“Voi conoscete il motto che il barone De Coubertain ha riattivato per le moderne Olimpiadi, prendendolo dall'antichità: il motto del citius, più veloce; altius, più in alto; fortius, più forte, più possente.
Citius, altius e fortius era di per sé un motto giocoso, un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco.
Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti.
Questo è un po' il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini: più lenti invece che più veloci, più in profondità invece che più in alto, e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo”.
Queste parole concludevano, il 31 dicembre 1994, un intervento di Alexander Langer (cfr. Wikipedia) -politico, pacifista, ecologista, europarlamentare- in un Convegno ad Assisi. Sarebbe morto dopo meno di sette mesi. Lo avevo conosciuto a Firenze qualche anno prima, e l’ho sentito ricordare l’altro giorno in un bel programma di RAI3 -come al solito in onda a ore impossibili (12.45-13,15)- proprio per quel pensiero che ho citato.
Nell’intervento di Assisi parlava della necessità, dell’impegno di “riconciliazione con la natura”, sottolineava il bisogno “che tra coloro che non cercano un impegno semplicemente effimero, o gridano libertà quando tutti gridano libertà, o gridano giustizia nel momento in cui tutti gridano giustizia, o gridano magari anche pace nel momento in cui tutti gridano pace o democrazia o solidarietà, che una attenzione particolare e anche contro corrente, anche al di fuori della moda, vada all'integrità del creato, se volete, alla reintegrazione della biosfera”. E suggeriva “che il messaggio di fondo della riconciliazione con la natura che noi oggi dobbiamo proporci e possiamo proporre, senza tema di essere smentiti, è sostanzialmente uno, cioè quello della vita più semplice. Quando quasi duecento anni fa Kant si preoccupava di che tipo di messaggio morale trovare per tutti, credenti o non credenti, cioè di che tipo di regola dare o formulare perché fosse valida per tutti, fosse indiscutibile, ha trovato alla fine questa regola: cerca di comportarti in modo tale che i criteri che ispirano la tua azione possano essere gli stessi criteri che ispirano chiunque altro. [cioè che] i criteri che ispirano il nostro agire, siano moltiplicabili per 5 miliardi: cioè cercate di sporcare quanto 5 miliardi di persone potrebbero permettersi di sporcare; cercate di consumare energia quanto 5 miliardi di persone possono consumare; cercate di deforestare quanto 5 miliardi di persone possono permettersi di deforestare”.
Un secondo tema affrontato riguardava il rapporto con i diversi noi, cioè tra gruppi di persone che non si identificano, pur vivendo nello stesso territorio. E’ inutile sottolinearne l’attualità. Il suo pensiero è molto lineare: “Io credo che abbiamo -semplificando- due scelte: una è quella che ultimamente è diventata famosa col termine epurazione etnica, cioè ripulire ogni territorio dagli altri, rendere omogeneo, rendere esclusivo, etnicamente esclusivo un territorio; e quindi dire che chi lì non diventa uguale agli altri, perché vuole coltivare la sua diversità o chi semplicemente viene cacciato da lì, cioè non gli viene neanche permesso di integrarsi, se ne vada, con le buone o le cattive, fino allo sterminio”. In quei mesi era in corso la terribile guerra dei Balcani, e le “pulizie etniche” non erano teoria. Oggi sono in corso altrettante guerre “locali”, nelle quali si confrontano e si affrontano gruppi etnici, tribù, appartenenze religiose: all’origine delle quali sempre sta la politica occidentale che prima divide e spartisce, e poi porta la pace (ma vende armi a tutti i contendenti); con la complicazione che le popolazioni, con i loro territori distrutti, non hanno altra scelta che venire in Europa a cercare scampo e sostentamento. E a distanza di venticinque anni la scelta per molti europei è analoga a quella di allora -fare la guerra per portare la pace-, forse appena moderata dalla diffusione delle informazioni.
“L'altra possibilità -proseguiva Langer- è quella che ci attrezziamo alla convivenza, che sviluppiamo una cultura, una politica, un'attitudine alla convivenza, cioè alla pluralità, al parlarsi, all'ascoltarsi. Ora credo che finché non costava, finché era una moda, il plurietnico, il pluriculturale era anche bello, faceva chic; per esempio l'Italia era un paese in cui tutti i grandi giornali erano pieni di sdegno sulla xenofobia altrui: gli svizzeri hanno fatto un altro referendum xenofobo, in Germania ci sono stati episodi di intolleranza xenofoba, in Francia ecc. Oggi ci accorgiamo che questo diventa tragicamente realtà anche da noi; forse per la semplice ragione che prima gli altri non li avevamo tra noi e quindi era facile sopportarli finché stavano lontani; una volta che ci sono, diventa meno facile. […] Quindi io credo che oggi uno dei grandi compiti di chiunque abbia voglia di un futuro amico sia proprio quello di diventare in qualche modo, nel suo piccolo, pontiere, costruttore di ponti del dialogo, della comunicazione interculturale o interetnica”
Il testo integrale dell’intervento è disponibile in Rete, ed è bello e importante. Ma vorrei tornare alla citazione iniziale.
Giusto cent’anni prima del convegno di Assisi del 1994, Pierre de Coubertin fondava il Comitato Olimpico Internazionale che avrebbe promosso le Olimpiadi moderne. De Coubertin era uno sportivo appassionato, un educatore, un organizzatore. Fondamentalmente un idealista. Non avrebbe mai immaginato di essere il fondatore della più importante Religione del mondo contemporaneo: una religione che avrebbe visto l’adesione di tutti i popoli senza distinzioni geografiche, sociali, linguistiche, culturali. In centoventicinque anni ha “convertito” tutti, o quasi. Ma non con la forza di una qualunque fede. Piuttosto con l'illusione dell’alienazione, del portare fuori da sé ogni valore per offrirlo all’esibizione, anzi all’esibizionismo. E stemperare in una falsa competizione “altrove” le contraddizioni che la società umana si porta “dentro” sempre più forti. Proprio come nella tradizione olimpica: durante le Olimpiadi dell’antica Grecia cessavano tutte le guerre, trionfava la pace, tutti si sentivano appartenenti a un’unica patria. Finite le gare, tutto tornava alle contraddizioni precedenti. La “competizione” spettacolare mimetizzava le lotte vere.
Oggi la “competizione spettacolare” è divenuta metafora della competizione quotidiana alla quale ci obbliga la società neoliberista: da un lato l’esasperazione dell’individualismo; dall’altro l’annullamento di ogni valore individuale di fronte al totem del Mercato. Nel lavoro, nella scuola, nei rapporti interpersonali.
Citius, altius e fortius: il motto olimpico che abbacina e stordisce, distraendoci dalla nostra complicata vita reale.
Lentius, profundius e soavius: “Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo”. E si vedono orizzonti più ampi.
Luigi Totaro