, insieme a Mario Pintore, ricordavamo quei sindaci, assessori e politici, che pur con la loro quinta elementare e la loro provenienza dal mondo operaio e contadino, avevano una visione politica così vasta e uno spirito di servizio, che in confronto ai plurilaureati sotuttoio attuali, parevano De Gaulle. Ma, ribadisco, avevano partiti seri alle spalle. E ribadisco altrettanto fermamente, da quando il ruolo di quei partiti è scomparso, la politica è rimasta in mano a comitati d'affari e conventicole di familismo amorale che non possono esprimere poco di buono.
In conclusione vorrei ringraziare in ordine sparso chi ha lasciato commenti sotto gli altri articoli. Se mi dimentico qualcuno, perdonate. Grazie ad Alexandra Galvani, che mi ha fatto il complimento più bello, quello di aver aperto le menti. Grazie a Giancarlo Diversi, tra i pochi che ha colto benissimo l'inscindibilità tra la visione globale dei problemi e la loro risoluzione locale. Grazie a Eliseo Malavasi per la sua fiducia in un mio impegno politico, ma che declino: sarebbe un suicidio intellettuale. Grazie ad Andrea Isolani: ho letto il suo articolato e interessante commento sul dissalatore; può darsi che proprio il mio sia un pensiero veloce e che mi sfuggano dati che rendono più complesso il problema. E ancora grazie a Sergio Rossi la cui direttiva di resistere è totalmente condivisa.
ps. [Dopo aver analizzato le realtà associative dell'Elba, citando Legambiente Italia nostra e il Forum giovani, definendole pasoliniamente degli stati sani all'interno di uno stato malato, soprattutto la politica, con cui devono avere un rapporto quasi di diplomazia estera, il capitolo proseguiva così:] Come per esempio il patto per il diritto allo studio. Il Forum giovani presenta un documento in cui si rivendica appunto il diritto di studio. Cioè un diritto costituzionale (articolo 34), che dovrebbe essere scontato, garantito, neanche messo in discussione. Ma i comuni elbani sono appunto degli stati esteri malati. E quindi occorre richiamarli alle loro responsabilità con un atto ufficiale diplomatico. Ma, attenzione, qui non stiamo parlando solo di uno scollamento tra la politica e la società, ma molto peggio. Qui stiamo assistendo, senza batter ciglio, a una voragine culturale tra padri, che gestiscono il potere con tutti i difetti visti nei capitoli precedenti, e i loro figli, che devono appunto ricorrere al rapporto diplomatico per rivendicare diritti. Insisto, padri e figli che non si intendono più su un linguaggio sociale e democratico comune, ma su una contrattazione burocratica. Se vi sfugge la portata della cosa, non ci sono speranze: vi siete irrimediabilmente assuefatti al genocidio culturale.
Andrea Galassi