Il recente incontro in San Rossore sul rilancio dei parchi ha riproposto anche il tema del paesaggio di cui peraltro la Toscana sta discutendo animatamente anche sul piano politico e normativo.
Anche per questo mi è sembrato giusto e opportuno nel momento stesso in cui abbiamo chiesto un incontro con il ministro Galletti per discutere anche di questo problema cercare di dare un mio contributo.
Sul piano internazionale infatti oggi tra i nuovi paradigmi della conservazione della natura il ruolo ecologico e simbolico richiede l’integrazione coerente nelle politiche del territorio, una ‘territorializzazione’ che incrocia inevitabilmente le politiche del paesaggio PONTE tra natura e cultura.
In Italia a differenza di altri paesi europei il paesaggio aveva trovato già nella Costituzione una sua precisa collocazione a differenza della conservazione della natura che vi sarebbe approdata nel 1991 con la legge quadro che appunto richiamava riguardo le finalità dei parchi l’art 9 sul paesaggio unitamente al 32 sulla salute.
Già prima però dopo la istituzione tardiva delle Regioni le quali –non tutte- avevano istituito avvalendosi di competenze in ambito pianificatorio, agricolo e di tutela ambientale i primi parchi regionali, le istituzioni regionali e locali entrano per così dire in contatto con le Sopraintendenze e quindi con la gestione del paesaggio competenza riservata esclusivamente allo stato. Si scoprirà così che il paesaggio secondo una consolidata tradizione è concepito come un ambito in cui prevale una concezione estetica e ‘puntuale’ che privilegia i monumenti, gli edifici storici. Se le istituzioni regionali e locali entrano così in contatto per la prima volta con un ambito culturale e storico finora loro interdetto, anche le strutture decentrate dello stato devono misurarsi con un nuovo interlocutore chiamato peraltro ad operare con politiche di pianificazione e programmazione del territorio.
La legge 394 nel 91 sui parchi sanzionerà e riconoscerà quel ruolo intrapreso ‘autonomamente’ dalle regioni e dagli enti locali con i nuovi parchi regionali tanto da far dire al Presidente della Repubblica Scalfaro nel messaggio alla prima Conferenza nazionale dei parchi che le regioni avevano svolto sotto questo profilo un importante ruolo di ‘supplenza costituzionale’ nei confronti dello stato che aveva tardato a lungo ad assumersi le sue dirette responsabilità.
Fu avviato allora quel ‘ponte’ di cui parla il documento del Politecnico di Torino tra conservazione della natura e gestione del paesaggio. Sono molte le esperienze particolarmente significative di quella stagione –penso al piano del parco di San Rossore ma anche a molti altri dal Ticino Lombardo ai parchi piemontesi- che in più d’un caso a conferma che si era imboccata una strada del tutto nuova anche gli ambientalisti storsero talvolta il naso considerando, ad esempio, il piano Cervellati per San Rossore troppo ‘generoso’ verso il paesaggio e la storia del territorio che avrebbe ‘penalizzato’ appunto la natura.
Questa concezione del paesaggio che si raccordava per la prima volta con il territorio nella sua interezza e non per ragioni ‘estetiche’ sarebbe stata poi chiaramente riconosciuta e fatta propria dalla Convenzione europea del paesaggio, passando peraltro per una esperienza comunitaria dove per la prima volta le vicende nazionali incrociano nuove competenze e norme sovranazionali che avrebbe però in questa fase registrato anche battute d’arresto e involuzioni con le quali dobbiamo fare in conti ancora oggi se vogliamo che il ponte funzioni anche per noi e da noi.
Un primo serio colpo a questa idea di unitarietà tra natura e paesaggio è venuto dalla decisione presa con il Nuovo Codice dei beni culturali che ha ‘sottratto’ ai piani dei parchi proprio il paesaggio in coincidenza della firma anche da parte del nostro paese della Convenzione europea.
Norma decisa sulla base di una legge delega senza alcun coinvolgimento istituzionale dei soggetti interessati e per di più in una fase in cui proprio la pianificazione segnava già il passo anche tra i parchi –dei 24 parchi nazionali solo 6 credo hanno oggi il piano approvato- e che sorprendentemente non ha registrato reazioni e risposte da parte del parlamento e delle istituzioni regionali e locali.
Difficile dire quanto abbia pesato in questa preoccupante accondiscendenza e assuefazione l’argomento usato strumentalmente e cioè che sul paesaggio la competenza dello stato è esclusiva. Questa competenza esclusiva lo era già quando fu approvata anche la legge quadro a cui la Corte Costituzionale non mosse obiezioni di sorta alla inclusione del paesaggio nei piani dei parchi. Era evidente infatti che non si era trattato di un trasferimento di competenze ossia di ‘sottrazione’ di competenze allo stato ma semplicemente di una esigenza quanto mai evidente di integrare aspetti e ‘discipline’ non più recintabili in ambito accademico, fino a quel momento gestiti separatamente con effetti che sempre meno si conciliavano con quelle esigenze che la Convenzione europea avrebbe poi chiaramente ed esplicitamente riconosciuto.
Su questa decisione sbagliata ha pesato sicuramente anche un altro aspetto che non a caso ha accompagnato criticamente l’approvazione da parte del nostro paese della Convenzione europea, alla quale da più parti si attribuisce una concezione del paesaggio discutibile se non pericolosa in quanto riconduce all’intero territorio e di conseguenza alla valutazione anche delle comunità locali chiamate a dire la loro su decisioni finora riservate agli uffici dello stato.
Fatto sta che si è tornati dopo tante peripezie a dividere e separare quello era stato faticosamente raccordato e unito e proprio nel momento in cui tutte le politiche ambientali segnavano il passo sovente disastrosamente vuoi per il paesaggio come per il suolo e la natura. Il richiamo internazionale sui nuovi paradigmi cade quindi quanto mai opportuno e per quanto riguarda il nostro paese urge che esso torni a svolgere un ruolo dopo una già troppo lunga stagione di colpevole latitanza.
Qui il panorama europeo può aiutarci a capire meglio i rischi che sta correndo il nostro paese per quanto riguarda la gestione dei parchi e delle aree protette oggi più circoscritte a quelle di emanazione nazionale, regionale o locale. Oggi infatti i nostri parchi nazionali, regionali, provinciali come le nostre riserve ospitano – Vedi Rete Natura 2000- siti e zone di emanazione comunitaria.
Che da noi ciò abbia immediatamente provocato inconvenienti e inadempienze lo confermano le fin troppe ‘multe’ inflitte al nostro paese. A rendere questa ‘convivenza’ problematica e confusa è anche il venir meno negli anni di quella politica nazionale che in base alla nostra legge quadro e poi alla legge Bassanini avrebbe dovuto definire una seria classificazione e integrazione sistemica delle nostre aree protette. Questo impegno pur previsto e prescritto è rimasto come sappiamo assolutamente ignorato tanto che molte delle nostre aree protette specialmente marine sono rimaste ‘clandestine’ e non integrate con quelle terrestri nonostante quanto prevede la legge e le molte norme comunitarie.
Quale ‘ponte’ può stabilirsi tra paesaggi e natura in parchi nazionali come quello dell’Arcipelago Toscano se l’area marina ancora non è stata definita?
Non possiamo inoltre dimenticare che neppure nella occasione del ventennale della legge dopo che sui parchi erano circolate non soltanto posizioni strampalate ma si era proceduto anche a interventi che hanno fortemente penalizzato i parchi nazionali e non di meno quelli regionali proprio su questo aspetto cruciale si sia osservato il più sconcertante silenzio. Al punto di individuare nella legge quadro un freno che andava rimosso ma senza neppure ricordare che una delle norme più importanti appunto quella sul piano era stata azzoppata.
Se vogliamo ripartire con il piede giusto bisogna farlo perciò su scala europea innanzitutto perché qui vigono già norme e programmi in cui si gioca anche la partita del ponte. Una prima questione attiene innegabilmente come ci ricorda una recente sentenza che conferma che per le aree protette SIC e ZPS anche se dislocate all’interno di un parco nazionale e regionale vigono le regole comunitarie e non quelle del parco che le ospita.
Non ci vuole molto a capire la contraddittorietà di questo doppio regime quando le finalità di tutela della biodiversità sono le stesse. Questa contraddittorietà riguarda tutti i parchi ma specialmente le aree protette marine dove i problemi di integrazione appaiono –vedi il santuario dei cetacei- maggiormente irrisolti. Ma la musica non cambia molto se ci spostiamo sulle Alpi o guardiamo ad APE (Appennino Parco d’Europa).
Qui si apre un altro capitolo e cioè quello di come noi partecipiamo alle scelte comunitarie e come ce ne avvaliamo anche sotto il profilo finanziario. E’ noto –come ho già ricordato-che noi siamo nelle posizioni di testa per quanto riguarda le sanzioni e le multe che riusciamo a collezionare per le nostre inadempienze; vedi le autorità di bacino e con loro i parchi fluviali ancora non a posto con le disposizioni comunitarie e la istituzione dei Distretti.
I dati anche recenti forniti dall’ ex ministro per la coesione Fabrizio Barca testimoniano che a fatica riusciamo specie al sud a presentare progetti validi per attingere i finanziati dalla comunità a cui peraltro dobbiamo compartecipare.
Nel mese di Luglio del 2014 la Commissione europea ha approvato finanziamenti il programma LIFE+ il fondo per l’ambiente della Unione Europea creato del 1992 516,5 milioni di euro di cui 268,4 saranno coperti dal contributo europeo. Le richieste erano 1078. 202 progetti selezionati per cofinanziamento nell’ambito delle tre componenti; politica e governance ambientale, informazione e comunicazione.
Tra le 268 proposte di progetti ricevute ne sono stati scelti 76 progetti da finanziare nell’ambito di partenariati conclusi da organismi di conservazione, enti governativi e altre parti interessate . Il tutto per 241,8 milioni di euro di cui 136 dell’UE. Su 607 proposte ricevute la Commissione ha accettato 113 progetti finanziati da organizzazioni del settore pubblico pari a 258,4 milioni di Euro di cui 124,4 milioni saranno coperti dal contributo. L’elenco non finisce qui ma ho voluto riportare queste cifre perché ci vuol poco a capire che dietro questi progetti c’è un lavoro di progettazione tra più soggetti istituzionali e anche privati che richiedono ai proponenti –parchi in testa- un impegno e una capacità di iniziativa che oggi deve fare i conti con la benzina che manca per le auto, per i servizi antincendio e simili.
Il ponte se non vuole essere come quello dello stretto di Messina richiede un sistema di parchi che non si è saputo e neppure voluto costruire come conferma una struttura ministeriale priva di qualsiasi strumento o sede in cui parchi, regioni ed enti locali dovrebbero pilotare politiche europee alle quali si dovrà sempre più affidare un ruolo sovranazionale che non vale solo per le politiche economico-finanziarie ma anche ambientali.
Non è infine fuori luogo una osservazione sul ruolo anche in Europa delle nostre aree protette in relazione agli input internazionali degli ultimi anni verso una politica dei parchi che guardi e si proietti ‘oltre i confini’. Come abbiamo appena visto soprattutto in riferimento alla situazione del nostro paese oggi noi registriamo una persistente difficoltà a guardare oltre i confini tra aree protette, figuriamoci oltre quelli dei parchi. Spesso oggi accade esattamente il contrario e cioè che politiche economico-finanziarie che hanno fatto leva sulla speculazione edilizia, l’abusivismo, il consumo di territorio agricolo, sulla distruzione e stravolgimento del paesaggio sono riuscite –diciamo così- a sconfinare all’interno dei nostri parchi e aree protette.
Si veda per tutti la ripresa diffusa di trivellazioni a mare.
Se vogliamo davvero come giustamente sostiene e propone l’UICN andare oltre i confini dei parchi dobbiamo riuscire a ribaltare l’attuale situazione e non solo nel nostro paese.
Renzo Moschini- Gruppo di San Rossore ‘Per il rilancio dei parchi’