L’eruzione di gas e fango documentata dai pescatori di Campo nell’Elba a pochi metri dalle Formiche di Grosseto (o Affrichella o Scoglio d’Affrica) e le successive indagini sui fondali dell’isolotto realizzate dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dall’Università La Sapienza di Roma che hanno determinato che si tratta di una “eruzione fredda” di metano dai fondali, hanno avuto il merito di far parlare dello studio “Methane Seep in Shallow-Water Permeable Sediment Harbors High Diversity of Anaerobic Methanotrophic Communities, Elba, Italy”, pubblicato il 31 marzo 2016 su Frontiers in Microbiology da un team di ricercatori tedeschi che comprende anche Christian Lott, Johanna Wiedling e Miriam Weber dell’Elba field station di Fetovaia (Campo nell’Elba) dell’ Hydra Institut für Meereswissenschaften.
Christian Lott ci spiega che «Il metano è un potente gas serra, 25 volte più efficace della CO2. Il metano nell’atmosfera ha diversi fonti naturali, tra cui la fuoriuscita da depositi sottomarini, ma anche dal suolo subartico, il permafrost. Il contributo di quest’ultimo si accelera anche con il riscaldamento globale. Ci sono però anche meccanismi naturali che diminuiscono il flusso di metano dai depositi verso l’atmosfera. Negli ambienti marini ci sono due di questi importanti meccanismi: nella colonna d’acqua con la presenza di ossigeno, alcuni batteri possono utilizzare metano come fonte di carbonio e di energia, con una combustione (bio-)chimica. Nel sottosuolo marino però non c’è ossigeno e per tanto tempo è stato un mistero come i microorganismi possano utilizzare il metano senza ossigeno, un processo che richiede tanta energia iniziale, e rende poco. Solo circa 15 anni fa gli studiosi hanno scoperto, che una simbiosi di due tipi di microorganismi molto diversi, batteri e Archei, permette i partners di dividersi il lavoro. In questi “consorzi” gli archei ossidano il metano in CO2, dando ai batteri gli elettroni, con i quali, usando il solfato, che è molto abbondante nell’acqua di mare, i batteri producono solfuro di idrogeno. Un processo biochimico, che viene definito “AOM”, anaerobic oxidation of methane, che cattura tanto metano già sott’acqua, prima che arrivi nell’atmosfera».
Lo studio pubblicato su Frontiers in Microbiology è il frutto di un progetto congiunto di scienziati del Max-Planck-Institut für Marine Mikrobiologie e dell’Hydra che hanno studiato i sedimenti intorno al gas che filtra dai fondali dell’Isola d’Elba. Già nel 1995 i ricercatori dell’Hydra aveva osservato delle bolle di gas emergere dal sedimento in una zona sabbiosa poco profonda appena al largo di Pomonte, una località del Comune di Marciana, nell’Elba sud-occidentale. Nel 2009 era stato avviato uno studio approfondito iniziato della zona e sono state trovate altre due aree dove filtra gas: una nella vicina isola di Pianosa e un’altra vicino allo Scoglio d’Africa, l’isolotto più a sud, al largo di Montecristo dove si sono verificati i recenti fenomeni che comprendono l’eruzione di gas e fango dal fondale, boati, tremori e brillamenti.
Lott evidenzia che «Nell’Arcipelago Toscano, a sud dell’Isola d’Elba, Hydra aveva osservato fuoriuscite di gas in più località già da 20 anni. La zona più conosciuta è quella intorno al relitto di Pomonte (Comune di Marciana, un cargo naufragato allo scoglio dell’Ogliera, a poche decine di metri dalla costa sud-occidentale dell’Isola d’Elba, ndr). Però anche a Pianosa e a nord dello Scoglio d’Affrica sono state osservate bollicine di gas. Più del gas stesso e di eventuali processi geologici nel nostro focus di ricerca sta nella domande: cosa succede nella vicinanza di queste sorgenti di gas sottomarini? Quali effetti ha la presenza del metano sugli organismi che vivono nella sabbia?. E anche, quale processo biochimico svolgono questi consorzi microbiotici?. Globalmente queste domande sono interessanti perché non ancora tutti i componenti del budget globale del metano sono conosciuti. Quindi i calcoli, che sono la base anche del risk assessment del cambiamento climatico, hanno ancora delle incertezze, sia nella parte dei contributi naturali, che nella parte dell’effetto antropogenico».
Campioni di gas e di sedimenti sono state prelevati da sommozzatori e successivamente analizzati in laboratorio. Questo ha portato alla scoperta di una biodiversità sorprendentemente elevata di batteri e Archea che notoriamente metabolizzano il metano anaerobicamente, soprattutto per quanto riguarda le comunità delle acque profonde. I ricercatori tedeschi spiegano questa diversità con l’ampia diffusione di microrganismi, la disponibilità di diverse fonti di energia, le forze idrodinamiche prevalenti che agiscono sulla superficie del fondale e il sedimento permeabile. Tuttavia, anche se le condizioni biogeochimiche differiscono fortemente da quelle nel mare profondo i microbi dell’Elba sono strettamente correlati con gli altri. I risultati confermano l’ipotesi che la presenza di metano abbia un forte effetto sulla selezione dei taxa inferiori e che i gruppi generali siano distribuiti globalmente.
Lott spiega ancora: «Hydra ha studiato per più di 10 anni i sedimenti Intorno allo Scoglio dell’Ogliera, sia nell’acqua libera che interstiziale, i microorganismi, la meiofauna e la composizione geochimica e Lott sottolinea che «Il sito di Pomonte è unico perché, al contrario, le altre sorgenti sottomarine di metano finora studiate sono molto più profonde: da 70 a 2.000 -3.000 metri. Una così alta diversità di consorzi AOM non è mai stata osservata in un singolo sito. Tipicamente, in altri posti si trovano due o tre tipi, da noi si trovano almeno 6 tipi di consorzi, ma anche organismi singoli e delle miscele/combinazioni batteri-archei mai trovate. Quindi la varietà e molto più grande di quella che si presumeva finora. Sono possibili altri/nuovi metabolismi?».
Secondo Lott, «La causa probabile sono i frequenti disturbi dei movimenti ondosi, episodici in queste acque basse, nei sedimenti permeabili (sabbia invece di fango/argilla del mare profondo). Le temperature ambientali alte rispetto al mar profondo (12 – 26°C contro 0 – 4°C), e meno stabili (stagionali). Però, le fuoriuscite stesse non mostrano nessuna anomalia termica».
Il grosso vantaggio del sito di Pomonte e di quello dell’Affrichella è che «Per studiare questi habitat importanti, anche con esperimenti in situ, l’accessibilità e eccellente. I ricercatori possono andarci in persona invece con dei ROV o sommergibili», evidenzia Lott.
La ricerca a sud dell’Arcipelago Toscano – proprio nell’area nella quale la multinazionale australiana Key Petroleumaveva trovato gas e petrolio che avrebbe voluto trivellare – non è ancora terminata e la scoperta del “vulcano di fango” alle Formiche di Montecristo potrebbe fornire un’ulteriore spinta (e magari fondi per proseguirla). Intanto Lott ci annuncia che «E’ quasi pronta una pubblicazione complementare sulla biogeochimica, la mineralizzazione autoctona e sulla possibile origine geologica del gas» e che sono in corso anche studi con altri partner che riguardano: ossidazione aerobica (con ossigeno) nella colonna d’acqua e nell’interfaccia sedimento-acqua», per rispondere alla domanda su cosa succede alle bollicine di metano che sfuggono ai consorzi AOM nella colonna d’acqua.
La ricerca continua, per capirne di più su queste inattese comunità microbiche mangia-metano che vivono in acque marine poco profonde.
Umberto Mazzantini