Caro Sergio,
questa mattina ho letto il tuo articolo in cui racconti di un bimbo che, una sessantina d’anni fa, imparò a nuotare in un angolo di paradiso della costa sud occidentale di quella che è diventata anche la mia isola. E allora mi sono detto che la storia di “Timone”, che a quel tempo osservava i tuoi prodigi, andava raccontata.
Di certo ricordi quando l’Omo (masso) “perse il capo”? Era dicembre, anche quella volta, di quattordici anni fa. Quattordici anni del nostro calendario, una quantità di tempo del tutto priva di significato nella storia della Terra. E qualche giorno fa, sorte analoga, anche se con diverse dinamiche, è toccata al Timone dell’isola, quello che l’ha tenuta in rotta - si fa per dire - per lungo, lungo tempo. In entrambi i casi è la natura, nelle sue tante manifestazioni, che ha seguito il suo libero corso: un fulmine per l’Omo, il vento e il mare per il Timone.
Due morfosculture – così le chiamano i geologi: l’Omo fatto di granito e Timone di un’antichissima argilla, prima consolidata e poi metamorfosata dalla temperatura quando venne in contatto con quel materiale roccioso molto caldo, che da grande sarebbe diventato Monte Capanne.
La storia del corpo geologico da cui “nacque” Timone risale a tempi lontanissimi, ma per vederne le sue più “recenti” vicende possiamo limitarci a iniziare il racconto dal pur sempre per noi assai lontano Miocene Superiore. In quel tempo la tettonica, con l’apertura del Mare Tirreno e la migrazione dell’Appennino Settentrionale verso Est, crea un’area cosiddetta di distensione nella fascia che attualmente vede emerso l’Arcipelago Toscano. In questa fase di rilassamento della crosta, si formano delle faglie attraverso le quali i materiali caldi e con minore densità (i geologi nel nostro caso li definiscono anatettici, ossia derivanti da processi di anatessi - fusione delle rocce) hanno la possibilità di farsi strada e risalire verso la superficie.
Durante il loro percorso di risalita di questi magmi, capita che alcuni tra loro abbiano successo, riescano a raggiungere la superficie e diano luogo ad eruzioni (o esplodano, a seconda dei casi) costruendo edifici vulcanici e perfino intere isole - come accadde per Capraia -, mentre altri di successo ne abbiano un po’ meno, e invece di fare il vulcano da grande, debbano accontentarsi di raffreddarsi all’interno della crosta durante la loro risalita, e diventino Plutoni; come Monte Capanne, Montecristo e Giglio. Nel primo caso si parla di eventi magmatici effusivi, nel secondo di eventi magmatici intrusivi. È evidente a chiunque che i diversi meccanismi di “messa in posto” di rocce derivanti da questi due tipi di manifestazioni, ancorché provenienti dal medesimo magma genitore, diversamente partecipino alla costruzione del paesaggio che oggi conosciamo.
Capraia infatti è per intero il prodotto del raffreddamento di lave e materiali piroclastici eruttati da ben due vulcani, uno antico e uno molto più recente. Non da meno il magma che sarebbe diventato Monte Capanne, con la sua più lenta ascesa, ha profondamente modificato il territorio che oggi è la nostra Isola d’Elba.
Procediamo con ordine: nel suo percorso verticale verso la superficie “Monte Capanne” ha incontrato un notevole spessore di rocce preesistenti al suo passaggio. E che ne ha fatto di queste rocce? In parte le ha fuse e “digerite” accorpandole alla sua massa caldissima, altre invece le ha scaldate così tanto da trasformarle... da metamorfosarle come dicono i geologi.
Il nostro Timone è, era, un frammento di una di queste formazioni rocciose “cotte” dal nascente Monte Capanne quando si sono trovate in contatto con lui.
Ma la storia di Timone non finisce qui. Monte Capanne via via che passa il tempo, perde temperatura, ma continua a salire verso la superficie. Sale e porta verso l’alto, sulle sue spalle, le rocce che lo sovrastano e lo “incassano”. E continua a salire finché, ormai superato ogni equilibrio e raggiunta una considerevole altezza, comincia a scaricarle.
In senso figurato immagina di vedere un autocarro carico di materiali al quale sia stato azionato il ribaltabile oleodinamico: il cassone sale, e sale ancora finché la forza di gravità non vince e… quando la gravità vince scarica tutto il materiale dal cassone.
Questa semplicistica, figurata rappresentazione dell’autocarro, riferita a Monte Capanne coincide con la cosiddetta fase di “denudamento gravitativo” (poi ne seguono altre), fase nella quale letteralmente la crescente montagna scarica tutto ciò che non sta più in equilibrio sulle sue spalle divenute ormai molto alte, ben oltre l’altezza che oggi raggiungiamo percorrendo il sentiero numero uno o, per chi ama la vita più rilassata, con la cabinovia di Marciana.
Per vedere ciò che resta di quello che accadde in quella fase di scarico, di denudamento, basta fermarsi ad esempio proprio dalle parti di Punta del Timone e, per una volta, invece di concentrarsi solo sullo straordinario panorama, guardare molto più da vicino quelle rocce nere stratificate che stanno sopra e sotto la strada provinciale, intorno a noi. Osservare come esse siano fortemente inclinate, appoggiate ancora alla struttura cristallina granitica di Monte Capanne ma completamente indipendenti da questa.
Qui, come in molti altri luoghi lungo “l’anello termometamorfico di Monte Capanne”, si percepisce facilmente il senso dello scivolamento, dello scarico delle rocce antecedenti Monte Capanne. Si notano bene le parti che sono affondate nel mare ai piedi della montagna, e di esse quelle residue emerse: sono ciò che resta di grandi formazioni rocciose che non ci sono più.
Timone è... era! un frammento emerso di una di quelle antiche formazioni, un pezzo di quella che abbiamo potuto conoscere, una delle molte più estese consimili che non esistono più.
La dinamica del paesaggio è in continua evoluzione; senza che ce ne accorgiamo lentamente tutto cambia e si adatta a nuovi e provvisori equilibri. Anche una frana, quando non sia causata dall’uomo, non è altro che una naturale evoluzione del paesaggio. Anche i terremoti lo sono, ci piaccia o no, e così le eruzioni vulcaniche: in questi due casi però ce ne accorgiamo, eccome! Tutto in natura è in lento e costante, inarrestabile divenire. E l’uomo, ospite come tutto il resto nel e del paesaggio, non può fare altro che assistere a questi naturali eventi. Evitando magari di catalizzarli come bene dici, e che questa sia una priorità per tutti. Assoluta!
La dinamica dei litorali poi è assai delicata: stretti tra terre emerse e terre sommerse, i litorali sono linee di confine tra due mondi, soggetti a dinamiche potenti quali la combinazione di forze incontrollabili come il vento e il moto ondoso. Entrambi tendono naturalmente e costantemente a smantellare ciò che la tettonica ha costruito.
Timone era un piccolo esempio di tutto questo.
Ti mando una sua foto, credo una delle sue ultime dato l’ho casualmente scattata proprio il giorno prima del suo collasso, in una giornata tersa in cui mi è stato facile allineare Timone a Cala Rossa di Capraia, ciò che resta del secondo e più recente condotto vulcanico dell’isola, esuberante cugino di Monte Capanne.
Nicola Gherarducci