Da Pomonte la sottile linea di Pianosa e il lampeggiare del suo faro è una immagine usuale. Elino Gentini, un “pomontinco di mare”, e Piero Rasera che nell’Isola era stato per lungo tempo il medico, ricordavano spesso i tempi che avevano passato a Pianosa prima della istituzione del “41-bis”. La loro Isola nel bene e nel male, non esisteva più. I lunghi anni di supercarcere avevano mutato profondamente la vecchia Colonia agricola modello. Quello che vedevano nel Paese, erano case e palazzi abbandonati e degradati; “i corridoi scavati nel tufo”, le catacombe cristiane, invasi da radici, terra, rifiuti e scarichi fognari; edifici, costruiti per le esigenze del supercarcere mai utilizzati ed in rapido degrado; vaste steppe cerealicole, uliveti e vigneti abbandonati; nella grande tinaia, ormai vuota, una data “1983”, chiudeva il lungo elenco degli anni durante i quali a Pianosa si era vendemmiato e vinificato; sentieri e strade, limitate da splendidi muri a secco semicrollati; il grigiore del lungo muro in cemento armato che taglia l’Isola da Cala San Giovanni a Cala Giovanna; le torri di guardia abbandonate; stalle e edifici degli antichi poderi cadenti; gli orti abbandonati; automezzi e macchine agricole rugginose accatastate nei capannoni; antichi impianti e pozzi di raccolta delle acque fatiscenti; le angoscianti celle, i cortili, i vetri blindati, gli archivi rovesciati e accatastati alla rinfusa della diramazione Agrippa.
La caserma Bombardi, edificata, arredata e mai usata, in prossimità dei più antichi edifici carcerari dell’Isola, dove i “Doloranti dell’Isola Pianosa” eressero il cippo a memoria dei caduti nella Grande Guerra. Giravano voci di misteriosi rifiuti, sotterrati nei terreni di Pianosa quando si parlava di edificare nell’Isola una delle centrali termonucleari del nostro Paese. Ma questo degrado aveva un’anima, ed una storia da non dimenticare. E poi … andando un po’ oltre, lungo i sentieri e gli stradelli, arrivavano le macchie di ginepro fenicio e di lentisco, il rosmarino, i cisti, gli olivi selvatici e i pini di Aleppo; le “grotticelle” dei gruccioni, e le corse delle pernici, il piccolo cimitero dei detenuti: “dove finisce la giustizia degli uomini e inizia quella di Dio”; la Torre di Babele, la sorgente de La Botte e, come è stato scritto, “... là, dove il profumo delle essenze si mischia a quello del mare, dalle alte scogliere piene di conchiglie fossili, appaiono gli incredibili colori del mare del Porto Romano, là dove il blu cobalto diviene turchese, per rompersi contro la spiaggia, nei colori dell’acquamarina” (Lo Scoglio, n.114, p. 38).
Il Parco Nazionale divenne custode demaniale, acquisì l’immobile di “Villa Literno”, e iniziò i lavori per farne una Casa del Parco. La Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, dopo un lungo lavoro di bonifica e restauro, aprì alle visite le Catacombe. L’Associazione per la difesa dell’isola di Pianosa iniziò la raccolta e la mostra di materiale fotografico e documenti vari sulla vita dell’Isola ai tempi della Colonia agricola. Vennero commissionati studi al Museo de “La Specola” e all’ARPAT per definire lo stato del patrimonio naturalistico e ambientale di Pianosa; il possibile carico antropico sostenibile e lo stato delle risorse idriche nell’Isola. Attivati percorsi di educazione ecologica in collaborazione con le scuole, e progetti di ricerca, fra i quali PianosaLab, un programma internazionale di ricerche, coordinato dal CNR, sulle variazioni climatiche del Pianeta inserito nell’IPCC. Grazie a Silvia Ducci della Soprintendenza alle Antichità e a Marco Firmati, vennero organizzate campagne di scavo e in collaborazione con le associazioni ambientaliste (Legambiente, WWF) furono sviluppate campagne di volontariato per la pulizia delle coste. Vennero fatti i primi passi per trasformare ”l’Isola del Diavolo” in un “carcere verde”, dove detenuti in semilibertà avrebbero espletato attività retribuite di cura e manutenzione ambientale. Si tentò di rendere partecipe una Comunità monastica nel progetto di rinascita dell’Isola, pensando a quella che era, ed è, una realtà di successo nell’isola protetta di St. Honorat, davanti alla Costa Azzurra. Il 29 marzo del 2000 a Roma venne firmato dal Ministero delle Finanze, Regione Toscana, Provincia di Livorno, Comune di Campo nell’Elba, Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un protocollo di intesa che indicava le linee guida per il futuro di Pianosa: turismo contingentato e compatibile, ricerca scientifica e didattica ambientale, agricoltura biologica.
Pianosa dal 2005 è protetta, oltre che dalle regole del Parco Nazionale, dal vincolo archeologico esteso a tutta l’Isola ed è stata inserita nella Rete Natura, a terra e mare, come aree ZSC e ZPS. A Villa Literno è stata aperta la Casa del Parco, nell’edificio della ex direzione è allestito il Museo delle scienze geologiche e archeologiche, l’Associazione per la difesa dell’Isola di Pianosa ha raccolto preziosi documenti della storia della Colonia Penale allestendo una mostra permanente ricca di informazioni. La fruizione contingentata e compatibile dell’Isola si è arricchita di nuove iniziative; il “carcere verde” ha incrementato le sue attività; la Casa dell’Agronomo è stata sapientemente restaurata da due anni ed ospita una bella esposizione interattiva ricca di suggestioni e bellezze; da questa estate è possibile visitare la diramazione Agrippa; recentemente è stato firmato dagli Enti interessati un protocollo allo scopo di intervenire sul degradato patrimonio edilizio dell’Isola. Tanto è stato fatto, tantissimo resta da fare per vincere il degrado e il cammino per riportare i gerani nelle finestre di Pianosa è ancora lungo. Comunque, sono “definitivamente” tramontati i tempi in cui si ventilavano campi da golf, aeroporti, villaggi turistici, riapertura del supercarcere, stabilimenti balneari vari, cartolarizzazioni… e tanto altro.
Da quel luglio di venticinque anni fa quando “L’ Isola del Diavolo” cessò di esistere, migliaia di persone sono andate a Pianosa. Hanno vissuto la magia della sua natura ed il fascino della sua storia. Mi piace pensare che tanti di loro, ma forse tutti, siano diventati i “grandi custodi” di questo prezioso tassello del Pianeta Terra.
E giungiamo così alla notizia di questi giorni: il progetto del Comune di Campo per la “Messa in sicurezza e l’ adeguamento strutturale degli approdi dell’ isola di Pinosa” pari a Euro 2.609.000 è stato inserito nella graduatoria provvisoria dei finanziamenti afferenti a “Casa Italia”. Una grande e bella notizia che, coronata dal progetto esecutivo, porterà al restauro degli edifici che si affacciano nel Porto Vecchio: ”il più bel porticciolo del Mediterraneo” come venne definito, e a interventi vari nel nuovo molo dove oggi attraccano i traghetti. Grazie e buon cammino.
Beppe Tanelli