“Oltre il fico comune, cresce spontaneamente per tutto, sotto i 300 mteri di altitudine, portando frutti di cui molti son ghiotti, il fico d’india (cactus opuntia) con due varietà una (opuntia ficus indica) a grandi pale e frutti mangerecci di un bel colore d’oro, che a maturanza inoltrata diventano rosso-porpora, l’altra a pale o frutti più piccoli e spinosi, che nessuno mangia (opuntia amyclaea). Tutte e due queste specie si coltivano più per farne siepi che per averne frutto”
In queste poche parole di Giulio Pullè (pagina 40 di “Monografia agraria del circondario dell’isola dell’Elba con cenno storico”. Portoferraio 1879) c’è tutto quello che c’è da sapere sul fico d’India dell’Elba: crescita spontanea lungo la costa dovunque, due varietà una commestibile a grandi frutti e pale e l’altra non commestibile a piccole pale e piccoli frutti spinosi, coltivate entrambe solo per farne siepi.
Le pale del fico d’India sono fusti appiattiti chiamati cladodi (con funzione di accumulo di acqua e fotosintesi clorofilliana). E’ una pianta sempreverde capace di vivere qualche secolo. Le pale cadute a terra radicano con facilità consentendo una crescita spontanea e una veloce propagazione vegetativa. Il cladode veniva usato dai nostri antenati a scopo medicinale come antinfiammatorio, cicatrizzante le ferite, antidiarroico.
Dall’estratto dei semi del frutto si ricava l’olio di fico d’india diventato la nuova punta di diamante dei trattamenti anti-age. Grazie all’eccezionale contenuto in acidi grassi essenziali (70% di omega-6) ha proprietà rigeneranti, ristrutturanti, rassodanti e aiuta a rallentare il processo di invecchiamento della pelle e prevenire la formazione di rughe. La vitamina E di cui è ricco svolge azione antiossidante che protegge dai radicali liberi. Questo portentoso elisir di lunga vita è ad assorbimento rapido e non unge, infatti può essere
utilizzato anche puro su tutti i tipi di pelle. Bisogna massaggiare mattina e sera sul viso, compreso il controno degli occhi e attorno alle labbra.
La varietà commestibile (opuntia ficus indica) nel periodo dell’inflorescenza ha bellissimi fiori giallo arancio e il frutto, ricco di semi, ha un colore giallo arancione nella varietà sulfarina e rosso porpora nella varietà sanguigna, bianco nella miscaredda.
Solo in Toscana il fico d’India, per il carattere invadente della specie che tende a sostituire l’altra flora modificando il paesaggio, una legge regionale ne vieta espressamente l’uso per interventi di ingegneria naturalistica come il rinverdimento, la riforestazione ed il consolidamento dei terreni. (LRT 56/2000 Art 6 comma 4. Norme per la conservazione e la tutela degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche).
In tutte le altre regioni d’Italia non v’è alcun divieto.
Alcune regioni centro meridionali sono diventate produttrici di fico d’India.
Qui la produzione riguarda esclusivamente il frutto da commercializzare. Questa commercializzazione ha posto l’Italia tra i principali produttori a livello mondiale e primo a livello europeo (Danilo Scalone. ”Studio e caratterizzazione di alcuni prodotti tipici mediterranei in termini di qualità e funzioni
salutistiche. Catania. 2013).
Ogni volta che vado a camminare nei sentieri dell’Elba, quasi sempre incontro grandi piante di fico d’india. Lo incontro anche transitando in auto lungo i bordi della strada.
Sia nell’uno che nell’altro caso in stato di completo abbandono con i frutti caduti per terra a marcire.
Un simile patrimonio naturale cresce spontaneo sull’isola e in grande abbondanza ma non è mai stata fatta una quantificazione precisa.
Raccolto il frutto o anche coltivato, sarebbe fonte di reddito e darebbe lavoro per tutto l’anno.
Marcello Camici