Di questo come Gruppo di San Rossore vorremmo ‘tornare’ a discutere con le istituzioni, con le forze politiche, con il mondo della ricerca, dell’associazionismo e naturalmente con i parchi e le aree protette.
Appunto, ‘tornare’ a discutere e non perché in questo momento di parchi non si parli ma per una ragione molto più precisa e allarmante e cioè che non è del loro futuro e del loro ruolo che si sta discutendo.
Non ricordo alcuna stagione neppure tra le più turbolente e tribolate per le nostre aree protette tanto povera –anzi del tutto priva- di proposte, di un confronto serio sulle cause di questa crisi profonda e i necessari rimedi.
Lo stato è presente solo con tagli e misure che per la prima volta a oltre 20 anni dalla legge quadro ha messo a rischio persino l’apertura dei parchi, i loro organici che toccano già cifre irrisorie, con vigilanza senza benzina o telefono. E’ recente l’assemblea dei parchi del Piemonte dove il presidente della regione Cota ha detto chiaro e tondo che i parchi regionali piemontesi, tra i primi ad essere stati istituiti in Italia, non avranno un soldo e se non ce la faranno a pagare gli stipendi si arrangino. Le cose non vanno molto meglio nelle altre regioni anche se non devono vedersela con Cota e i Calderoli di turno. Per i nostri ministri dell’ambiente degli ultimi anni Prestigiacomo in testa i nostri parchi sono stati considerati ‘poltronifici’, di fatto enti inutili e costosi magari da commissariare in attesa di privatizzarli. Che poi su 24 parchi nazionali solo 3 o 4 siano riusciti finora a dotarsi di un piano di cui al ministero non è mai importato una mazza, chi se ne frega.
Che le aree marine protette risultino di fatto disperse e in stato preagonico come fu detto già qualche anno fa, e che del Santuario dei cetacei le uniche notizie riguardino le vicende del Concordie sono cose di cui nessuno si interessa e si preoccupa se non per qualche trivellazione di troppo.
E tuttavia della latitanza governativa, anzi della sua opera demolitoria e denigratoria, ben pochi si sono finora interessati e allarmati tanto che si è preferito scaricare le colpe di questa irresponsabile gestione ministeriale sulla legge. Intanto il venir meno di qualsiasi impegno nazionale per costruire finalmente un sistema di parchi e aree protette in grado di mettere in rete parchi nazionali, regionali, siti comunitari e non, ha fatto venir meno qualsiasi quadro di riferimento anche per le regioni che hanno pagato e stanno pagando un salato dazio anche nelle realtà più importanti e consolidate; vedi appunto il Piemonte. Guai per molti versi derivati che non le assolvono però da pesanti responsabilità politiche, istituzionali e gestionali. Dice pur qualcosa il dato degli ultimi anni fornito di recente dalla Corte Costituzionale da cui risulta che i ricorsi ossia il contenzioso stato-regioni è raddoppiato facendo di fatto colare a picco il titolo V della Costituzione che doveva finalmente avviare quel governo del territorio incentrato sulla ‘leale collaborazione istituzionale’ finito invece in una paralizzante e penalizzante conflittualità. I parchi hanno pagato e stanno pagando il prezzo più alto di questa vera e propria deriva rispetto anche alla elaborazione europea e internazionale sul ruolo dei parchi e delle aree protette sempre più concepite come un ponte essenziale tra natura e cultura e perciò sempre più proiettate come è stato detto ‘oltre’ i propri confini. In Italia è avvenuto proprio il contrario a partire dalla decisione del nuovo Codice dei beni culturali che ai piani dei parchi ha tolto il paesaggio che aveva connotato significativamente la legge quadro con risultati importanti specialmente nei parchi regionali. Una chiara e grave controtendenza che è alla base anche delle numerose e onerose sanzioni comunitarie in campo ambientale inflitte al nostro paese. A fronte anche delle prossime e rilevanti scadenze internazionali in cui si tornerà a ridelineare un ruolo sempre più fondamentale dei parchi e delle aree protette per una gestione ambientale in grado di fare uscire il pianeta dai rischi incombenti, il nostro paese appare praticamente privo di qualsiasi credibile disegno. Non lo è certo l’ipotesi di rimettere mano alla legge che non si è voluto e saputo gestire e attuare come dovuto e prescritto. Anzi si è persino tentato irresponsabilmente di vulnerarla ulteriormente nel rapporto con le regioni e proprio in riferimento alle aree protette marine. Di come uscire da questo vicolo cieco non vi è di fatto traccia nelle discussioni in corso. Assente il ministero impegnato ad attuare unicamente sporadici provvedimenti amministrativi nazionali riguardanti generalmente settori della pubblica amministrazione e non specificamente i parchi ai quali vengono scorrettamente imposti con effetti penalizzanti. Assenti o presenti malamente le regioni nella maggior parte dei casi alle prese con manovre e ipotesi non meno cervellotiche.
Nonostante questa situazione che colloca i parchi e le aree protette al centro di quella crisi più ampia e grave delle politiche ambientali dal suolo al paesaggio, insomma dei nostri beni comuni non si ricorda un silenzio tanto tombale di protesta e soprattutto di proposta. Non si va al di là di vaghi appelli a sostegno della green economy quasi spettasse alle politiche economiche ancorchè nuove e meno rovinose per l’ambiente la definizione di nuove politiche ambientali per la tutela e gestione dei nostri beni comuni.
Di proposte al riguardo non vi sono tracce degne di rilievo in parlamento, sempre meno nelle regioni e negli enti locali ed anche da parte dei parchi e delle aree protette che invece sulla scena –prima e dopo l’approvazione delle legge 394- si sono fatte sempre valere. Il che stupisce ancor più nel momento in cui si discute della preparazione degli stati generali dei parchi. Negli incontri anche recenti alcuni dei quali abbiamo qui ricordato non ci sembra ne siano state presentate e discusse. Cosa vuole l’ANCI per i comuni lo sappiamo. Cosa vogliono le regioni lo sappiamo. Possono piacere o meno ma sappiamo cosa chiedono e propongono. Mentre i parchi rischiano di finire su un binario morto come le province invece non lo sappiamo, non sappiamo nulla.
Ecco perché come Gruppo di San Rossore riteniamo se ne debba discutere e il più presto possibile e non solo per ribadire che i parchi sono un patrimonio da salvare. Come? Assegnandogli quale ruolo e per perseguire quali finalità?
Renzo Moschini