Riceviamo e pubblichiamo:
All’isola d’Elba, e anche in altri mondi prestigiosi del turismo di casa nostra, si rimpiangono i bei tempi floridi del Covid e della pandemia sotto controllo, quando l’estero era interdetto ai vacanzieri e spiagge e borghi del Bel Paese erano superaffollati di connazionali. Oggi che si sono riaperte le porte della concorrenza straniera ai garantiti prezzi promozionali come in Grecia e in Turchia, nonostante la minaccia di devastanti incendi, si torna in massa a partire per più lontani e ospitali lidi. Mentre da noi è arrivato come una mazzata inaspettata il calo delle presenze persino in questi mesi top dell’estate. Le somme certo si tireranno alla fine della stagione ma i segnali restano inquietanti per un’economia isolana che non offre altre risorse per andare avanti e che aveva illuso che potesse continuare a ingrassare con le tavole imbandite ovunque e dovunque come se nulla fosse cambiato con il ritorno alla normalità della vita e dei rapporti internazionali.
Oltre al danno per le tasche degli isolani che avevano scommesso sulle fortune interminabili della ristorazione grazie anche alla mano larga degli amministratori pubblici che hanno permesso di tutto il contrario di tutto in un clima di disordine urbanistico e di confusione di stili, infischiandosene delle offese alle bellezze e all’immagine del territorio. Strade e piazze, giardini e storiche scalinate sono state invase e deturpate dalle brutture di pedane, sovrastrutture di ogni forma e dimensione, ormai inamovibili, fai da te lungo marciapiedi, moli e marine che impediscono le suggestive viste e passeggiate di una volta. Il diavolo ormai ci ha messo coda e corna nell’isola della bella Venere ed è difficile immaginare che ce la potranno restituire come era prima dello scempio organizzato con tanto di benestare ufficiale.
Romano Bartoloni