È incredibile che si parli di emergenza abitativa per dei lavoratori che potrebbero venire a lavorare a Portoferraio, e quindi contribuire alla sua ricchezza sociale, pensando a un'isola che ha un patrimonio immobiliare che potrebbe tranquillamente accogliere altri 30mila abitanti. Eppure è così, perché se l'Elba ha fatto di tutto per accogliere turisti, e almeno qualcosa per far vivere i lavoratori immigrati stagionali, nulla ha fatto per un'immigrazione che poteva trasformarsi in potenzialmente residente.
Ho già analizzato la situazione immobiliare elbana. Quella di un mercato dai costi altissimi (tra i più alti della Toscana, pur non avendo edifici storici o di pregio), sia in termini di vendita che d'affitto. Un mercato che privilegia molto più una fascia medio-alta di reddito e condanna le altre. Come quella dei lavoratori, sia stagionali che annuali, ma anche giovani elbani, anche di reddito medio.
Se poi il mercato dei lavoratori stagionali sta andando in crisi per i salari bassi, come abbiamo visto nel capitolo precedente, l'Elba si troverà sempre meno attrattiva per chi arriva a cercare impiego, sia stagionale che annuale, per costi della vita insostenibili. È questo il nostro concetto di inclusività sociale? Quello che privilegia ricchi possessori di ville, magari finti residenti, che vivono l'isola solo due mesi l'anno? Che sfrutta una casa non per una necessità di residenza ma per immetterla nel circuito degli affitti estivi, e spesso illegalmente? Di professionisti, commercianti, e operatori dell'estate, dai redditi alti, che a ottobre, dopo aver fatto cassa, fanno le valigie, e arrivederci (forse) alla prossima primavera?
Sì, è questo. Perché aver prostituito l'isola al cemento, regolare o illegale che fosse, ma solo per alimentare un mercato immobiliare il più redditizio e di alto livello di censo possibile, da una parte, e in esclusiva ottica di mera ricettività vacanziera, dall'altra, un domani potrebbe rivelarsi un problema abitativo per la classi di censo più basso. Con l'aggravante, lo abbiamo visto, di un ascensore sociale rotto. Con una crisi economica, che nessuno si augura, ma che nessuno può aprioristicamente escludere.
Un problema che già esiste in molte città del mondo, anche grosse mete turistiche, tanto da costringere la politica a correre ai ripari, come ben spiegato in questo articolo:
https://www.valigiablu.it/citta-turismo-affitti-brevi-crisi-casa/
Inoltre questo spacciato benessere turistico non ha ringiovanito la nostra società, e forse è andato a detrimento degli stessi giovani elbani. Condannati a un esclusivo futuro di stagionali del turismo, molti ragazzi di grandi prospettive non hanno che un'unica strada: il continente. Se pensiamo che la fuga dei cervelli sia colpa del sistema Italia, troviamo solo un alibi. In questo momento i talenti elbani sono quasi tutti fuori dall'isola, ma non tutti all'estero. Le ragioni sono le stesse: una cultura turismocentrica, un ascensore sociale elbano fermo.
E il presunto benessere turistico offre anche ombre inquietanti. Come abbiamo visto ieri, la risposta alla domanda: il turismo crea davvero ricchezza? è complessa. Lo è altrettanto quella: il turismo crea felicità? Il fattore psicologico e il tema del disagio sociale non vanno liquidati facendo spallucce. È vero che l'Elba non presenta situazioni sociali drammatiche, ma non è neanche un paradiso.
A inizio 2023 a Portoferraio, alla Porta a Terra, avviene un omicidio. Vittima e carnefice sono due senzatetto. Ma sono anche due lavoratori stagionali, arrivati sull'isola per guadagnare il pane in impieghi turistici. Al di là dell'epilogo tragico, non si può rimanere indifferenti al fatto che per loro l'Eldorado elbano si sia rivelato un'impostura: non solo non hanno visto alcun ascensore sociale, ma sono sprofondati nella miseria di quello che non abbiamo neanche più il coraggio di chiamare sottoproletariato, invischiati come siamo nel genocidio culturale.
Un turismo che non arricchisce anche chi si inserisce, e lo condanna a una tragedia psicologica. Che esiste: quando Sergio Rossi dice a Tiziana Noce (nel suo “Voci di vita elbana”, 2002) che “mentre la percentuale annua italiana di suicidi-popolazione è di 3/100.000, una statistica che tiene conto di trent'anni ci pone [all'Elba] a 8/100.000 con punte di 32/100.000 in qualche anno”, sta parlando degli anni del boom turistico, quelli di un benessere materiale mai raggiunto in precedenza dagli elbani, non quelli delle crisi sociali a cavallo tra Otto e Novecento. Quindi, anche la domanda: il turismo crea felicità? è nulla affatto retorica, e anzi mostra tutta la sua complessità.
Eppure queste problematiche non entrano nell'analisi degli operatori economici. Non mi stupisce quando Franco Cambi scrive che i suoi articoli hanno riscosso successo tra i cittadini e critiche dagli operatori economici. Cioè da coloro che hanno sempre brillato per soluzioni talvolta allucinanti. Nelle loro analisi non c'è niente di approfondito, ma solo frasi buttate là a caso, come a recitare un trito compitino: prima l'inconcludente mantra della destagionalizzazione, e ora quello dell'”aprirsi a nuovi mercati” e dell'aeroporto. E che quando sentono parlare di sovraffollamento, presi dall'orticaria, alzano il ditino e blaterano la solita difesa a casaccio: “È sempre stato così d'estate! Allora dovremmo tornare a zappare la terra?” E lasciano correre, legittimando che sia il turismo a regolare la politica, e non il contrario, come dovrebbe essere.
Il problema è che il disagio non lo paga la politica, ma la società.
Andrea Galassi