Sono tornato, dopo tanti anni in vacanza all’Elba e, chiacchierando con alcuni amici, ho appreso di alcune vicende degli anni 70 che ho trovato molto interessanti. Ho cercato, aiutandomi anche con Google, di sintetizzarle in questo pezzo che spero possa interessarvi.
Portoferraio la città della Rottamazione
Il Sindaco di Portoferraio Roberto Peria (PD) è tra i fondatori della corrente dei rottamatori che si è costituita in questi giorni all’Elba. Secondo alcuni ne sarebbe stato il promotore. E questo ha provocato qualche polemica. Ma, a pensarci bene, nessuna sindaco italiano sarebbe legittimato come lui ad avere un ruolo nella squadra del Rottamatore fiorentino. Non alludiamo al fatto che, almeno per alcuni, Portoferraio sarebbe una città rottamata. Ma perché, comunque non potrebbe esibirla come un suo successo, essendo opera anche dei precedenti amministratori.
Vi sono altre ragioni storiche che tenteremo di spiegare.
La prima rottamazione
Portoferraio è la città italiana dove, in passato, si è realizzato il primo caso di “rottamazione politica “ nella storia del nostro paese: la sostituzione in blocco, con nuove leve, dei vecchi dirigenti di un partito. E non di un partito qualsiasi, ma del più importante Partito Comunista dell’Europa Occidentale, al colmo della sua forza e punto di riferimento per l’intera sinistra italiana.
Un sindaco da primato
Negli anni 70, a Portoferraio, avvenne qualcosa che avrebbe cambiato la storia della città: un gruppo di giovani democristiani di sinistra si organizza come movimento (Alternativa Democratica) e due di loro, dopo la vittoria della Democrazia Cristiana alle amministrative, diventano assessori. Ma, a metà legislatura, lasciano giunta e partito, si alleano con il Pci per riformare una nuova maggioranza e il loro leader diventa sindaco, stabilendo addirittura un primato nazionale: è il primo sindaco che, nella stessa legislatura, è riuscito a fare l’assessore con i democristiani e il sindaco con i comunisti. Il Fatto è talmente clamoroso che la Democrazia Cristiana fa affiggere sui muri della città le foto dei suoi ex rampolli indicandoli come traditori.
Loro non si sentono dei traditori, ma dei precursori. Si godono il successo, ma non basta. Hanno capito una cosa: il sindaco, se non controlla anche il partito, non ha un potere reale. Detto fatto: sciolgono il loro movimento ed entrano in blocco nel P.C. I
I baffi dei vecchi dirigenti
Ma i vecchi dirigenti non si sentivano tranquilli. Erano rimasti sbalorditi nel vedere con quanta abilità avevano preso il comune; e se li ricordavano ancora quando da bambini vestiti da chierichetti gironzolavano sul sacrato fra preti e monache. Né aiutava il fatto che il loro leader, divenuto sindaco, si chiamasse Fratini.
Ecco come viene raccontata in un articolo del 2001 la loro reazione, quando videro entrare in sezione i giovani “rottamatori“:
( . . . . i nuovi arrivati fecero il loro ingresso nella sede storica del partito in Piazza della Repubblica. Entrarono sotto gli sguardi severi di Marx, Lenin e Togliatti, portandosi dietro l'odore di cera e di sacrestia.
I vecchi compagni li annusarono, ma rimasero impassibili. Alcuni di loro capirono che questo avrebbe creato problemi all'identità del partito. E, soprattutto dalla "frazione" operaista”, veniva percepita come una contaminazione. E quindi urgeva una risposta. E fu’ una risposta sorprendente. I dirigenti storici, per marcare la propria identità, si fecero tutti crescere i baffi: Danilo Alessi, Fabrizio Antonini, Sergio Rossi, Vezio Colli, Giovanni Frangioni, per citare i più importanti. Certo il baffo, come simbolo di identificazione politica, nella sinistra, non era una novità. Era sempre stato visto come simbolo di riscatto: "ha da venì baffone" era nato da questa speranza. Ma il baffo non salvò questi leader. (Elba Oggi di venerdì 27 luglio 2001)
Uno di questi, che aveva dedicato la giovinezza al partito, disse che erano come delle pere attaccate ad una pianta sbagliata e che, al primo colpo di vento, sarebbero cadute. Ma il tempo gli dette torto, perché loro trasformarono la pianta e le pere non caddero
Nel 2007 la teorizzazione della “Rottamazione”
Se quello che avvenne negli anni 70 fu una rottamazione di fatto senza essere preceduta da una elaborazione teorica, e quindi senza la consapevolezza di realizzare un precedente importante, nel 2007 fu fatta una analisi proprio su quello che rimaneva del vecchio PARTITO COMUNISTA, quando si chiamava ancora Pds.
Secondo questa analisi di Giovanni Muti, vice sindaco a Rio Marina e socio fondatore del neonato gruppo di rottamatori elbani, i dirigenti del partito non erano più in grado di capire la nuova realtà ed “andavano rottamati” .. E’ la prima volta che il termine “Rottamazione“ viene utilizzato per indicare l’ eliminazione di una classe dirigente politica. E siccome era riferita ai dirigenti dell’allora Pds cioè, dell’attuale Partito Democratico, non si vedono differenze con l’analisi che Renzi avrebbe fatto alcuni anni dopo.
Ecco il testo
“... Questi dirigenti non sono più compatibili con la realtà, perché non sono in grado di interpretarne i problemi. Sono come dei computers che non riconoscono i nuovi programmi. Sono inutili e dannosi e andrebbero politicamente rottamati”
(Teletirrenoelba martedì 6 novembre venerdì 27 novembre 2007)
Rimane una questione fondamentale: ma la rottmazione degli anni 70 come funzionò? La cosa è discutibile, però c’è un dato: i cittadini la dovettero vedere come un fatto molto positivo se, alle successive elezioni, il giovane sindaco “rottamatore” Giovanni Fratini fu confermato a grande maggioranza, e per diverse legislature.
Marco Sollapi