DELLA MINIERA DI RIO
“La celebre miniera di Rio è in quel monticello ch’é situato dalla parte di tramontana della Marina di Rio. Egli è rotondeggiante, e non molto alto. La sua falda orientale, che in basso alquanto pianeggia, è limitata dal mare: a mezzogiorno dal paese della Marina di Rio, e dal Pian dei Giardini, e una vallatela non molto profonda lo separa a ponente dal Monte Gabbroso, sul quale sta Rio Alto, e da quelli calcarei di S.Caterina; finalmente suo confine a settentrione si è l’alto e boscoso Monte Giove, separatone per un assai scosceso burrone. Due son le principali rocce pietrose costituenti gli strati del monte della miniera, strati che hanno una generale inclinazione loro comune con quella di tutti i monti del rimante dell’isola. Gli strati inferiori posti dalla parte del mare, appartengono alla formazione del Verrucano, e si compongono dell’arenarie quarzoso-talcose, e degli Schisti siliceo-magnesiaci verdastri, o paonazzognoli. […] Gli strati superiori, i quali ricuoprono la miniera, e dirigonsi verso S.Caterina, son di Calcare compatto, in alcuni luoghi alterati, e convertito in Calcare cavernoso, ripieno di belle piriti tissulari. Fra questi due terreni adunque, cioè tra il Calcare, e quello del Verrucano, è frapposta la gran massa di ferro costituente la miniera di Rio. […] E’ antichissima l’escavazione del ferro nell’Isola dell’Elba, come si rileva da Aristotele, De mirabilibus ausultationibus, da Virgilio, Aeneid. Lib. 10, e da Stradone, Res Geographica. Lib.5: e quantunque non una ma molte sien le miniere di un tal metallo in quest’isola contenute, e quantunque nessuno ne abbia scritto con tali dettagli da far conoscere il preciso luogo ove le escavazioni si facevano, pure siccome non vedonsi indizj di grandi ed antichi lavori, se non nel monte di Rio, io credo che la raccolta del ferro debba essersi fatta in questo sito, fin dai tempi più remoti. […] Poco più in alto del Pian della Rotonda, dal lato N.O. v’è la Spianata della Grotta Romana, piano di non grande estensione, sul quale trovasi una grotticella che internasi in una porzione del poggio per la massima parte d’Ematite scura, e che dall’esservi stati ritrovati alcuni strumenti antichi, fu creduta rimontare all’epoca dell’impero de’ Romani, e perciò fu chiamata la Grotta Romana. Presso di questa è stata costruita la nuova fucina per i fabbri, ove si riadattano gl’istrumenti dei cavatori.”
Questo e tanto altro scriveva il Professor Paolo Savi nel suo “Sulla miniera di ferro dell’Isola dell’Elba” nel 1836, una delle più importanti e pionieristiche opere scientifiche, in senso moderno, che ci racconta dei giacimenti “a ferro” dell’Elba orientale. Un’opera, pur nella sua valenza tecnica scritta con garbo, con alcuni passaggi che sfiorano la poesia, tanto pare l’amore dedicato da uno scienziato a quel lembo di terra apprezzato e “coltivato” - accezione d’uso corrente per cave e miniere - ma qui come fosse un orto, un vigneto coltivato da “Picconieri o Minatori che fan diroccare l’erta parete del monte, gli Zappatori che scelgono i pezzi buoni del minerale, ed i Carrettaj che caricavano le cattivanze […] e con i loro piccoli carri, sorretti da due altissime rote, vanno percorrendo stradelle in declive, a scaricarle fuori del margine del ripiano, ov’è la Gettata.” Ci sono poi i Rompitori addetti a frantumare i pezzi troppo grossi per essere caricati e trasportati. C’è il Caporale della miniera, o Capo posto che dirige il lavoro, che è stato precedentemente stabilito, e determina il luogo, e numero di mine da farsi nella giornata. Una volta estratto il minerale arrivano i Somaraj, ciascuno dei quali accompagnato da due asinelli. Sui poveri animali, in ragione della loro robustezza, e forse anche dell’età, veniva caricata la quantità di Vena che i Somarai ritenevano adeguata, e questa attraverso strade, stradine, e sentieri giungeva nello Scottiere sulla piazza della marina dove veniva depositata fino alla spedizione.
Il Savi racconta anche, e in questo il senso della coltivazione tra orto e miniera, come “dietro le Case della marina, quanto sul fianco sassoso detto i Fondi, e su questo di Vigneria, sonovi dei bei frutteti, e vigneti, de’ campi di legumi, e cereali. Da tutti i lati, ed in tutti i punti di quel terreno argilloso ferrigno, scappan fuora masse di miniera di ferro ematitico, ossidulato, oligisti ec.: e siccome lavorando i campi, e piantando le viti, è necessario remuovere quel che non è terra, i coltivatori fanno con le pietre, ed il minerale che incontrano, dei ponticelli, e dei muretti: ma in tal lavoro han sempre attenzione di porre da parte tutto il ferro oligisto.”
I contadini, avendo trovato questi pezzi di minerale nelle vigne, usavano chiamarli Vena di Vigna. Un dualismo solo apparente, tra due attività che qui divennero conciliabili e produttive, fonte di vita della gente.
Il Savi ci ha lasciato anche una bella pagina di ricordi nei modi in cui i minatori definivano il minerale in funzione dell’aspetto macroscopico e col quale lo classificavano. Egli la definisce “Nomenclatura riese de’ prodotti della miniera relativi all’escavazione del ferro”.
Nomenclatura riese! È già questa una identità.
Ne elenchiamo una sintesi, affinché memoria continui.
- Vena Cieca Ferro ossidato scuro compatto.
- Vena Luccica Ferro oligisto micaceo e laminare.
- Sanguinaccio Ferro ossidato rosso-ocraceo.
- Ferrino Ghiaia di ferro oligisto rigettato dal mare.
- Puletta Ferro oligisto micaceo rigettato dal mare.
- Vena di Vigna Ferro oligisto erratico (quello raccolto nei campi)
- Vena Marmigna Ferro oligisto con Quarzo (che era considerato non buono a lavorarsi)
- Vena Tufina Ferro ossidato scuto celluloso (idem non buono)
- Muschio o Cattivanza Ogni minerale da loro non ritenuto buono per le ferriere.
In un interessante passaggio, Savi getta lo sguardo molto lontano, nella pluri-millenaria storia delle miniere di Rio.
“Non ebbe torto Virgilio chiamando inesauribile il ferro dell’Elba […] è abbondante da non potersi predire in qual epoca sarà terminata (una delle quattro grandi miniere), benché si escavi fino dai tempi di Alessandro Magno, ma di minerale sono anche ingombra le terre dei campi e lo stesso mare ne rigetta di continuo…” Queste ultime (di Puletta e di Ferrino) sono le sabbie minerali che costituiscono alcune tra le più belle e tipiche spiagge della costa orientale, uniche nella loro peculiarità.
Il prosieguo, dopo circa duecento anni dal libro del Prof. Savi, potrebbe essere titolato:
“La Miniera di Rio, un patrimonio ambientale e storico di proprietà dell’Umanità”.
Purtroppo Virgilio non aveva ragione nel definire inesauribile il ferro elbano, né il Savi ad ammetterlo. Le risorse minerarie sono tutt’altro che inesauribili, e non sono rinnovabili. Né sono rinnovabili gli ambienti che le ospitano. Ragione per cui è indispensabile tenere sempre ben presente il concetto di saggia coltivazione di ciò che è rimasto. Abbandonato definitivamente lo sfruttamento industriale, non resta che rivolgersi ad una estrazione mirata e professionalmente guidata da referenti scientifici di riconosciuta competenza.
La sfida è, oggi più di ieri, estendere la consapevolezza a tutti (enti e cittadini), che l’ambiente e la cultura non sono solo un capitale da sfruttare, ma un capitale che la Natura ci ha offerto affinché in esso si investa saggiamente per un benessere non effimero ed immediato, ma estendibile anche alle generazioni future. L'Elba ha avuto il privilegio che la Geologia la scegliesse per depositarvi i giacimenti che hanno dato sostentamento a generazioni su generazioni di minatori e delle loro famiglie, e campioni di minerali esposti nei più importanti musei del mondo.
Al Parco Minerario è stato affidato un compito importantissimo che forse non tutti hanno compreso: quello di gestire le aree ex minerarie alla stessa stregua e con la stessa vocazione di chi gestisce un museo; con la sola differenza che questo è un enorme museo a cielo aperto, un luogo dove sono nate le tradizioni delle genti che lì hanno abitato e abitano, hanno forgiato e coltivato la loro identità. Forse non tutti sanno che le miniere dell’Elba, e la Miniera di Rio, hanno moltissimo contribuito alla nascita e allo sviluppo delle Scienze Mineralogiche, e perfino di molte delle conoscenze di cui oggi disponiamo sulla natura del nostro Pianeta.
Ben altro che una realtà locale e localistica!
Ben altro che possa essere valutato, quotato, “azionato”, come una qualsiasi Società commerciale o economica, ben altro che una azienda produttiva di beni di consumo. La Società Parco Minerario dell’Isola d’Elba ha un compito di levatura impensabilmente maggiore: si è detto che è un museo, si è detto che è l’identità di un popolo, il laboratorio dove decine di illustri scienziati hanno scoperto, catalogato e divulgato alla comunità scientifica molti dei segreti della Natura; oggi il Parco Minerario deve conservare questo luogo, trasmettere a bambini, studenti di ogni livello e gente comune proveniente da ogni dove – volano di crescita del territorio in modo induttivo e non per sfruttamento diretto di sé stesso – lo stupore di tutto ciò che è stato e che ancora può essere quando si estrae un cristallo di Pirite, Ematite, Ilvaite, Prasio. L’insegnamento non solo scientifico ma anche umano che ne deriva ai giovani quando siano messi a conoscenza diretta delle generazioni che li hanno preceduti, degli stenti patiti dai padri per crescere i figli, trasmettere loro ciò che la Terra offre, il senso del reale e non del virtuale sempre più in crescita.
E deve possederne le competenze per farlo.
Qualcuno ha mai pensato di raccontare alle scolaresche che proprio dallo studio dei cristalli elbani, Stenone formulò le prime osservazioni sui meccanismi di crescita di questi “straordinari corpi geometrici naturali”? e da questi studi gettò le basi per la formulazione successiva della prima legge della Cristallografia: la legge sulla costanza dell’angolo diedro fra le facce dei cristalli.
Le aree ex minerarie e l’Elba intera mantengono, ed è auspicabile ne sia incentivato, il loro ruolo di laboratorio aperto a Università nazionali e internazionali.
Una ventina d’anni fa il Prof. Tanelli, decano della Università degli Studi di Firenze, profondo conoscitore della giacimentologia e mineralogia non solo elbana, nonché primo Presidente del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, così scrisse: “l’Elba continua ad essere un prezioso laboratorio scientifico, nel quale vengono sviluppate ricerche d’avanguardia su alcuni dei più attuali temi delle scienze geomineralogiche: dalla definizione della minerogenesi metamorfica ed esogena, alla cristallochimica dei silicati, a varie problematiche geodinamiche, petrologiche e geochimiche, fino alle ricerche legate ai fenomeni di inquinamento ambientale, di recupero e valorizzazione delle aree minerarie, di didattica ed educazione ecologista.
La Provincia di Livorno ha in mano la scelta di fare che tutto ciò accada, continui ad accadere e cresca, che il Parco Minerario dell’Isola d’Elba entri nei circuiti nazionali e internazionali della rete museale, oppure si trasformi un una mera operazione commerciale localistica.
Le miniere “…represent an unique example of interaction between man and natural processes in an attractive and fascinating scenery” (…rappresentano un esempio unico di interazione tra l’uomo e i processi naturali in un’attraente e affascinante scenario)
Chi firma l’affermazione non è una qualsiasi ragione societaria commerciale, bensì l’UNESCO, World Heritage List of Geological Sites.
Elbareport