Infuria la polemica su come dissetare l’Elba. E’ una polemica tutta locale e con queste righe non desidero alimentarla. Desidero solo portare la voce di un utente del sistema idrico,il sottoscritto,non addetto ai lavori e pertanto privo di conoscenze tecniche sull’argomento.
Ricordo che qualche hanno fa il popolo italiano scelse con referendum popolare di delegare solo al pubblico l’amministrazione dell’acqua potabile eliminando l’intervento del privato. ASA è l’ente pubblico che gestisce, amministra il sistema idrico potabile. Sta in piedi coi soldi di noi contribuenti e utenti. L’acqua potabile che esce dal rubinetto di casa non la bevo. Non mi piace. Continuo a pagarla ma non la bevo. La uso per tutti gli altri usi domestici (doccia,lavaggio panni sporchi, pavimento, stoviglie ecc) Ha un sapore dove la presenza del boro, disinfettante, si fa sentire.
Per anni ho bevuto l’acqua acquistata al supermercato, quella contenuta nelle bottiglie di plastica.. Poi ho scoperto l’acqua della fontina pubblica, che il gestore pubblico ASA ha messo a disposizione con la dizione “Acqua di alta qualità”, facendomi intendere che quella che esce dal mio rubinetto di casa non lo è, bevendola , questa acqua, ho scoperto che è davvero meglio così ora ne faccio uso.
E’nata in me la convinzione che si può dissetare l’Elba implementando la presenza sul territorio delle pubbliche fontine gestite. Le cose per l’utente non cambierebbero: deve sempre uscire di casa per andare a procurarsi l’acqua da bere. Nel caso però della fontina pubblica deve procurarsi bottiglie o di plastica o di vetro. E’ qui che cambiano le cose ma per l’ambiente. Con le fontine pubbliche circolano meno bottiglie di plastica ad inquinare. Non si può certo obbligare la gente a far uso di acqua da bere prelevandola da pubblica fontina ma si può certo implementare una politica perché ciò accada. Niente di nuovo sotto il sole:le cisterne pubbliche dell’acqua sono state per secoli il modo col quale i feraiesi hanno bevuto acqua insieme con quello del “bugliolo” calato in fondo al pozzo.
Marcello Camici