Caro Sergio,
quello che (forse) nessuno riteneva possibile - mentre i più neanche si ponevano il problema - è tragicamente accaduto: un virus micidiale sta da settimane falciando migliaia di vite. I media ogni giorno ce ne rendono conto con implacabile dovizia di particolari, numeri, fatti, non fatti, e polemiche a non finire, spesso inutili, improduttive se non peggio.
Il mantra - giustamente per contenere i contagi - è diventato “restate a casa”.
Con le “dovute” eccezioni dei soliti inconsapevoli (definirò gentilmente così quelli che hanno bisogno delle reprimende anche per accettare il loro interesse), la maggior parte degli italiani coscienziosamente rispetta l’ordine mostrando buon senso e civica responsabilità.
E di conseguenza, allentando l’uomo la presa su tutto ciò che ritiene gli appartenga di diritto, media e social ci mostrano immagini di città vuote, strade semideserte, delfini in porto, acque dei canali di Venezia e di Livorno come non si erano mai visti in epoche “moderne”, anatroccoli in fila indiana che percorrono strade urbane... detto in una animali selvatici sul territorio nazionale che tornano legittimamente a riprendersi spazi vitali che il sapiens gli ha storicamente sottratto per i propri unici fini, per il proprio unico interesse, benessere, uso e consumo fino alla riduzione in miseria e cancellazione di interi ecosistemi.
È osservando queste scene di ritorno alla natura e di animali che hanno riconquistato lo stato “libero”, che mi sono riproposto una fantastica domanda - nel senso della fantasia, s’intende, ma forse poi non più di tanto fantasiosa - alla quale fin da ragazzo ho immaginato di dare una risposta: ma come sarebbe il mondo senza quella strana “terza scimmia” sapiens?
Abbiamo l’occasione, prendendo ciò che anche una catastrofe può insegnare, offrire in termini di sapiente consapevolezza, di illuminare un po’ meglio colui che da sapiens dovrebbe sapere, ma non sa, o peggio non intende proprio dimostrare di sapere.
Purtroppo non è una teorica occasione ma, mi viene da pensare, una visione in diretta, una specie di “prova generale” (triste e tragica!) per assistere a ciò che, alla fin fine, non è l’unica epidemia nella storia, e non sono pochi coloro che ritengono non sarà neanche l’ultima.
Teniamolo presente!
Il sapiens non ha predatori nel mondo animale, anzi è lui che si è posto al vertice di ogni cosa, e in quest’ottica ha condotto e guidato gran parte della sua evoluzione, ricercando, progettando e realizzando utensili via via sempre più complessi - dai grossolani e rozzi chopper del paleolitico, alla scissione dell’atomo e agli usi più “bizzarri” che gli siano venuti in mente - per affermare il suo predominio sul resto del mondo, vivente e inorganico, sugli altri animali e perfino sui suoi stessi simili, abbandonare ogni freno, superare ogni barriera fino a progettare e mettere in atto genocidi ricorrenti nella storia: da Francisco Pizarro a Cajamarca dove iniziò lo sterminio degli amerindi, fino alla Shoah passando in ordine non cronologico per la strage dei Catari, degli Aborigeni australiani, del Ruanda, degli Armeni, ucraino di Stalin, del Congo ad opera dei belgi (quelli che frenano!), della Cambogia di Pol Pot, ex Jugoslavia, Sierra Leone, Kosovo... ma prima ancora dell’Impero Romano per citarne solo alcuni, tutti con milioni di morti, tutti con il fine ultimo (in ogni caso economico, religioso e/o razziale) di cancellare il nemico.
“Armi acciaio e malattie” dal titolo quanto mai attuale di un bellissimo libro di Jared Diamond, e di malattie più che di armi e acciaio i Conquistadores cancellarono i nativi d’America.
Non sono un medico né un sociologo, ma un appassionato tecnico del territorio, amante della Geologia e del sistema natura nel suo insieme, discipline che vanno sotto il nome di Scienze della Terra, con tutto ciò che il “sistema” compendia e contiene, sapiens compreso, nella sua evoluzione da comune membro animale della comunità dei grandi mammiferi quadrumani, fino a incontrastato e potente predatore.
In poche migliaia di anni, con rapidissime accelerazioni solo negli ultimi secoli, siamo diventati la specie più invasiva mai vissuta sul pianeta in oltre tre miliardi di anni di evoluzione della vita sulla Terra; abbiamo sterminato specie animali (ovunque arrivò l’homo nelle regioni più remote del pianeta nel corso della sua diffusione scomparvero per primi i grandi mammiferi), trasformato immense pianure in campi arati per soddisfare appetiti di una popolazione che ha superato i 7 miliardi di sapiens - in rapidissima, pericolosa crescita - e di animali da destinare allo stesso scopo tenuti segregati in allevamenti intensivi e orrendi, abbiamo inquinato fiumi e oceani con plastica e veleni chimici, scorie nucleari, abbiamo decapitato montagne per l’estrazione del carbone riversando i detriti di scarto nelle sottostanti valli con inimmaginabili danni idrogeologici (senza considerare i “futili” aspetti ambientali). Col nostro comportamento inconsapevolmente siamo giunti a mangiare microplastiche presenti ormai in tantissimi alimenti.
Abbiamo immesso in atmosfera quantità impossibili (migliaia di miliardi di tonnellate) di anidride carbonica, raso al suolo intere foreste per sostituirle con coltivazioni intensive, privato gli animali dei loro habitat naturali per commercializzarli, ammassarli nei mercati per essere massacrati e destinati ad esotiche cucine senza tenere conto delle minime cautele igieniche (se proprio non si devono considerare quelle etiche!), consentendo ai virus di fare il loro mestiere: che è quello di fare il virus, e che da un punto di vista evolutivo, significa semplicemente assicurarsi un ospite che gli consenta di vivere e replicarsi.
Questo fanno i virus, con oltre tre miliardi di anni di “esperienza” alle spalle rispetto alla nostra specie che, da terza scimmia, si muove e si diffonde sul pianeta solo da alcune decine di migliaia di anni. I virus (in latino virus “veleno”) sono entità biologiche parassita obbligate, nel senso che per esistere e diffondersi hanno bisogno di un ambiente vivente, cellule in cui risiedere, hanno dimensioni cento volte minori di un batterio, e quando l’uomo si accosta in modo improprio ad animali (come certi pipistrelli) adattati dall’evoluzione ad ospitarli, i virus non hanno altro da fare se non tentare lo spillover, il salto di specie. Una salto vantaggioso per loro (virus) che hanno così a disposizione oltre sette miliardi di umani per assicurarsi propagazione e diffusione, repliche di sé.
La cronaca storica delle epidemie avrebbe dovuto insegnare questo all’uomo, essendo Covid19 solo l’ultima (per ora) di una già lunga serie: Ebola, Aids, Marburg, aviaria, suina, sars…
Come sostiene Telmo Pievani (filosofo evoluzionista), a differenza dei virus che dalla loro hanno miliardi di esperienza evolutiva “...noi abbiamo un cervello, abbiamo un’intelligenza, possiamo prevedere, possiamo immaginare cosa potrebbe succedere, quindi potremmo fare per esempio tesoro di quello che sta succedendo adesso per evitare che succeda altre volte.”
E cosa possiamo fare, oltre che trovare al più presto un vaccino? La risposta non è facile da attuare, ma di più è necessaria, vitale, perfino obbligatoria, e ancora la affido alle sue parole che di evoluzione se ne intende: “Diciamo che i virus hanno degli avversari che noi possiamo scatenare contro di loro indipendentemente poi dall’urgenza, dall’emergenza dell’epidemia del momento. Questi avversari sono la protezione ambientale, la ricerca scientifica, l’igiene, il progresso sociale e ricordiamo che la povertà, la disuguaglianza, le carestie e le guerre sono tutti alleati dei virus… Può sembrare strano ma c’è un legame molto stretto tra tutte queste vicende. Quindi, noi evoluzionisti lo sappiamo, se tu vuoi sconfiggere un nemico temibile come è questo virus, si deve imparare a capire la sua logica ed è una logica evolutiva.”
Le ere e i periodi geologici sono delimitati da “chiodi d’oro” o GSSP (Global Stratigraphic Section and Point) che sono sezioni stratigrafiche nelle quali sono stati riconosciuti elementi paleontologici, mineralogici e chimici rappresentativi di vasti cambiamenti nella storia della Terra e della vita sulla Terra. Per brevità e come unico esempio certamente noto a tutti, uno dei più famosi chiodi d’oro al mondo è quello che segna il limite “K-T”, ossia il limite che segna la fine del Mesozoico e l’inizio del Cenozoico. Sono certo che tra un secondo, quando dirò cosa sia il limite K-T tutti - e dico tutti – sapranno di cosa stia parlando.
Negli anni “80 del novecento Luis Alvarez (già premio Nobel per la Fisica nel 1968), rilevò in molte parti del mondo, Italia compresa, una eccezionale concentrazione (decine e decine di volte maggiore del normale) di Iridio, un elemento raro sulla superficie della Terra ma abbondante negli asteroidi; tutte le concentrazioni si trovavano in straordinaria coincidenza del passaggio dal Cretacico (ultimo periodo del Mesozoico) al Terziario. Alvarez pensò allora che qualcosa di strano e di molto potente doveva essere il responsabile di una così vasta distribuzione di quell’elemento… per di più concentrato in un piccolissimo straterello proprio in coincidenza del passaggio da un’era ad un’altra. Per dare una spiegazione Alvarez ritenne che tutto quell’iridio e tutta quella concentrazione doveva essere stato causato dall’impatto di un asteroide sulla Terra. E che questo scontro poteva aver determinato un disastro planetario tale da essere il responsabile (o co-responsabile) della scomparsa dei dinosauri. Già, ma dove era avvenuto l’impatto?
Dieci anni dopo – trascorsi in studi e ricerche – Alvarez con il suo team localizzò sulla costa dello Yucatan (Chicxulub) in Messico, un cratere che corrispondeva alle indicazioni calcolate; una cratere enorme, con un un diametro di circa 180 chilometri. L’impatto aveva evidentemente sollevato un megatsunami ma soprattutto un aerosol acido che dovette permanere per anni in atmosfera creando condizioni letali per molte specie (dinosauri tra i più noti, ma anche plancton, vegetali, molluschi…).
Sul limite K-T, sullo straterello ricco di iridio, i geologi hanno piantato un “chiodo d’oro”, a testimonianza fisica sul territorio e non solo in letteratura geologica, di un forte cambiamento, di un cambio d’era, di una grande estinzione.
In un mio articoletto (simile a questo, del 15 marzo 2019) che potete trovare a questo indirizzo:
http://www.elbareport.it/scienza-ambiente/item/34934-lantropocene-%C3%A8-la-nostra-ultima-fermata
accennavo brevemente a come gli scienziati, a causa del forte impatto dell’uomo come “forza geologica”, abbiano in mente di istituire una nuova era - l’Antropocene - (l’attuale è nota come Olocene) che come caratteristica ha proprio l’azione dell’uomo sul pianeta.
Ebbene, sta a noi, a tutti noi, e in primis a chi governa gli stati del nostro unico pianeta a decidere il futuro il della nostra specie; dico della nostra specie Homo Sapiens, non delle sorti del pianeta che davvero non sa che farsene di una presenza umana per continuare le sue dinamiche, la sua tettonica delle placche, la sua vita che va avanti da quattro miliardi e mezzo di anni, e che di miliardi di anni ne conterà ancora - affermano gli scienziati - all’incirca cinque prima che il Sole si espanda e da nana gialla entri nella fase gigante rossa, inghiottendo la Terra e gli altri pianeti che suo sistema*.
Per esporre in poche, migliori e più convincenti righe il concetto, lascio la parola a due geologi certo più competenti del sottoscritto
“…Se poi il futuro dovesse rilevare che l’uomo,
autobattezzandosi con inconsapevole ironia Homo Sapiens Sapiens
è riuscito nel giro di pochi secoli a modificare l’ambiente in cui vive
in modo così radicale da renderlo inadatto alla sua stessa sopravvivenza,
ebbene,
non sarà certo per la scomparsa dell’uomo
che i continenti cesseranno di muoversi
e le montagne di elevarsi”
Giovanni Flores e Marco Pieri (1981)
Davvero vogliamo il nostro chiodo d’oro sul limite Olocene-Antropocene? Che peraltro dovremmo decidere dove piantare: sul limite inferiore di una mega discarica? Sul piano di decapitazione delle montagne, o sui resti desertificati della foresta amazzonica?
A noi - non ai posteri - evitare l’ardua sentenza.
(E per ora restiamo a casa!)
Nicola Gherarducci
*Marcia Bjornerud – Il tempo della Terra (Universale scientifica Hoepli 2020)