E’ il titolo di un articolo di Mauro Rosati su l’Unità che ha il merito di cogliere una importante novità che finora non ha trovato lo spazio giusto nel confuso dibattito in corso al Senato sulla legge 394. Finora la questione come ben sappiamo ha riguardato l’opportunità o meno di inserire un rappresentante degli agricoltori negli enti di gestione delle aree protette. Presenza considerata necessaria per impedire al parco di ‘penalizzare’ nell’interesse della tutela ambientale il settore. Del resto la separazione del piano socio-economico da quello ambientale del parco prevista dalla 394–oggi giustamente ricomposto e unificato- aveva questo significato o comunque legittimava in qualche modo questa interpretazione.
Rosati del suo articolo rovescia questa impostazione e interpretazione e ricordando che all’interno dei parchi l’agricoltura produce alcune delle grandi eccellenze italiane da qui gli elementi di base di un sistema agricolo di lungo periodo che unisca salvaguardia delle risorse naturali e produttività economica.
In sostanza sebbene la legge quadro sulle aree protette non indichi in modo specifico di fare agricoltura le evidenze sono chiare; agricoltura biologica e tipicità sono la base di una efficace politica di tutela. Naturalmente le criticità per gli agricoltori ‘guardiani’ sono molte e riguardano aspetti cruciali della politica europea e gli indispensabili effetti che essa può e deve avere sul rilancio di una agricoltura che innanzitutto deve garantire una sopravvivenza delle aziende per un loro urgente rinnovo generazionale.
Non dimenticando che recentemente è stata approvata una legge sulla biodiversità e l’agricoltura che prevede piani di sostegno a queste politiche di cui i parchi con le regioni devono avvalersi.
In questo contesto c’è anche il problema della fauna selvatica che genera danni a cui però non si può rispondere solo a schioppettate come prevede la legge toscana.
Renzo Moschini