Quando finirà il lockdown anche le aree protette saranno chiamate a dare il loro contributo alla ripresa economica e sociale del Paese e, nonostante l’incertezza sulla data, siamo convinti che i parchi sapranno essere di aiuto anche per recuperare un rapporto migliore con la natura.
Sappiamo da tempo che il cambiamento climatico è il fattore che più influenza la perdita di biodiversità, ma dopo la crisi del COVID-19 si sta cominciando a prendere atto che gli ecosistemi fragili sono meno efficaci a contenere il salto di specie (effetto spillover) che sono all’origine dello sviluppo di virus letali e l’espansione di pandemie.
La crisi attuale, nonostante i drammi e le morti che ha causato, offre la possibilità di riflettere sui rischi e come intensificare gli sforzi per affrontare le sfide per evitare che si aggravino le minacce sulle specie a rischio a livello globale (sono oltre il 27% di tutte quelle valutate nella Lista rossa IUCN), mentre in Europa, sulla base di una valutazione dell'anno scorso, sono minacciati oltre la metà degli alberi endemici europei. La perdita di habitat, l'inquinamento diffuso, l'eccessivo sfruttamento delle risorse, i crescenti impatti delle specie esotiche invasive, i cambiamenti climatici sono i fattori chiave del declino delle specie. Inoltre, la maggior parte di queste è anche - attraverso un crescente contatto tra uomo e altri animali - fattore trainante delle malattie zoonotiche emergenti.
Dunque, per mantenere il Pianeta in equilibrio e proteggere la biodiversità, occorre essere più responsabili nell’utilizzo delle risorse naturali fondamentali, ad esempio, per produrre cibo o fruire della natura per migliorare il nostro benessere. Una responsabilità che chiama direttamente in causa il ruolo delle aree protette, che hanno come missione principale la protezione della biodiversità e la tutela del nostro benessere economico e sociale, oltre a quello sanitario poiché il contatto positivo con la natura è importante per la salute umana.
Le persone saranno sane se vivono in ecosistemi sani, e le aree protette sono luoghi che creano benessere e aiutano a prevenire problemi di salute pubblica perché promuovere uno stile di vita attivo. I parchi e le aree protette, oggi, hanno dunque una ragione in più di esistere, e non meno importante di quella proteggere la biodiversità, poiché svolgono una importante funzione di collegamento tra le persone e la natura.
I parchi, non solo proteggono le nostre preziose risorse naturali, ma forniscono risultati positivi sulla salute e per questo che chiediamo di “riaprire le loro porte” per essere fruiti liberamente da tutti, e non solo dalla fauna selvatica che approfitta del lockdown per riappropriarsi di tutti gli spazi che il disturbo antropico finora gli ha precluso.
In realtà i parchi e le aree naturali durante il lockdown, sebbene non fruibili, non sono rimaste ferme ed hanno continuato a operare per garantire la tutela della biodiversità nonostante le molte difficoltà ed i seri rischi personali. Animali, piante ed ecosistemi hanno continuato il loro ciclo vitale e, anche in questa fase di bassissimo disturbo antropico, sono stati effettuati monitoraggi e studi, oltre alle azioni di sorveglianza utili a evitare rischi per il capitale naturale del Paese.
Ma il post-lockdown richiede ai parchi un supplemento di impegno per agevolare la nuova partenza e “approfittare” delle opportunità che gli investimenti Europei, che sono stati annunciati, possono garantire a quelle comunità locali che la crisi del COVID-19 ha reso più fragili e povere. L’occasione che offre l’Europa, attraverso gli investimenti per realizzare il Green Deal, sono la contabilizzazione del capitale naturale e la tassonomia finanziaria sostenibile dell'UE che definisce un sistema di classificazione delle attività economiche sostenibili come quelle che si svolgono nei territori protetti. Ciò avrà un impatto su tutti i settori della bioeconomia (agricoltura, selvicoltura, zootecnia, pesca..) che dovrà utilizzare tutte le conoscenze scientifiche per ridurre gli impatti sulla biodiversità e aumentare gli investimenti attraverso soluzioni basate sulla natura (nature based).
Le aree protette perciò, devono coltivare l’ambizione di essere dei player territoriali fondamentali per sostenere la ripresa delle economie locali sapendo interpretare le aspettative di cittadini e operatori delle loro comunità. I parchi, che sono i principali detentori dei nostri beni comuni (biodiversità, servizi ecosistemici, capitale naturale…) indispensabili alla vita come allo sviluppo sostenibile, possono fornire una importante spinta allo sviluppo della bioeconomia e al turismo attivo e sostenibile che negli ultimi decenni si sono fortemente sviluppati nei loro territori. Bioeconomia e turismo sono dunque i due punti di forza su cui le aree protette devono puntare subito e investire le risorse economiche che hanno in cassa, per far uscire le comunità locali dalla crisi che ha messo in ginocchio tante piccole e piccolissime esperienze di economie territoriali che rischiano di scomparire e ampliare la desertificazione economica e sociale di tante aree interne del nostro Paese. Singoli operatori, o soci di cooperative locali che offrono servizi nei settori turistici ed educativi, ma anche ristoratori e albergatori che operano nelle aree protette, non incassano un euro perché da oltre due mesi e, probabilmente, anche nei prossimi tre mesi dovranno ricorrere all’assistenza pubblica per sbarcare il lunario visto che in questi territori non si svolge nessuna attività turistica e quelle della bioeconomia sono molto limitate.
In questa drammatica situazione i Parchi devono avere coraggio e, in attesa che il Ministero dell’Ambiente scopra che le comunità dei parchi sono in piena crisi e si adoperi opportunamente, chiediamo che investano le risorse che hanno in cassa, e sono senza vincoli di destinazione perciò possono essere subito messe a disposizione, per sostenere il rifacimento dei sentieri, la manutenzione delle strutture, l’utilizzo delle terre pubbliche etc… e per impiegare tutta la forza lavoro disponibile per lavori di utilità sociale. Invitiamo gli Enti parco a programmare la manutenzione dei sentieri affidando i lavoro alle cooperative locali superando logiche di affidamento dei lavori attraverso gare al massimo ribasso, anche quando si potrebbe fare diversamente o attraverso bandi cervellotici quando invece si potrebbero assegnare direttamente perché consentito dalle norme. Non bisogna infrangere leggi, ma ridurre al minimo i passaggi burocratici e avere il coraggio di far lavorare giovani ricercatori e guide naturalistiche, ad esempio, utilizzando le normative che lo permettono.
Sarebbe oltremodo sconveniente se, mentre le casse dei Parchi rimangono piene di fondi non spesi da anni, gli operatori e le imprese dei loro territori chiudessero le attività per mancanza di opportunità offerte dagli enti pubblici e non solo per mancanza di turisti o visitatori. Pur comprendendo le difficolta in cui gli stessi Enti parco operano, e nonostante i lacci e lacciuoli ministeriali ed i vincoli che derivano dalle norme di finanza pubblica che regolano gli enti gestori delle aree protette, ci sentiamo di chiedere agli Enti parco di essere, non solo generosi e continuare a lavorare, ma di essere anche coraggiosi per superare lentezze burocratiche e aiutare adesso chi ha bisogno. Cari presidenti e direttori se non ora quand’è il momento del coraggio per i parchi?
Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente