Ormai l’anno 2014 si è concluso e malauguratamente, sul tema dei reati ambientali, ancora le acque stentano a muoversi.
E’ passato un anno (Dicembre 2013) da quando la Camera dei deputati ha approvato il famoso disegno di legge che mira a inserire, all’interno del Codice Penale, la figura del reato ambientale, ma al Senato a quanto pare se la stanno prendendo con comodo.
L’importanza di arrivare alla fine di questo travagliato iter legislativo non è di poco conto: inserire nel nostro codice delle apposite fattispecie di reato in materia ambientale significa, almeno a livello concettuale, attribuire al bene “ambiente” la massima importanza, come se si parlasse della libertà personale o della vita.
Questa riforma istituzionale potrebbe essere il primo passo per una graduale presa di coscienza collettiva, per poter innalzare il grado di rispetto dell’ambiente, sia a livello individuale che sotto la forma dell’impresa.
Al di la del vuoto legislativo da colmare sarebbe necessario sensibilizzare il più possibile la collettività su certe materie.
Il problema è che ancora l’offesa al “bene giuridico ambiente” non viene pienamente percepita come tale, chi inquina, alla fine, è considerato un delinquente di serie b; e questo è stato reso possibile anche dallo scarso impianto normativo a cui i magistrati nel corso degli anni si sono dovuti appellare.
C’è però da dire una cosa: negli ultimi tempi il tema del disastro ambientale è di nuovo tornato in auge, almeno fra i media.
Nel Novembre 2014 la Cassazione si è pronunciata sul famoso caso Eternit, peraltro dichiarando prescritti i reati contestati e quindi prosciogliendo gli imputati.
Una sentenza che ha fatto crollare gli sforzi ermeneutici dei giuristi degli ultimi anni. Si è sempre cercato di punire il disastro ambientale interpretando estensivamente l’art. 434 del Codice Penale, che il legislatore aveva previsto pensando al crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro a patto, però, che ne derivasse pericolo per la pubblica incolumità.
Il gioco alla fine si è rotto. Quella norma, sussidiaria e non del tutto adeguata, si è rivelata alla fine parzialmente incapace di attribuire responsabilità penali, proprio perché modellata su fattispecie distanti dalle ipotesi di danno ambientale.
Il procuratore generale della Corte di Cassazione, Francesco Iacoviello, concludendo la requisitoria nel processo Eternit, ha espresso un’amara, per quanto dura verità: “il giudice è sottoposto solo alla legge, e tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto”.
Nel senso di non poter piegare la legge ad esigenze di giustizia sociale: se manca un reato che punisce determinate condotte, non se ne può usare un altro, e questo è quello che alla fine è successo con l’art. 434.
In queste ultime parole si ravvisa la necessità e l’importanza di creare delle norme ad hoc in materia di reati ambientali, in modo tale da poter fornire strumenti adeguati a chi di dovere.
La risonanza mediatica prodotta dal caso Eternit ha, di riflesso, riportato in auge la questione della situazione di stallo al Senato.
Molti giornalisti e autorità del mondo politico si sono pronunciati nel merito, auspicando una rapida definizione in Senato della faccenda.
Anche l’ex Ministro dell’ambiente, Andrea Orlando (ora alla Giustizia), intervistato pochi giorni fa sull’argomento, ha ritenuto inaccettabile la situazione creatasi, impegnandosi a sollecitare il governo nei prossimi giorni[1].
Speriamo dunque che la presa di coscienza da parte dell’establishment mediatico e di alcune autorità politiche possa portare velocemente all’approvazione definitiva; con l’auspicio però che la fretta data dai media non rischi di portare alla promulgazione di una legge incompleta o lacunosa.
Abbiamo aspettato tanti anni per la creazione degli “eco-reati”, speriamo che i nostri deputati non gettino via una tale occasione.
Niccolò Censi – Gruppo di San Rossore