Una giornata, questa dell'80°anniversario della Liberazione dal nazifascismo, che ha visto incrociarsi le iniziative del Comune (presenti tutti i Sindaci e i Vicepresidenti del Senato, Gian Marco Centinaio e del Consiglio Regionale della Toscana, Marco Landi, oltre alle Associazioni combattentistiche e le Forze dell'Ordine) e quelle del ANPI Isola d'Elba che, presente in piazza, ha poi anche ricordato con i fiori i partigiani elbani uccisi, Giordano Piacentini e Ermanno Bruni presso il cimitero di Portoferraio e Ilario Zambelli presso la lapide nei giardini sotto la Porta a Terra.
Nel pomeriggio invece, festa in Piazza della Repubblica, con l'alternanza di canzoni e letture di testi sulla guerra, la Pace e la Resistenza, con un flusso continuo di persone al tavolino dell'ANPI, con decine di nuove adesioni. Da rimarcare, durante la mattinata, l'intervento del giovane Sindaco del Consiglio Comunale dei Ragazzi, Franco Galli (3^ media) in cui sono risuonati con chiarezza i richiami all' antifascismo e alla Costituzione.
Molta netta (e costituzionale) la dichiarazione di antifascismo anche da parte dell'On Centinaio.
Di seguito l'intervento del Presidente dell'ANPI Isola d'Elba, Prof Marco Ambra
Quest’anno ricorre un anniversario importante, a causa di quella strana passione umana per le cifre tonde, l’ottantesimo della Liberazione dal nazi-fascismo. Ottanta anni, solo due decenni ci separano dal secolo. Se l’Italia nata dalla Resistenza, se la Repubblica sorta dal referendum popolare del 2 giugno e dalla Costituzione avessero costruito una memoria civile di quello che ottant’anni fa si concludeva, l’ultima parabola della dittatura fascista, la guerra di aggressione e quella civile, l’occupazione nazista, le deportazioni e le stragi, se questo paese avesse interiorizzato quella lezione storica, la celebrazione attuale sarebbe un mero rito civile. Un’alfabetizzazione per le giovani generazioni alle fondamenta storiche della democrazia.
Purtroppo, così non è. A ottant’anni dalla conclusione di quelle vicende tragiche e dolorose siamo qui a dover rimarcare il significato morale, civile e politico di questa data. I motivi vi sono noti: una parte di questo Paese ha costruito una storia falsa e ideologica di quelle vicende, ha trasformato in vittime le memorie dei carnefici, ha livellato la questione morale delle scelte di campo che nel 1943 separarono chi riscattò la dignità nazionale da chi invece scelse l’abiezione dell’obbedienza cieca a un progetto folle, quello di una fortezza Europa senza libertà, un laboratorio della morte fatto di camere a gas e leggi razziste.
Occorre, di fronte all’insipienza della storia, all’indifferenza istituzionale nei confronti di questo anniversario, ai raduni neofascisti, agli scempi di lapidi e targhe poste a memoria dei partigiani, alla banalizzazione del male con cui le bombe che cadono sulla gente di Gaza e di Kiev attraversano le nostre giornate, occorre ricordare che nel tragico autunno del 1943 non ci sarebbe stata Resistenza senza antifascismo. Furono gli antifascisti che da espatriati, confinati, clandestini avevano attraversato venti anni di regime totalitario a dare forma, organizzare, ispirare quelle formazioni di giovani disertori, transfughi, renitenti alla leva che non volevano più obbedire, non volevano consegnarsi a uno stato fantoccio, la Repubblica Sociale Italiana, e al suo manovratore tedesco. Non volevano più la guerra, per questo presero la via della montagna, della lotta clandestina, della guerriglia cittadina e scoprirono l’indefettibile virtù dell’antifascismo, la pluralità di visioni e idee politiche. È così che scavarono il solco della futura democrazia.
A ottant’anni di distanza bisogna così richiamarli per nome, uno per uno, una per una, quelle donne e quegli uomini che per riscattare la libertà di tutti diedero la spensieratezza della giovinezza, la comodità del nido familiare, la libertà individuale, e in molti casi la vita. Viviamo l’epoca della scomparsa dei testimoni e per questo bisogna conoscere e comprendere le storie di coloro i quali non ci sono più, coloro i quali scelsero allora, nel momento più buio del secolo, di guardare a un futuro di luce. E allora chiamiamoli a testimoniare che non li abbiamo dimenticati.
Ascoltiamo cosa ha da dirci la vita di Giordano Piacentini, nato a Marciana il 13 febbraio del 1926, ma residente con la famiglia a Portoferraio, in Val Carene, dove era un lavoratore agricolo. Dopo l’8 settembre si era unito a una banda partigiana e quando fu catturato in Piemonte, vicino al paese di Castiglione d’Asti, il 7 dicembre 1944, in un rastrellamento operato congiuntamente da milizie fasciste ed esercito tedesco, militava oramai da qualche tempo nella 9^ Divisione Garibaldi – 101^ Brigata. Aveva scelto di combattere contro i tedeschi e i fascisti, per la libertà e l’uguaglianza, due cose che nascita e dittatura gli avevano negato. Fu internato nel lager di Bolzano e da qui, l’8 gennaio del 1945, l’ultimo anno e gli ultimi mesi di guerra, fu deportato a Mauthausen dove morì pochi giorni dopo il 25 aprile.
Ricordiamo Ermanno Bruni, nato a Portoferraio il 9 luglio 1919, chiamato poco più che ventenne a combattere l’insensata guerra di aggressione alla Grecia voluta da Mussolini, sott’ufficiale di artiglieria della divisione Acqui e per questo di stanza a Cefalonia. Si rifiutò con i suoi commilitoni, dopo l’8 settembre, di consegnare le armi ai tedeschi, resistendo senza speranze fino al 21 settembre. Ermanno Bruni, tra i caduti un giorno prima della resa, si risparmiò l’orrore di vedere i suoi compagni di liberazione superstiti bombardati dalla stessa aviazione tedesca, sulle navi della deportazione verso i lager.
Commemoriamo Ilario Zambelli, nato a Rio nell’Elba nel 1909, in servizio come sottufficiale telegrafista presso il ministero della Marina, l'8 settembre fu tra i militari che parteciparono ai combattimenti contro i tedeschi in difesa della Capitale. Con l'occupazione entrò nelle file della resistenza romana, svolgendo compiti di informazione e di collegamento in una formazione partigiana legata al Fronte militare clandestino della Marina. Durante questa sua attività cadde nelle mani dei nazifascisti i quali, nonostante le feroci torture cui lo sottoposero, non riuscirono ad ottenere la minima informazione. Prelevato sanguinante dal carcere, fu trasportato alle Fosse Ardeatine e lì fucilato insieme ad altre 334 persone, in una delle rappresaglie più sanguinose e insensate del 1944.
Piero Calamandrei ha detto, in un famoso discorso del 1955, che il senso della Costituzione bisogna cercarlo tra i “caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta”. È di fronte alle vite spezzate di Giordano, di Ermanno, di Ilario, che bisogna capire il senso dell’articolo 11. Il ripudio della guerra non è viltà ma è il testamento di chi ha impegnato la propria vita perché di guerre di aggressione, di sterminio, contro i civili inermi, non se ne combattessero più. E questo vale per l’articolo 3, che disegna uno Stato che impiega i suoi mezzi per rimuovere ciò che impedisce, nella differenza, di essere liberi nello stesso modo. Pensate alle donne, spesso giovanissime, che si impegnarono nella guerra partigiana, a quella conquista autonoma di soggettività politica e sociale che la loro adesione alla Resistenza rappresentò e che diede come primo frutto la conquista del diritto di voto.
Lasciatemi, a questo punto, ricordare il pontefice scomparso pochi giorni fa. E, badate bene, non si tratta di inchinarsi al peso politico che la Chiesa cattolica ha ancora sulla nostra vita pubblica, sebbene qualche benpensante abbia cercato di strumentalizzare il lutto per inibire la celebrazione di questo anniversario. Papa Francesco è stato negli ultimi tre anni il miglior promotore dell’articolo 10, con la tutela dei diritti umani dei migranti e dell’articolo 11, con l’opposizione fino all’ultimo respiro al riarmo di un continente già in guerra, della tutela dell’ambiente ricordata tra i compiti attivi della Repubblica all’articolo 9, di quei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale menzionati dall’articolo 2.
È la possibilità di vivere in un mondo regolato da questi principii che oggi festeggiamo. La fragile, enorme, importanza di essere liberi e in pace. Non un dono caduto dal cielo, ma l’obiettivo della guerra partigiana, il senso della Resistenza antifascista. Con buona pace dei revisionisti della domenica, degli storici da bar e dei nostalgici di una dittatura che, fortuna loro, non hanno mai vissuto.
Ottanta anni fa quei giovani e quelle giovani che contribuirono all’insurrezione generale del 25 aprile sfilavano e cantavano per le strade, esprimevano la gioia della conquista della libertà e l’orgoglio della ritrovata dignità. Onoriamoli e ricordiamoli cantando e festeggiando anche noi.
Viva la Resistenza, viva la Repubblica democratica, viva la Costituzione antifascista!
Fotocronaca della giornata