Signor Presidente Herzog,
leggo sulle fonti di stampa delle dichiarazione che le vengono attribuite, a commento del mandato di arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant: sembra che lei abbia parlato di “un giorno buio per la giustizia, un giorno buio per l'umanità”, di “oltraggiosa decisione” della Corte penale internazionale, affermando che essa "ha trasformato la giustizia universale in una barzelletta", perché si fa “beffe dei sacrifici di tutti quelli che si sono battuti per la giustizia, -dalla vittoria degli alleati sui nazisti ad oggi-, ignora la sofferenza dei 101 ostaggi israeliani tenuti in brutale prigionia da Hamas a Gaza, ignora l'uso cinico da parte di Hamas del proprio popolo come scudo umano”.
Non so se lei si sia espresso proprio così, ma questo si legge. Devo però dire che mi sorprenderebbe il riferimento un po’ anacronistico a tutti quelli che hanno avuto ruolo nella vittoria alleata sui nazisti -alla quale ha concorso, al tempo, in misura decisamente sostanziale l’“armata Rossa”, senza che questo debba impegnarci ad avere oggi particolare simpatia per l’esercito e il popolo russo nella guerra d’Ucraina. Mi è sembrato di percepire dietro le parole che sono state riportate come una incertezza sulla legittimità dei comportamenti del Governo di Israele nella drammatica vicenda che in Palestina e in Israele occupa la nostra preoccupazione. Soprattutto quando si colga l’invito a considerare la sofferenza degli ostaggi presi da Hamas il 7 ottobre e tuttora tenuti in “brutale prigionia”. Quella sofferenza è certamente reale e drammatica, ma il riferimento ad essa sposta il ragionamento su un piano diverso dalla battaglia di Gaza e degli altri fronti che si sono poi aperti: il piano dei diritti degli uomini, piano che a me è molto ben presente e che mi coinvolge assai -e che sembra essere alla base della decisione della Corte Penale Internazionale-: il piano dell’empatia, del rispetto dell’umanità di tutti, della vita, del dolore, dei diritti al sostentamento, a una dimora dignitosa, alla scuola, alle infrastrutture di cura e di protezione della salute. D tutti, appunto.
Perché la guerra è guerra, e il terrorismo è terrorismo. Ma non c’entrano nulla con la distruzione di un territorio e della società che vi abita -vi abitava-.
Quanto al “fatto fondamentale che Israele è stato barbaramente attaccato” -e su questo non c’è incertezza- e che “ha il dovere e il diritto di difendere il proprio popolo", anche senza risalire alle cause che hanno determinato la decisione di un gruppo terroristico di compiere un atto terroristico -che ci porterebbe a disamine lunghe e complesse-, si dovrebbe precisare che cosa si intende per “difesa”, quando si considera che la difesa del popolo di Israele avrebbe dovuto propriamente compiersi nell’impedire che avvenisse l’aggressione terroristica di Hamas, non nel continuare la sistematica distruzione di un territorio straniero -rispetto a Israele- e del suo popolo, con una difesa ritardata a riparazione della mancata naturale difesa preventiva, perché il governo Netanyahu è stato incapace di organizzarla. Nella nostra lingua questo comportamento si chiama vendetta -e ne abbiamo avuto tragica esperienza quando i Nazisti entravano nei villaggi e distruggevano tutto, uccidendo gli abitanti, bambini compresi- (e si tralascia ogni riferimento al rapporto fra i morti di Israele e quelli Palestinesi, curiosamente simile a quello assiduamente praticato dalle truppe naziste in ritirata, a partire da via Rasella e dalle Fosse Ardeatine).
Comprendo che il Presidente dello Stato di Israele sottolinei che il suo Stato è “una vibrante democrazia, che agisce nell'ambito del diritto umanitario ed è impegnato a provvedere alle necessità umanitarie della popolazione", anche se l’enfasi della rivendicazione appare meno appropriata nel momento che con tutta evidenza si riferisce “alle necessità umanitarie della popolazione” israeliana. Mi spiace ripetermi, ma è la stessa cosa che dice anche il presidente Putin a proposito della “sua” guerra.
Spero vivamente che non si voglia leggere nelle considerazioni che ho voluto rivolgerle alcuna vena di “antisemitismo”, perché sarebbe del tutto inappropriato: non sono interessato in alcun modo ad appartenenze razziali, che disconosco radicalmente; né a caratterizzazioni o culturali o religiose, che a mio modo di vedere appartengono alla sfera privata e non riguardano gli Stati e la politica che ne regola i rapporti. Personalmente riconosco il valore del Diritto internazionale, che ha fin qui permesso di regolare al meglio possibile i rapporti internazionali, e che è il fondamento dell’esistenza e del diritto all’esistenza dello Stato di Israele; e per questo rispetto la decisione della Corte Penale Internazionale. Sulle politiche del Governo dello Stato di Israele ho ovviamente un giudizio, che però non mi interessa qui discutere, e in ogni caso esse riguardano in primo luogo il popolo del suo Stato.
Si può anche discorrere su quelle che potrebbero essere le ragioni remote della guerra che dilania quei territori così vicini alla storia e alla cultura dell’Occidente -per quel che questo termine può significare- (come anche dell’altra grande guerra del nostro tempo), e di cui forse Israele e Palestina sono vere vittime. Ma il vittimismo strumentale è un segno di debolezza; e l’antisemitismo si combatte superando -e non evidenziando- il “semitismo”.
Luigi Totaro