Nell’agenda politica del governo Monti -come fu detto- l’ambiente di fatto non figurava. Ma già prima le cose non erano andate meglio basta pensare alla Prestigiacomo, all’ abusivismo imperante, ai condoni e a Bondi.
Fu la critica più diffusa e pungente rivolta dai tanti movimenti, comitati e associazioni impegnati in difesa del paesaggio, del suolo, dei beni culturali, della natura, del territorio agricolo e specialmente di chi aveva promosso e sostenuto il referendum sull’acqua.
Sulla stampa nazionale e in tutta una serie di siti cresciuti a vista d’occhio le critiche si infittirono anche se per la verità faticarono non poco e ancora faticano a far breccia nel muro di una politica assai poco sensibile e disposta ad aprirsi ad una società civile che avverte sempre più i rischi di una situazione per troppi versi fuori controllo.
Anche la campagna elettorale non possiamo dimenticarlo confermò questa persistente difficoltà per le forze politiche a mettere in agenda temi e questioni che aggravavano e aggravano seriamente la già grave crisi del paese.
Eppure si tratta di una crisi che investe il ruolo istituzionale e di governo delle istituzioni dal centro alla periferia, che ha visto crescere a dismisura la conflittualità con effetti paralizzanti che hanno messo in crisi –a partire dal titolo V della Costituzione- i vari tentativi di mettere in relazione stato, regioni e enti locali per quella ‘leale collaborazione’ di cui è sempre più difficile trovare traccia. A rendere per molti versi inspiegabile questa situazione è un fatto peculiare e cioè che nel complesso le leggi e la normativa in campo ambientale –fa eccezione l’urbanistica- è di buon livello e resta tale anche dopo qualche improvvida incursione –vedi regolamento dei beni culturali sul paesaggio- o gestioni rovinose e corrotte come quella della protezione civile, delle bonifiche ambientali etc. Qui la contraddizione è palese e paradossale perché è dalla politica che dipende innanzi tutto il governo istituzionale e legislativo non soltanto dell’ambiente.
E da qui forse possiamo perciò prendere le mosse per una riflessione critica sull’operato –diciamo così- della politica e quindi delle forze politiche vecchie e nuove, partitiche o meno. Con l’avvertenza che specie in campo ambientale la responsabilità delle nostre istituzioni e quindi delle forze politiche è più recente e assai più impegnativa rispetto a ruoli e compiti più ancorati a vecchie tradizioni anche della pubblica amministrazione. Il vero punto di svolta risale alla tardiva istituzione delle regioni. Da allora parlamentari, ministri, consiglieri regionali, provinciali e comunali dovettero per la prima volta misurarsi con aspetti che avrebbero inciso fortemente anche sulla burocrazia, l’amministrazione, la selezione del personale, il rapporto con la ricerca scientifica e la cultura.
Qui voglio accennare in particolare alla vicenda dei parchi e delle aree protette sia perché si tratta anche normativamente di una delle leggi nazionali più recenti che seguiva peraltro l’esperienza di alcune regioni e poi perché qui –è bene ricordarlo sempre- ad una nuovo impegno erano e sono chiamate collegialmente tutte le istituzioni; stato, regioni ed enti locali. Come e più che in qualsiasi altro ambito qui tutti i livelli istituzionali erano e sono chiamati a funzioni di governo su aspetti inediti rispetto alla tradizioni e dovevano e devono disporre di personale sia amministrativo che operativo idonei a gestire le nuove competenze. Ecco perché in particolare dagli anni ottanta e ancor più dopo la legge quadro del 1991 anche le forze politiche –almeno alcune- dedicarono iniziative specifiche con tanto di documenti, proposte etc al tema dei parchi come fecero d’altronde anche per altre questioni.
Ricordo quelle del mio partito a cui partecipai ma anche quelle di altri di cui avemmo modo di discutere non solo nella associazione dei parchi –prima Coordinamento nazionale dei parchi regionali poi Federparchi- ma anche nell’UPI dove per un po’, ad esempio, operò un gruppo parchi che pubblicò anche il primo libro sui parchi regionali. Non vi fu in quegli anni appuntamento politico di rilievo che generalmente non prevedesse anche un dibattito sui parchi; sulle esperienze della propria regione ma anche nazionali e sempre più anche europee. Poi sempre più rapidamente il quadro è cambiato e al posto di confronti, riflessioni, documenti anche qui ha preso posto la demagogia e la retorica a partire da quella sulla casta. Si è parlato tanto per intenderci senza senso del ridicolo di parchi ‘carrozzoni’, mentre non si riusciva a pagare la bolletta del telefono e i mezzi della vigilanza erano senza benzina, ai presidenti di parchi nazionali e regionali in più d’un caso si è tolta qualsiasi indennità. Decisioni nazionali e anche regionali sono state adottate o si è tentato di farlo senza alcun coinvolgimento degli interessati e spesso a loro insaputa.
Ma il caso più clamoroso sotto questo profilo è stato senz’altro quello del Senato dove si era messo mano alla modifica della legge 394. Chiunque abbia seguito il prolungato dibattito sulla legge quadro sa quanti documenti e documentazione l’hanno accompagnato. Non diversa la situazione se si risale più indietro alla legge sul mare con la quale si istituirono le prime aree protette marine. Personalmente avendola seguita prima come parlamentare poi come UPI ricordo come fino all’ultimo giro il confronto con le regioni e gli enti locali fu vivace ma fruttuoso. Chi ha seguito i lavori della commissione ambiente del Senato sarà senz’altro rimasto stupito di non trovare alcuna relazione degna di questo nome, men che mai una qualche decente a attendibile documentazione e nella maniera più assoluta di un qualche coinvolgimento istituzionale a partire dalle regioni a cui – pensa te- la legge toglieva qualsiasi competenza sulle aree protette marine.
Questa scandalosa –si scandalosa- vicenda non ha risparmiato nessuna forza politica comprese quelle che in qualche modo si richiamano a schieramenti che alla legge e alla sua approvazione e attuazione avevano dato un contributo decisivo.
Qui noi possiamo misurare anche la caduta rispetto a tradizioni –penso ai verdi- che in paesi come la Germania hanno lasciato ben altro segno.
Questa situazione investe le forze politiche sul piano nazionale ma anche regionale –penso alla Toscana che non dà un euro ai tre presidenti di parchi regionali e ha approvato una legge in cui dice che i piani dei parchi devono conformarsi a quello energetico ma intanto non approvano dopo anni la nuova legge regionale sui parchi e le altre aree protette. Mi chiedo se l’impegno assunto dal ministro Orlando di rilanciare finalmente un confronto serio sulla condizione dei parchi riuscirà smuovere le acque stagne della politica o ci si limiterà ancora una volta a teorizzare che in tempi di carestia anche per i parchi c’è solo pan di vecce. La carestia in politica vuol dire fallimento e rinuncia. Meglio lasciar perdere e mettere mano finalmente a qualche dibattito serio e anche a qualche documento magari non del tipo di qualcuno che ha girato su siti che fa ridere i polli per incompetenza.
Renzo Moschini