Sono tanti i luoghi in cui i magici paesaggi dell’ Elba ti costringono a fermarti. Sono il suo mare, i suoi monti, le sue valli; il biancore delle cote di granito, le verdi falesie di serpentino, i costoni rossastri di ferro; i millenari alberi di tasso, le foreste di lecci e castagni, le pittaie e le agavi; la macchia, il colore del corbezzolo e del cisto, il profumo dell’elicriso e del rosmarino. Tanti luoghi immersi su un patrimonio unico di diversità geologiche e biologiche; di storie , tradizioni e lavoro nelle vigne, nelle cave, nelle miniere, nelle strade. A Pomonte e Chiessi la strada è arrivata sessanta anni fa e a quei tempi risalgono quei monumenti di arte e di lavoro che sono i ponti in granito che scavalcano i fossi dall’ Ogliera al Tofonchino. Poi la strada sale a Punta Nera, tagliata fra le nere e verdi scogliere di basalto, serpentino, cornubianiti e marmi cipollini, e il biancore dei porfidi che in un grande abbraccio geologico si appoggiano sulla massa granitica del Monte Capanne. Sono basalti e serpentini molto antichi. Si sono formati 150 milioni di anni fa, ai tempi di Jurassik Park, nel fondo di un grande oceano, oggi scomparso che si estendeva fra la Liguria ed il Piemonte. I serpentini, le rocce verdi del Romanico pisano e dell’ opus reticolatum della Villa romana de Le Grotte, ci accompagnano ai vigneti di Campo Lofeno e ai suoi magici concerti estivi.
La strada sale, iniziano i Macei dell’ Infernaccio. Tecnicamente sono depositi di versante: un insieme scompaginato di massi rocciosi che ricoprono i ripidi versanti fino al mare, tagliati dalla strada. Si sono formati attorno a 20 mila anni fa, nei momenti più freddi dell’ ultima glaciazione. I ghiacci alpini arrivavano fino alla pianura Padana. Piccoli ghiacciai erano sulle Apuane, e forse, e comunque così ci piace pensare , la Galera del Capanne era un piccolo teatro di nevi perenni. Comunità di cacciatori e raccoglitori percorrevano il territorio elbano unito a Pianosa ed al continente a formare una estesa penisola protesa verso la Corsica, Capraia e Montecristo. Orsi, cervi e cinghiali erano le ambite selvaggine. Il gelo spaccava le rocce e grossi blocchi di serpentino precipitavano dalle falde del Capanne accumulandosi lungo i versanti in un precario e instabile equilibrio, giungendo fino al mare in quel grosso blocco dal quale, come vuole la leggenda, Napoleone guardava la sua terra natale: è questa la Sedia di Napoleone. Una ventina di anni fa, il Parco Nazionale promosse e in parte finanziò la messa in opera di reti paramasso nei tratti più critici dei Macei dell’ Infernaccio. Quelle opere ancora oggi esplicano perfettamente il loro ruolo, ma nel tempo altre criticità di rischio frana si sono aggiunte, così’ da imporrre con urgenza idonei interventi di manutenzione dei muretti e di contenimento dei massi erratici. Magari evitando interventi di messa in sicurezza particolarmente invasivi, quale è il caso del muro in cemento e della rete paramassi edificata a Fetovaia a bordo strada. Non guasterebbe che almeno il muro di cemento venisse rivestito di granito. Muri a giorno in cemento non si vedono più neanche in autostrada, figuriamoci, come è il caso, in una strada entro un Parco Nazionale.
Beppe Tanelli