Ancora una volta il bollettino del maltempo ha i nomi delle località che Legambiente da anni indica ad come ad alto rischio: Marina di Campo, Procchio e soprattutto la piana di San Giovanni e la caotica e cementificata periferia di Portoferraio che arriva fino al Porto e quasi a ridosso del centro storico. Prima c’erano stati Rio nell’Elba, Rio Marina, di nuovo Campo nell’Elba, per non scordarsi Lacona…
A Portoferraio basterebbe leggere quanto scritto da Legambiente nelle sue osservazioni agli strumenti urbanistici per ritrovarci gli stessi nomi dei luoghi oggi finiti nuovamente sott’acqua, le stesse località dove si vuole ancora innalzare “grattacieli”, dove si sta costruendo e si è già costruito nonostante sia chiaro da anni che si tratta di un territorio fragile, in crisi e dove il reticolo idraulico e fognario non è più da tempo in grado di reggere la “nuova normalità climatica”, che ha trasformato episodi che una volta erano eccezionali in pericoli quotidiani ogni volta che il cielo si rannuvola.
Una nuova “normalità” nella quale non basterà la manutenzione e la cura di un territorio già fin troppo sfruttato, ma nella quale bisognerà mettere mano all’unica vera grande opera pubblica tanto necessaria quanto ignorata e poco finanziata: il recupero e la messa in sicurezza del territorio.
E’ quello che si chiama “adattamento” e “resilienza” ai cambiamenti climatici ed è esattamente quello che tutti i governi del Mondo stanno discutendo proprio in questi giorni alla Conferenza delle parti della United Nations Framework Convention on Climate Change (Cop20 Unfccc) a Lima, la capitale del Perù, mentre hanno sul tavolo l’ultimo rapporto della Organizzazione meteorologica mondiale che dice che il 2014 sarà l’anno più caldo mai registrato e quello con più catastrofi naturali, portando come esempio della nuova pericolosa “normalità” anche l’Italia e la Toscana.
Eppure, se non ci fossero state le osservazioni di Legambiente si sarebbe costruito ancora di più, comprese infrastrutture pubbliche o semi-pubbliche, in aree Pime (Pericolosità idraulica molto elevata) come San Giovanni e basta leggere i piani urbanistici e le proposte portuali per vedere quanto le aree Pime vengano “scordate” da amministratori e tecnici e come chi oggi si scaglia contro il Piano Paesaggistico della Regione Toscana, che vuole definire meglio i vincoli per impedire che la “nuova normalità” e il cemento ci travolgano, abbia sempre fatto finta di non accorgersene.
E’ altamente simbolico che il nubifragio abbia colpito Portoferraio e l’Isola alla vigilia di due convegni - uno dei quali, quello con le scuole, saltato per “allagamenti” (sic!) - sul Piano Paesaggistico co-organizzati da un Comune che contro quel Piano ha fatto ricorso al Tar, facendosi portavoce delle categorie e delle associazioni che credono che il futuro e lo sviluppo di questa nostra isola ferita possano ancora essere fatti di cemento, mentre la “nuova normalità” vista all’opera in questo autunno piovoso ci dice e ci impone di prenderci cura del territorio, di rinunciare alle cementificazioni previste, di mettere in sicurezza non per costruire ancora e di più accanto ai fossi, ma per rinaturalizzare, ridare ai corsi d’acqua lo spazio e lo sfogo che è stato loro tolto, restituire sicurezza ai cittadini che ormai tremano ad ogni scroscio d’acqua e ad ogni fulmine che annuncia un tuono.
Non basta il duro e splendido lavoro di Protezione Civile e Vigili del Fuoco, che ringraziamo ancora una volta, la classe dirigente elbana deve smetterla di rintanarsi nel suo provincialismo, deve cominciare a guardare e capire cosa sta succedendo a Lima, all’accordo planetario che sarà firmato fra un anno alla Cop21 Unfccc di Parigi, magari leggendosi quel che dicono i leader dei Piccoli Stati Insulari, visto che le isole di tutto il Mondo sono i territori più esposti alla catastrofe climatica che abbiamo innescato con i combustibili fossili e sosteniamo mangiandoci territorio. Altrimenti, se continueremo con il suicida andazzo del “Business As Usual”, con i Piani che ignorano o “aggirano” le aree Pime e i rischi idrogeologici, se continueremo a tombare i fossi ed a guarnirli fino alle sponde di inutile cemento - a volte abusivo ma comunque inamovibile - la “nuova normalità climatica” continuerà non solo a fare danni, ma a farne sempre di più in un territorio che ad ogni pioggia ormai non più “eccezionale” sta mostrando di aver raggiunto i limiti del carico antropico ed urbanistico.