La «tacca di fondo» è uno squalo. Fin qui tutti d’accordo. Ma non tutti sono d’accordo su quale specie di squalo sia. Il nome «tacca di fondo» è esclusivo dell’isola d’Elba, e la sua etimologia rimane ostica: forse dall’espressione «[at]tacca di fondo», riferendosi alle abitudini aggressive del pesce? O ancora dalla specificazione «di fondo», relativa alle abitudine bentoniche della creatura?
Il nome, in ogni caso, è antico. Lo si ritrova in un bell’articolo del «Corriere dell’Elba» che descrive l’attacco (25 aprile 1883) da parte di una «tacca di fondo» presso Portoferraio: «mentre i fratelli Maggiola in pieno mare, al di là dello Scoglietto, attendevano come di consueto alla pesca coi palàmiti, sopra una barca di proprietà del sig. Angiolo Razzetto, ad un tratto si sentirono sbalestrati impetuosamente nelle onde. Appena riavutisi dallo sbalordimento, ricercarono con lo sguardo la loro barca: la videro capovolta e l’avvicinarono nuotando: raggiuntala, salirono sulla chiglia: in quel frattempo scorsero sott’acqua un immane mostro marino, che andava dietro gli attrezzi da pesca ed altri oggetti, che nel rovesciarsi della barca erano calati a fondo. (…) Che sarebbe avvenuto mai, se quella grossissima ‘tacca di fondo’, anziché occuparsi degli oggetti di bordo e degli arnesi da pesca, avesse dato la caccia ai pescatori? (…) Comunque sia, i fratelli Maggiola l’hanno scampata bella, e possono far voto al loro santo protettore e di consacrargli ogni anno un buon cacciucco in memoria del superato pericolo.» La descrizione non lascia dubbi: la «tacca di fondo» è lo «squalo bianco», il temibile «Carcharodon carcharias» reso celebre dalla cinematografia statunitense, una specie che in antico, nel Mediterraneo, si nutriva anche della foca monaca. E così ancora, nel 1922, scrive il naturalista Giacomo Damiani: «i bestini (…) abbondano all’Elba e la loro pesca è specialmente praticata dalle audaci ‘bestinare’ di pescatori livornesi. Le specie più frequenti sono: il temuto ‘Carcharodon rondeleti’ (‘tacca di fondo’) che ho veduto anche in individui di oltre cinque metri di lunghezza e di circa una tonnellata di peso (…).» Ricordiamo che «Carcharodon rondeleti» era il vecchio nome scientifico dello «squalo bianco», poi divenuto «Carcharodon carcharias». Ma arriviamo al 1938, ed ecco che l’acuto Sandro Foresi scrive a proposito della «tacca di fondo»: «È velocissimo. Gli ittiologi gli hanno dato il nome di ‘Carcharodon rondeleti’ o ‘Lamia’ (…). È un pesce frequente nei nostri mari, specialmente nella stagione del corso dei tonni. (…) Il 28 agosto 1938 nelle tonnarelle dei fratelli Ridi alla Penisola, nei pressi dell’Enfola, fu catturata, ammagliata, una enorme ‘tacca di fondo’ del peso di oltre una tonnellata e mezzo. (…) Ma memorabile è la ‘tacca di fondo’ del peso di 30 quintali pescata nel maggio 1880 nelle acque di Capo Bianco che fu spedita al Museo di Firenze al quale ne fece dono il cav. Giovan Battista Toscanelli.» Ma adesso arrivano i dubbi: il glottologo Manlio Cortelazzo, nel 1965, scrive in un approfondito saggio sul lessico marinaresco dell’Elba che la «tacca di fondo» è invece l’«Echinorhinus brucus» (il «ronco»), mentre il «Carcharodon carcharias» (lo «squalo bianco») è chiamato all’Elba «pesce cane». L’«Echinorhinus brucus», però, è un torpido squalotto che misura non più di 5 metri di lunghezza. Secondo altri, invece, la «tacca di fondo» sarebbe il grosso ma innocuo «Cetorhinus maximus» (lo «squalo elefante»). E allora? In ultima analisi, l’elbana «tacca di fondo» potrebbe corrispondere più probabilmente all’«Hexanchus griseus» (che può raggiungere i 5 metri), un sonnacchioso ma all’occorrenza aggressivo squalo che appunto vive su fondali profondi («di fondo»). Cosa che sembrerebbe confermata anche dal proverbio elbano «Dormire come una tacca di fondo», ricordato da Filippo Carli per l’area di Porto Azzurro. Lo stesso giovane elbano così prosegue: «Con ‘tacca di fondo’ vengono chiamati, appunto, gli squali pescabili in alto fondale con i palamiti profondi o con la tecnica del bolentino nell’abisso. Questi squali sono grandi ma solitamente apatici e difficilissimi da incontrare in meno di 60 metri di fondo. La specie in questione è lo ‘squalo capopiatto’ (Hexanchus griseus), chiamato anche ‘pesce vacca’ per il suo portamento bovino, non proprio attivissimo. (…) Ma si sa…un tempo non si facevano grosse distinzioni e se un affare sembrava uno squalo e ti capitava sulla lenza lo rassomigliavi a quello che conoscevi meglio!»