Per gli antichi latini era «cerrus», per i botanici «Quercus cerris», per gli elbani «cèro», con la caratteristica erre scempia.
Il cerro è uno slanciato albero di quercia che può raggiungere 35 metri di altezza; è a rapido accrescimento e non è molto longevo, con un profondo apparato radicale che consente alla pianta di resistere notevolmente alla siccità. Il suo legno, che tra quello delle querce è il migliore come combustibile, veniva adoperato per realizzare doghe di botti e traversine ferroviarie. Possiede delle particolarissime ghiande munite di «cupoletta» quasi spinosa.
Il cerro vegeta spontaneamente negli ambienti montani submediterranei dell'Europa meridionale (non a caso per gli inglesi è la «quercia turca») ma è raro in Sicilia e del tutto assente in Sardegna e Corsica.
All'Elba si trova soltanto in un settore montano ben circoscritto, ossia sulle pendici orientali e meridionali del Monte Perone. Proprio in quell'area esistono due antichi toponimi che ricordano questo nobile albero: «Il Cèro» (attestato nel «Catasto leopoldino» del 1840 e corrispondente all'alta vallata di Redinoce) e «Tre Cèri», ove si trova un piccolo ed armonioso «domolito» pastorale che a metà Novecento era frequentato, tra gli altri, dal pastore Guglielmo Pacini.