Un trattato firmato il 21 marzo 2015 a all’Abbaye aux Dames de Caen, in Basse-Normandie, dal ministro degli esteri italiano Gentiloni e dal suo collega Laurent Fabius, prevede modifiche ai confini marittimi tra i due Paesi: la “Fossa del Cimitero” al largo della Liguria, due aree marine al nord della Sardegna e l’area della Secca delle Vedove a nord-ovest di Gorgona, passano alla Francia. L’assessore regionale toscano all’Agricoltura, con delega alle politiche per il mare della toscana, Marco Remaschi, ha detto che «Sono state cedute porzioni di superficie marina per 339,9 kmq e acquisite per 23,85 kmq con una diminuzione di 316,05 kmq».
Una delle teorie, avanzata anche da Massimo Pili, l’ex presidente di centro-destra della Regione Sardegna ed oggi deputato di Unidos, che ha “scoperto” per primo le conseguenze del trattato sui confini marittimi, già ratificato dal Parlamento francese, è che si tratta di uno scambio pesce – petrolio, visto che nel 2010 l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy mise il veto su nuove trivellazioni petrolifere nel Mediterraneo, una moratoria confermata ed ampliata l’8 aprile 2016 dalla ministra all’ambiente, energia e mare Ségolène Royal che l’ha estesa anche alle concessioni e alla ricerca di idrocarburi in mare, anche nella Zona economica esclusiva francese, e ha detto che la Francia «chiederà l’estensione di questa moratoria all’insieme del Mediterraneo nel quadro della convenzione di Barcellona sulla protezione dell’ambiente marino e della costa mediterranea», Convenzione firmata anche dall’Italia.
Il petrolio che non interessa la Francia «Tenuto conto delle conseguenze drammatiche in grado di danneggiare l’insieme del Mediterraneo in caso di incidente nella trivellazione petrolifera», è invece molto ambito dall’Italia: a nord-est della Sardegna – proprio a ridosso dei nuovi confini marittimi – ci sono diverse istanze di prospezioni petrolifere e, proprio lì, l’Italia ha inglobato come acque territoriali quella che era una sua Zona economica esclusiva (Zee). Va anche detto che sulla base dell’accordo di Caen – che applica la convezione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS) – l’Italia ottiene che diventino acque territoriali quelle che prima erano acque internazionali, guadagnandoci non poco da questo punto di vista.
Una tesi, quella del petrolio e del gas, suffragata anche dalla risposta data dal Sottosegretario agli affari esteri Benedetto Della Vedova alla interrogazione parlamentare di Pili: «Al negoziato sulla base delle rispettive competenze hanno partecipato anche tutti i Ministeri tecnici – inclusi quelli che hanno responsabilità in materia di pesca, trasporti ed energia» e quando si parla di energia offshore in un trattato tra Stati si parla di idrocarburi.
Legambiente Toscana avverte: «L’accordo conferma non solo i pericoli che corre la Sardegna nord-occidentale ma c’è il rischio che si possa riaprire la partita trivellazioni nell’Arcipelago Toscano».
Nel 2010 l’allora ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, pressata da Legambiente appoggiata da Comuni e cittadini, disse che la Key Petroleum, un multinazionale australiana che aveva effettuato prospezioni petrolifere a nord e a sud dell’Isola d’Elba, trovando giacimenti di gas e petrolio sfruttabili tra Pianosa e Montecristo, non poteva trivellare perché il Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos doveva essere considerata a tutti gli effetti un’area protetta. Una interpretazione messa in dubbio prima dal governo Monti, che tentò di riportare le trivellazioni a 5 Km dalle aree protette e nel 2014 dai petrolieri che tornarono alla carica con le trivellazioni nel Tirreno toscano perché il Santuario Pelagos non sarebbe una vera area marina protetta, sollevando le proteste di Legambiente, tanto che il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, disse: «Non mi piace l’idea del Ministro Passera di favorire le trivellazioni per la ricerca e la coltivazione di pozzi petroliferi nei mari e, quindi, anche nel mare della Toscana. Per quanto ci riguarda, ci batteremo perché non avvenga questo scempio».
I successivi passi del governo Renzi, con le facilitazioni al petrolio offshore introdotte nello “sblocca Italia” e che tornavano indietro rispetto ai limiti approvati dalla Prestigiacomo, avevano fatto aumentare ulteriormente le preoccupazioni, spingendo le Regioni a chiedere l’indizione dei referendum NO-Triv, del quale alla fine, dopo la marcia indietro del governo, è rimasto quello sulle “12 miglia”.
Ma la Regione Toscana, a differenza della Liguria, non è tra le 9 Regioni promotrici del referendum contro le trivelle del 17 aprile e Legambiente teme che dietro il tentativo del governo di non far raggiungere il quorum rifiutando di indire l’Election Day ci siano proprio concessioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi come quelle avanzate in Sardegna e Toscana.
Per questo Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana, e Umberto Mazzanti, responsabile mare Legambiente Toscana, hanno scritto a Rossi una lettera perché si schierasse per il Sì al Referendum del 17 aprile e nella quale si legge: «In questo contesto, è evidente che il mancato raggiungimento del quorum al Referendum del 17 aprile riaprirebbe la questione delle trivellazioni petrolifere nell’Arcipelago Toscano, dove sono già avvenute con successo prospezioni su giacimenti di idrocarburi sfruttabili. Il rischio che correrebbero il Santuario Pelagos, le aree marine protette dell’Arcipelago Toscano, la costa, la pesca e l’intera economia turistica toscana è conclamato. Un incidente simile a quello della Deepwater Horinzon del 2010, nel Golfo del Messico, in Toscana, come in Sardegna o nell’Adriatico, sarebbe un colpo mortale per l’immagine del nostro Paese, per il suo ambiente e per la sua economia turistica. Per la Toscana il non raggiungimento del quorum rappresenterebbe un rischio ambientale ed economico intollerabile, di fronte a poche gocce di petrolio, peraltro estratte da multinazionali straniere».
Rossi ha risposto indirettamente il 4 Aprile dalle pagine nazionali del Corriere della Sera: «Le trivelle? Voterò sì, turandomi il naso» e sottolineando che lo farà «obtorto collo, perché io non sono un ambientalista fondamentalista, come tanti che assolutizzano e dicono un secco no alle trivelle. La mia è una scelta minoritaria, ma non polemica. Io non lancio invettive». Poi ha spiegato perché non ha firmato il ricorso delle Regioni insieme agli altri 8 presidenti Pd (poi diventati 7 con la defezione dell’Abruzzo): «È vero, pur essendo considerato molto antirenziano, non ho firmato contro questa norma dello sblocca Italia (…) Non condividevo lo strumento del referendum, perché ha innescato uno scontro tra opposte fazioni. Però, nel merito, penso che l’idea di una concessione perenne sia contraria ad alcune regole europee sulla libera concorrenza. Non può bastare un rigo per prorogare le concessioni fino a esaurimento dei giacimenti. Lo sa che qui abbiamo un contenzioso da oltre 250 anni? Il privilegio assegnato ai cavatori nel 1751 dalla principessa Maria Teresa Cybo Malaspina ha innescato un contenzioso che ci ha portato, con il governo, fino alla Corte costituzionale. Io penso che, se le condizioni cambiano, deve esserci la possibilità di ridiscutere le scelte».
Secondo Legambiente Toscana: la posizione per il Sì al referendum del 17 Aprile «è importantissima, in quanto meditata e “sofferta”, provenendo da chi non ha ricorso contro questa norma dello Sblocca Italia. Legambiente apprezza l’onestà intellettuale di Rossi, che ha così risposto positivamente all’appello del presidente di Legambiente Toscana Fausto Ferruzza e del responsabile Mare di Legambiente Toscana Umberto Mazzantini, affinché si esprimesse chiaramente sul merito del quesito referendario. E’ importante il riferimento di Rossi al contenzioso che dura da oltre 250 anni sul marmo di Carrara, a proposito delle concessioni estrattive rilasciate senza data di scadenza, ma è ancora più importante che il presidente della Regione Toscana richiami la necessità, ormai non più rimandabile, di un piano energetico nazionale che faccia finalmente uscire l’Italia e la Toscana dall’era dei combustili fossili, in vista di un modello energetico più equo e sostenibile. Modello i cui pilastri portanti sono: efficienza energetica, distribuzione decentrata sui territori, ascolto delle comunità locali, sviluppo delle fonti rinnovabili: degli obiettivi tutt’altro che fondamentalisti, sanciti peraltro dal recente Accordo di Parigi che anche l’Italia avrebbe sottoscritto».
Legambiente Arcipelago Toscano