Siamo tornati a trovare una vecchia conoscenza dei nostri lettori più attenti: Sara Esposito, 34 enne laureata in agraria, di Napoli, dottore di ricerca in produzioni animali a Firenze, approdata sull'isola nel 2006. A luglio dell’anno scorso avevamo visitato la sua azienda agricola: Regali Rurali a Lacona. Sara infatti conduce con grande passione questa fattoria casearia sostenibile e didattica. A latere, dall’anno scorso, ha iniziato un esperimento che si spera possa portare grandi risultati in pochi anni: la coltivazione dello Zafferano (Crocus sativus).
Appena giunti in azienda facciamo la conoscenza di Patrick, un ragazzone australiano che sta mettendo a dimora i bulbi di zafferano. Con un grosso cappello, tipico del suo paese, ed occhiali da sole scuri, si protegge dai raggi del sole cocente mentre produce buchi nel terreno aiutandosi con un bastoncino (il "passello" degli elbani), dal diametro calibrato, per potervi inserire i bulbi di zafferano. Lavora per l’azienda di Sara da pochi giorni, non sa ancora parlare italiano, ma ci intendiamo lo stesso e ci spiega che deve piantare circa quattromila bulbi ad una distanza di 10 centimetri l’uno dall’altro e che ne ha messi a dimora solo quattrocento.
Poco dopo ci raggiunge Sara, la quale poco prima era impegnata ad allattare la sua primogenita, nata pochi giorni fa. Una splendida bambina che ha chiamato Petra.
Ci porta nel magazzino dove conserva i bulbi e ci racconta che ha iniziato a coltivare zafferano l’anno scorso e che ha già venduto tutta la produzione del 2016. Ci fa annusare i pochi fili di stimmi di zafferano rimasti e che ha conservato per il consumo personale. Sono profumatissimi e di un colore molto intenso, tipico dello zafferano italiano di buona qualità. E’ vero che il nostro zafferano costa di più rispetto a quello, per esempio, Iraniano, ma è ancor più vero che il nostro colora molto di più ed ha un profumo (dovuto ad una sostanza che si chiama Safranal) decisamente più marcato e complesso. In pratica ne basta un terzo per ottenere la stessa intensità di colore in un risotto, ma con una fragranza aromatica ineguagliabile.
Andando a ritroso nella storia dell’uomo registriamo le prime tracce di zafferano addirittura all’Età del Bronzo (circa 3.500-1.200 a.C.). Ma soltanto con le civiltà dell’Epoca Classica gli stigmi di questo stupendo fiore viola diventano merce preziosa. Nell’antica Grecia sono impiegati per colorare le stoffe come dono degli dei ed in seguito lo zafferano comincia a fare il suo ingresso in cucina.
Proprio in quel periodo nasce una leggenda che narra di una bella ninfa di nome Smilace la quale si innamora perdutamente di Croco, un giovane ed affascinante guerriero. La loro è una relazione osteggiata dagli dei dell’Olimpo i quali spingono addirittura Croco al suicidio. Poco dopo gli stessi dei, vista la disperazione di Smilace e mossi a pietà, decidono di unirli per sempre trasformandoli in due piante particolari. Smilace in una pianta spinosa le cui foglie hanno la forma di un cuore (Smilax aspera, comunemente conosciuta come “salsapariglia”) e Croco in uno splendido fiore viola (Crocus sativus) dai cui stigmi si ricava lo zafferano. Un fiore simbolo di superbia perché Croco osò innamorarsi di una divinità e per questo si immolò per la sua Smilace, ma che aveva un cuore dal colore del sole nonché preziosissimo.
Sara ci racconta che i bulbi attecchiranno presto e che a novembre inizierà la raccolta. Sempre che il suo campo non venga devastato da una piaga che dagli anni ‘70 sconvolge le coltivazioni agricola di tutta l’isola: i cinghiali. Per proteggere il suo campo, Sara ha dovuto costruire una robusta ed alta staccionata in legno, nella speranza che i famelici ungulati non la abbattano. Questi animali oltre a depredare i vigneti, producono profonde buche ovunque sull’isola, alla ricerca di tuberi di tutti i generi, mettendo anche a rischio il propagarsi di numerose specie botaniche come il giglio di mare o delle sabbie (Pancratium maritimum) quasi estinto e lo Zafferano dell’Elba (Crocus ilvensis), scoperto recentemente.
Proprio quest’ultimo sarà il protagonista della prossima sfida di Sara. In collaborazione con l’Università di Pisa e con l’aiuto di altri esperti, Sara cercherà di dar vita ad una nuova coltivazione, per verificare l’idoneità al consumo alimentare, le qualità sensoriali e l’eventuale commercializzazione di questo “fiore all’occhiello” dell’Isola d’Elba.
Per contattare l'azienda agricola telefonare al 392 9426473