38 milligrammi per metro cubo. Tanti sono gli idrocarburi nelle acque del Mediterraneo. Numeri che fanno del nostro mare il più contaminato al mondo dal petrolio e che rischiano di aggravarsi sotto la pressione quotidiana del 20% di tutto il traffico mondiale di prodotti petroliferi e dal transito di 2.000 traghetti, 1.500 cargo e 2.000 imbarcazioni commerciali, di cui 300 navi cisterna.
Sono questi i numeri ricordati oggi dalla Goletta Verde Straordinaria -l’edizione speciale della celebre campagna di Legambiente che seguirà l’ultimo viaggio della Costa Concordia con tappe quotidiane per raccontare criticità ed eccellenze dei luoghi interessati dall'operazione- nel suo primo giorno di navigazione al seguito del relitto che ha da poco lasciato l’Isola del Giglio. Prima tappa questa sera a Marciana Marina, sull’Isola d’Elba, dove, insieme a diversi esperti, si parlerà proprio del rischio di sversamento di idrocarburi a cui è sottoposto quotidianamente il Mar Mediterraneo. Un fenomeno drammatico come emerge anche dai dati di UNEP MAP, il programma delle Nazioni Unite per la tutela del Mediterraneo, ogni anno finiscono in questo bacino, e quindi in parte anche sulle coste, oltre 100 mila tonnellate di greggio. Per avere un termine di paragone, basti pensare che la quantità d’idrocarburi dispersa in mare a seguito dell'incidente della petroliera Haven, avvenuto in Liguria nel 1991, è stata di circa 140 mila tonnellate. Le cause di questo continuo disastro ambientale, al di là dei grandi incidenti, sono da ricercare in pratiche illegali sempre più diffuse: attività di routine, come lo scarico delle acque di zavorra, lo scarico dei residui del lavaggio delle cisterne, dei fanghi e delle acque di sentina, che vengono praticate illecitamente al largo delle coste. Pratiche molto diffuse come dimostrano anche gli interventi delle capitanerie di porto che da inizio 2014 hanno portato al sequestro di numerose motonavi di bandiera di diversi paesi del mondo.
“L’aumento dei reati negli ultimi due anni del 7,3% è frutto dell’attività di contrasto svolta dalle forze dell’ordine e dalle capitanerie di porto ma, allo stesso tempo, rappresenta un segnale preoccupante della recrudescenza delle attività illecite in un periodo di crisi economica –dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico nazionale di Legambiente-. Nonostante gli intensi controlli è necessaria una normativa internazionale più stringente sul traffico di petrolio in mare che argini la pratica criminale di scarico delle acque di sentina e di lavaggio delle cisterne. Altrettanto importante poi, sarebbe obbligare le petroliere a dotarsi di equipaggi professionalmente più preparati e imporre il divieto di navigazione alle navi che trasportano sostanze pericolose e inquinanti in condizioni meteo marine particolarmente avverse. Contro i pirati dei nostri mari è dunque importante non abbassare la guardia e seguire con decisione la strada della prevenzione dal rischio di sversamenti”.
Ma oltre ai pericoli legati al traffico marittimo e agli illeciti ambientali, il mare italiano è esposto anche al rischio derivante dalle attività di estrazione di petrolio. Nel mare italiano sono già attive 9 piattaforme e 68 pozzi petroliferi e nei prossimi anni il loro numero potrebbe ulteriormente crescere. Attualmente, infatti, le richieste per la ricerca o l’estrazione di petrolio avanzate dalle compagnie petrolifere riguardano un’area marina di circa 30 mila kmq e potrebbero portare alla realizzazione di almeno 70 impianti di estrazione che rischierebbero di trasformare il nostro mare in una distesa di piattaforme petrolifere, sottoponendo le coste al pericolo “marea nera”.
“Una corsa all’oro nero che non trova scusanti valide dal punto di vista strategico energetico e che rischia di compromettere per sempre il futuro delle popolazioni coinvolte da possibili incidenti che metterebbero in pericolo ambiente, turismo e pesca –sottolinea ancora Giorgio Zampetti-. Un rischio a cui gli enti locali si presentano impreparati. Se da un lato, infatti, il sistema d’intervento italiano in mare è efficace, sul fronte della bonifica delle coste in caso di spiaggiamento di petrolio, c’è ancora molto da fare. Solo un comune costiero su cinque ha predisposto un elenco delle zone sensibili da proteggere prioritariamente in caso di sversamento di idrocarburi e appena il 16% possiede piani locali antinquinamento. E’ sempre più necessario dunque che ogni comune costiero si organizzi in modo adeguato per intervenire e fronteggiare questo tipo di emergenze”.